martedì 7 febbraio 2012

Quel nemico silenzioso che uccide ancora

Una sentenza tra pochi giorni, il 13 febbraio; la voglia di non piegare la testa per un pugno di quattrini (e non sono pochi); un nome, quello di Casale Monferrato, che fa rima con la piaga silenziosa del secolo. Ma è solo una delle mille storie di morte e di fabbriche che sono state scritte in Italia. Il nemico numero uno dei lavoratori biancorossieverdi si chiama amianto, un killer sotterraneo che ha colpito operai delle fabbriche, marittimi, personale in navigazione aerea, ferrotranvieri: tutti soggetti a rischio. Come gli operai della Fibronit di Bari morti negli ultimi trent’anni, assieme a molti familiari e a cittadini la cui unica colpa era solo di risiedere nei pressi di quella fabbrica. Prima che fosse chiusa e bonificata. O i lavoratori di quella che era definita la Stalingrado d’Italia, gli otto stabilimenti di Sesto San Giovanni, che nel 1994 contavano circa 42mila unità su una popolazione di 90mila abitanti. O come la storia di Calogero, esposto per quindici anni sino al 1999 perché in servizio alla Priolo-Augusta-Melilli di Siracusa, detta anche il triangolo della morte, dove tutto era in fibra di amianto, e nessuno, neanche chi era preposto alla vigilanza ed alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori, si era premurato di allertarli in alcun modo. Braccia e sguardi che, nel pieno esercizio di un diritto costituzionale (il lavoro, su cui la nostra Repubblica è fondata) contemporaneamente erano colpiti da questo mostro a sei teste. Nel silenzio più totale.
Ma pur nelle difficoltà che storie del genere comportano, come i numerosissimi decessi e le migliaia di parenti ammalatisi, negli ultimi anni qualcosa si è mosso. Per la caparbia di chi ha detto “no” a una sorte già scritta, imbracciando il codice civile e quello penale e tentando di far valere i propri diritti, in primis quello alla salute. Sono così state avviate le prime richieste di risarcimento, con realtà sociali capillarmente diffuse su tutto il territorio nazionale, come l’Ona (Osservatorio Nazionale Amianto). Che, assieme ad una maturata consapevolezza sia da parte dell’opinione pubblica, sia da parte di chi ha scelto di non essere vittima passiva, ha prodotto alcuni risultati. Si pensi al processo torinese denominato “Pirelli bis” conclusosi lo scorso 19 gennaio, quando a giudizio sono andati alcuni casi di malattie professionali riconducibili all’amianto di trentasei operai impiegati tra il ‘54 e il ‘96 negli stabilimenti di Settimo Torinese. Condannati tredici ex dirigenti aziendali a pene che vanno dai 4 mesi e 15 giorni, ai 3 anni 2 mesi e 15 giorni, cinque assoluzioni. Dovevano rispondere del reato di omicidio colposo. I casi si erano manifestati per mesoteliomi pleurici e tumori alla vescica, purtroppo con venti operai su trentasei già deceduti. Le parti civili si erano però ritirate dal dibattimento dopo aver ricevuto sette milioni di euro in risarcimento. Il mesotelioma costituisce la causa di decesso di circa il 10% dei lavoratori esposti. Tutti i tipi di amianto sono cancerogeni, anche se in modo diverso: per cui per azzerare il rischio oncogeno occorre rendere nulla proprio l'esposizione.

Tale patologia evidenzia che il rischio è presente anche con inalazioni minime, dettaglio per cui in Italia i dati epidemiologici hanno fatto emergere un'altissima incidenza tra le mogli che lavavano le tute e tra i barbieri che tagliavano i capelli, dei lavoratori esposti. In questa direzione va la direttiva comunitaria 477/83/CEE, (norme “sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con l’esposizione all’amianto durante il lavoro”), che però in Italia venne recepita soltanto dopo la condanna della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 13.12.1990. Le polveri di amianto attraverso il circolo sanguigno raggiungono tutti gli organi: emerge che le basse esposizioni sono quindi dannose e, in alcuni soggetti particolarmente predisposti, o in particolari condizioni enzimatiche, possono essere sufficienti per innescare il processo cancerogeno. Oltre al caso Eternit di Torino, altri sono i procedimenti in corso. Come quello di Praia a Mare dove è stato ottenuto il rinvio a giudizio di tutti i responsabili: il processo è nella fase dibattimentale e il Tribunale di Paola ha accolto la richiesta di citazione della Presidenza del Consiglio e di enti locali, oltre alle società datrici di lavoro, quali responsabili civili per i danni subiti dalle vittime. Si pensi, ancora al caso di Portoscuso, in provincia di Cagliari, con appena seimila cittadini che lì vivono, ma con il triste record di leucemia infantile: la popolazione infatti accusa un’altissima percentuale di piombemia. Le cause? Il polo industriale più grande della Sardegna, dove hanno sede gli stabilimenti Nuova Samin (gruppo Eni), Eurallumina, Aluminia e Consal oltre a una centrale Enel.

Ma amianto non è solo sinonimo di morte e disperazione: sempre in quel luogo simbolo che prende il nome di Casale Monferrato, le scuole hanno battuto un colpo nella direzione contraria al killer invisibile. Hanno scritto la parola vita a caratteri cubitali grazie all’iniziativa di un “Laboratorio della memoria e della speranza, per una multinazionale contro l’amianto, giustizia, bonifica, ricerca”. I firmatari del protocollo sono i presidi delle diverse strutture scolastiche cittadine che nel progetto promosso da Afeva (l’associazione familiari e vittime dell’amianto) punta a costruire una memoria condivisa legata alla dannosità dell’amianto, al fine di informare e quindi prevenire, soprattutto in quelle realtà nazionali e internazionali dove ancora oggi l’amianto viene estratto e lavorato. E ancora, l’Ona non solo sta scandagliando in modo particolare le province lombarde confermando l’emergenza amianto nella metropoli meneghina, ma sta tentando di allargare il proprio raggio di azione anche sulla somministrazione di protesi difettose, che sono state impiantate in centinaia di pazienti, alcuni dei quali non ne avevano alcuna necessità, e che continua nonostante le numerose denunce. Per questo è stata depositata un’ulteriore richiesta al Procuratore della Repubblica di Latina affinché intervenga, per tutelare la pubblica incolumità e per evitare che altri subiscano la stessa sorte. Inoltre ad Avellino, i militanti dell’Associazione Osservatorio Nazionale Amianto, unitamente ai dirigenti locali hanno già depositato ulteriore denuncia-querela alla Procura della Repubblica competente per il rischio amianto che colpisce l’intera popolazione, richiedendo in gran forza la bonifica dei siti inquinati.

«Se ne andavano alla vita come allora si usava di certo, senza alibi e senza paura a lavorare senza un difetto. Se ne andavano alla vita come giovani assonnati al mattino, con due sigarette in bocca da fumare contro il destino». Inizia così la canzone Cooperativa Vapordotti di Marco Chiavistelli, scritta per le vittime dell’amianto in una piccola realtà industriale dell’Alta Val di Cecina, decimata dalle morti invisibili. Scritta per combattere un nemico senza colore né forma che, sotterraneo, si è insinuato nelle vite di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie. Inutile abbozzare numeri e dati, purtroppo destinati a moltiplicarsi vertiginosamente, in alcuni casi beffati anche da una giustizia lenta e a volte cieca. Questa è la storia di un popolo di dimenticati, gente che non solo ha trascorso anni interi in ambienti di lavoro difficili e complessi. Ma che non ha ricevuto ciò che, prima di ogni altra cosa, qualsiasi persona merita: il rispetto per l’essere umano.

Fonte: Il futurista settimanale n.34

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