lunedì 13 febbraio 2012

Se le tolgono anche la sovranità...

Doppio schiaffo per la Grecia. Le cassandre dell’euro riunite a Davos l’hanno detto in tutte le lingue: dopo la Grecia toccherà al Portogallo uscire dall'euro entro l'anno, e dopo non molto sarà la volta dell'Irlanda e forse della Spagna. La scuola capeggiata da economisti pessimisti come Nouriel Roubini, celebre per aver predetto la crisi dei subprimes e per richiedere irresponsabilmente da anni il ritorno della Grecia alla dracma, si ingrossa. Ma dalla cittadina che ospita il Wordl Economic Forum è partita anche un’altra provocazione, che va ben al di là di battute o di previsioni più o meno rosee.
Come riportato dal Financial Times il governo tedesco, prima di concedere il secondo pacchetto di aiuti per il salvataggio per la Grecia, pretende che Atene ceda la sovranità sulle decisioni fiscali. E lo faccia nelle mani di uno speciale commissario di bilancio europeo. Il noto quotidiano cita a supporto fior di documenti a supporto della presa di posizione tedesca, scrivendo di una «estensione senza precedenti del controllo della Ue su uno stato membro». Quel pezzo di carta però giunge proprio mentre la Grecia sta rinegoziando un complicatissimo accordo di ristrutturazione del debito con i creditori privati.

Passaggio che dovrebbe rappresentare l’anticamera al un nuovo prestito da centotrenta miliardi di euro. Nel dettaglio, la cessione di sovranità significherebbe niente di meno che un vera e propria “invasione permanente”, con il commissario al bilancio dotato del potere di veto sulle decisioni di spesa e di imposizione fiscale prese da Atene. Una mossa contro tutti i trattati esistenti, contraria al principio di indipendenza dei singoli stati e contro anche qualche migliaio di altre norme e leggi.
Di contro Atene non sembra neanche prendere in considerazione la fanta-ipotesi tedesca: dal governo di Lucas Papademos replicano che non vi sarà alcuna cessione di sovranità, pur confermando l’esistenza di questa nota informale presentata all'Eurogruppo per l'attuazione permanente del controllo europeo sul bilancio della Grecia, «ma la Grecia – è il ragionamento che si fa nella Voulì di Piazza Sintagma - non vuole prendere in considerazione una simile eventualità, è escluso che noi l'accettiamo, queste competenze appartengono alla sovranità nazionale». In questa storia di prestiti scaduti, di eurobond che si tarda ad emettere, di scandali non ancora chiariti (come il coinvolgimento della multinazionale tedesca Siemens in occasione delle Olmpiadi del 2004 ad Atene) c’è da registrare la posizione della cancelliera Merkel. Da un lato assicura che Atene resterà nell’eurozona, annunciando alla Bild che «al momento ci sono 17 paesi dell'eurozona e io conto sul fatto che diventeranno di più, l'ho detto più di una volta: se fallisce l'euro fallisce l'Europa. Perché l'euro è stato un passo decisivo verso una integrazione più profonda, che non si può revocare senza gravi conseguenze e grandi rischi». Ma dall’altro non prende in considerazione altre strade che non siano quelle ufficiali. Come dire che le scottature ottenute da frau Angela nelle ultime consultazioni regionali hanno di fatto modificato (o lo stanno facendo) le sue valutazioni. Anche il premier italiano Mario Monti si è mostrato contrario al commissariamento, definendolo «un’idea folle» perché si tratta per di più di un’ipotesi di cui «ormai è difficile individuare l'autore».

Ma dov’è stato l’errore? Lo scrittore Petros Markaris, vincitore della Palma d’Oro a Cannes con il compianto Theo Angelopulos e padre del commissario Karitos, pubblicato in Italia in otto volumi da Bompiani, non ha dubbi: con l’ingresso nella moneta unica si sono trascurati i valori identificando l’Europa con l’euro. Ignorando le culture, le peculiarità, le storie diversissime che ogni stato membro ha. E individua nell’assenza di solidarietà il cancro del continente. Non era certo questa l’Europa sognata dai padri fondatori, l’italiano Altiero Spinelli su tutti. Non era certamente questa, né con questi burocrati che un bel giorno hanno deciso di commissariare uno stato. C’è chi come il titolare dell'Economia, Evangelos Venizelos, dichiara che il negoziato sul debito è sul filo del rasoio, usando espressioni come linea sottile tra il successo e il fallimento del negoziato.

Ma non bisogna dimenticare che la troika prosegue nel suo programma di austerity, proponendo al premier ellenico un altro piano di interventi da applicare subito, pena l’annullamento della nuova linea di credito bancario. Il paese però è in ginocchio e i sindacati hanno fatto intendere di non poter chiedere altri sacrifici a lavoratori già provati da riduzione dello stipendio, di tredicesime, di permessi, di indennità e con l’aggiunta di tasse schizzate a livelli record, e la benzina alle stelle. Come ha scritto il popolare quotidiano Katimerinì servono fino a tre mesi per gli appuntamenti con medici: è il risultato della grande riforma della salute, con squilibri legati al numero di visite, alla distribuzione dei medici. Si pensi che in 13 prefetture manca la pediatra. Taglia taglia, si è passati dallo spreco al caos.
A Salonicco i coltivatori di patate per protesta hanno distribuito 1.700 pacchi da sei libbre per i cittadini: dicono no al prezzo molto basso, quasi la metà del prezzo dei costi di produzione. Inoltre il 70% della loro produzione rimane invenduta, mentre le patate importate in Grecia dall'Egitto hanno una corsia preferenziale. E ancora, un altro passaggio delicatissimo è la cosiddetta “depressione interna”: la troika intende cassare la quasi totalità dei contratti nazionali del settore privato, far scendere lo stipendio base a 400 euro, e ridurre le pensioni integrative. Il tutto allo scopo di rendere più appetibile e competitivo l’intero sistema economico del paese, ma di fatto schiacciando il costo del lavoro ai livelli di Bulgaria e Romania. Con tanti saluti allo stato sociale e al welfare. Ecco la Grecia della quotidianità, che se ne infischia di note riservate, di riunioni semisegrete o di vertici improvvisati, ma deve fare i conti con i costi della crisi. Come spiegare a questa gente che il prossimo titolare dell’economia non sarà più un cittadino greco ma un burocrate dell’Ue? O, bene che vada, qualcuno che conosce già il paese per avervi trascorso piacevole vacanze in riva al mare? No, non è di queste boutade dal sapore imperialistico che l’Europa ha bisogno, ma di cervelli in fila che si sforzino di trovare soluzioni condivise e per tutti, non impulsi medievali che farebbero tornare indietro (tutti) di secoli. Al tempo delle invasioni barbariche, quando il più forte comandava sul più debole e la dichiarazione dei diritti dell’uomo non era ancora stata pensata né scritta. L’Europa per salvarsi ha un drammatico bisogno di politica e non solo di ragioneria.
Ad Atene però, come osserva Dimitri Delioanes, da trent’anni corrispondente in Italia della tv di stato Ert, sono in molti a volgere lo sguardo verso le idee neokeynesiane di Paul Krugman, Tim Worstall e Joseph Stieglitz. Dal momento che in questo modo sperano di poter convincere i tedeschi che questa è l’unica strada da imboccare. Ma, aggiunge, fino a questo momento con pochi risultati, anzi con la prospettiva di una troika ancora più determinata a tirare dritto «con il rischio di trovare alla fine solo macerie». Si accettano scommesse (solo in euro).

Fonte: Il futurista settimanale del 10/02/12

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