martedì 17 gennaio 2012

Civili diritti

Felicità e diritti civili possono andare a braccetto? Nell’Italia che dovrebbe lasciarsi alle spalle il bacchettonismo dell’ultimo decennio, quando si parla di alcuni diritti spesso si finisce per buttarla in contrapposizione dogmatica, fine a se stessa e inutile al raggiungimento di un obiettivo comune, ovvero un maggiore benessere anche in chiave sociale. Il passo che si chiede al belpaese, invece, sarebbe nella direzione di un riequilibrio legislativo con le nuove dinamiche sociali presenti a tutti i livelli. Che non dovrebbero spaventare chi si dice attaccato morbosamente alla tradizione, ma tentare di omogeneizzare il tutto per via di mutate condizioni sociali. Lecito chiedersi: ha ancora senso oggi in questa Italia impedire a un single di adottare un bambino? O impedire che due coniugi divorzino in tempi più ragionevoli degli attuali? O che un registro dei diritti civili sia visto ancora come un attentato al bagaglio ideologico legato a credi religiosi? La via da imboccare, senza timori ma anche senza buonismi ciechi, potrebbe essere quella di una morbida pacificazione dei diritti, perché no ispirandosi a sistemi legislativi in vigore in altri stati. Dove nei fatti la felicità passa anche da una rete dei diritti differente e più funzionale. E soprattutto più umana.
Vuoi vedere che per essere felici bisognerà emigrare in Danimarca? È infatti uno dei paesi con il maggiore tasso di felicità continentale, con quella che vien definita hygge, una sorta di pil della felicità. Non solo buoni amici, compagnie e buon cibo, ma un passo sociale in avanti, dove la soddisfazione esula dagli stereotipi standard. E si allarga, fino a strabordare, in quel campo infinito che prende il nome di diritti. In occasione dell’Annual Report sullo State of the World i cittadini di 144 Paesi sono stati chiamati a rispondere sulla propria esistenza: dal benessere individuale al fabbisogno economico, dalla salute all’educazione, passando per la sicurezza e per la percezione delle istituzioni nazionali. Ma l’odierno hygge non spazia più solo all’interno del proprio circuito sociale o familiare, bensì si infiltra anche fino al concetto della vita politica e dei loro rappresentanti. Toccando un filone preciso come la fiducia: nelle autorità, nel sistema giudiziario, nella scuola, nella sanità, e anche nei rappresentanti politici. Ma i danesi come mai sono più felici? Alcune motivazioni si possono leggere nel blog della giornalista statunitense Sharmi Albrechtsen (http://happydenmark.com ) che le sintetizza così: un patrimonio genetico di tutto rispetto, infatti le danesi sono tutte alte, bionde e magre; facilità di procreare e di crescere prole: un bimbo dai mesi in su è già affidabile ad asili qualificati e in caso di permanenza in casa si è aiutati dallo stato con un assegno di sostentamento; insegnamento universitario alla portata di tutti: non si paga per studiare; sicurezza: nelle città molte le carrozzine con i neonati che si vedono fuori da caffè e negozi mentre i genitori fanno shopping, i pre-adolescenti prendono da soli i mezzi pubblici; fiducia: che i cittadini hanno in quantità elevata nel pubblico e nelle istituzioni; lavoro: 38 ore alla settimana con rigorosità svizzera, ma al contempo molto tempo libero; emancipazione maschile: dispongono anche del congedo di paternità, il divorzio si ottiene in sole 24 ore.

Sono solo alcuni interventi che consentono nei fatti a quel paese di essere più vivibile, e quindi, di produrre soddisfacimento reale nei cittadini, siano essi bianchi, rossi, neri o bordeaux. A ciò si aggiunga un dettaglio danese non da poco: lo scorso settembre le elezioni parlamentari hanno visto l’affermazione del primo premier donna, Helle Thorning-Schmidt. E all’interno di una coalizione composta da socialdemocratici e socialisti popolari, oltre ai radicali di Margrethe Vestager, ma di ispirazione liberale. Uno sforzo che, proiettato all’interno della composizione dell’esecutivo, ha prodotto due interventi: eliminata la tassa sui redditi milionari e inseriti forti limiti ai prepensionamenti. Ma non è solo il premier donna fare notizia, bensì una schiera di deputate giovani e determinate che non hanno fatto fino a un istante prima le igieniste dentali o le soubrette: Astrid Krag Kristensen, 29 anni ministro della Sanità; Margrethe Vestager, 43 anni, ministro dell’economia e degli affari interni; Ida Auken, 33 anni , Ministro dell’ambiente. Tutte accomunate da un programma di tutto rispetto che vede ai primi posti l’occupazione, un redditometro per le fasce più agiate, riduzione delle emissioni di CO2 del 40%, e un serie di misure “sociali”. Come l’opportunità di dodici mesi di maternità o paternità retribuita interamente. Oltre ad asili gratis e contributi fino a 130 euro per i figli fino al raggiungimento della maggiore età. La notizia è che buona parte di queste intenzioni sono state già messe in cantiere a un mese esatto dall’insediamento del governo. L’esempio danese è utile, come principio e modus operandi, per ragionare anche sulla situazione italiana. Dove vi sono ancora ritardi incredibili sui diritti civili, dove si fatica a comprendere che il benessere sociale passa inevitabilmente da misure che rendano l’individuo realmente libero di scegliere per sé e per i propri cari. Si prenda uno dei diritti civili più controversi in Italia: l’adozione per genitori single. Lo scorso febbraio la Cassazione aveva aperto alle adozioni per i single, chiedendo al parlamento di prendere posizione, dal momento che non è in contrasto con alla Convenzione di Strasburgo sui fanciulli del 1967 che contiene le linee guida in materia. Infatti la Suprema corte nella sentenza 3572 evidenziò che «il legislatore nazionale ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell'ambito di ammissibilità dell'adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell'adozione legittimante». Quella sentenza nacque dalla convalida, seppur in forma «mite», dell'adozione di una bimba russa da parte di un solo genitore, una donna genovese.

I giudici ritennero legittimante l’adozione «consentita solo a coniugi uniti in matrimonio»: deve «escludersi che allo stato della legislazione vigente, soggetti singoli possano ottenere il riconoscimento in Italia dell'adozione di un minore pronunciata all'estero con effetti legittimanti». Ma «fermo restando che il legislatore nazionale ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell'ambito di ammissibilità dell'adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell'adozione legittimante». Come dire che i legislatori dovrebbero tentare con più energia di armonizzare i nuovi strumenti legislativi con le evoluzioni e le contingenze della cittadinanza. Ma senza procedere, così come fatto fino a oggi, con il freno a mano tirato per via di inibizioni di stampo ideologico. Che, nel 2012, incarnano ancora una zavorra assurda e improduttiva. E, se permettete, a tratti anche senza cuore.


Fonte: Il futurista settimanale del 13/01/12

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