sabato 4 febbraio 2012

Acab, la cavalcata selvaggia di un odio liquido

La cavalcata selvaggia di un odio liquido, che crea continua instabilità. La sensazione di essere seduti perennemente su di una polveriera eterna, attorno a cui gravita un senso di esplosione incombente. Ecco spiegato l’andamento «carsico dei fattori di odio e di violenza», che nella contrapposizione tra poliziotti e ultrà emerge in tutta la sua imponenza. ACAB il libro, firmato dal giornalista di Repubblica Carlo Bonini, diventa oggi film per il grande schermo con i volti di Favino, Giallini, Nigro e per la regia di Sollima, autore di "Romanzo criminale". Il libro e ora il film rappresentano il tentativo di raccontare il nocciolo di un odio. Anche per evidenziare come sia fin troppo facile giudicare piuttosto che analizzare con coscienza certi risvolti italiani ancora più o meno oscuri. È stato il tentativo «di raccontare che nessuno è davvero immune dall’odio e dalla rabbia – riflette al Futurista Carlo Bonini – sia in qualche modo il paese ma in modo particolare una sua parte consistente: quelle giovani generazioni che in questi anni hanno subito una sorta di contagio progressivo che si è alimentato di una condizione sociale, di una solitudine politica, oltre ad un’ incultura politica, quale essa sia.

Ma anche di parole d’ordine e di un linguaggio irresponsabili». Tutto questo ha finito per creare una situazione in cui nessuno è stato estraneo a tale contagio, neanche gli uomini che indossano la divisa della Polizia di Stato. Si è così creata una situazione di «odio liquido che produce una continua instabilità, una direttrice attraverso cui rendersi conto delle continue esplosioni di violenza». Lunghi, medi o brevi periodi di quiete, li definisce Bonini, fino alla successiva deflagrazione. Una parabola per cui poi la violenza cresce di qualità, con un tratto distintivo comune: la perdita progressiva della percezione della violenza, del valore della vita umana. Il racconto dipinge chi nell’immaginario collettivo ha le sembianze di un potere fisicamente forte, che si scopre poi fragile e con pertugi di crepe. Come il personaggio di Negro, uno schizzato che trasferisce sul campo i suoi disturbi personali. «In una rappresentazione autoassolutoria potremmo individuare i buoni da una parte e i cattivi dall’altra – spiega - con il bianco e il nero ben distinti: in realtà c’è tanto grigio, per cui anche il poliziotto porta in strada l’intero carico di sofferenza personale che condivide spesso con i suoi antagonisti». Può essere il problema della casa, dei rapporti interpersonali, ma anche a un lavoro che ti depriva affettivamente. Dal momento che viviamo in un paese dove mancano quelli che si definivano fino a ieri “corpi intermedi”, ovvero il partito, la parrocchia, il circolo, ecco che la solitudine secondo l’inchiestista di Repubblica risulta implementata. Diventando uno spaventoso incubatore di violenza e un suo moltiplicatore. È il problema di quasi tutti i protagonisti della storia, sono uomini soli, nonostante siano affratellati in un clan, contrapposto a quello degli ultrà. Due mondi che trovano nello scontro il drammatico punto di contatto: «È come se fossero due metà della stessa mela, dal punto di vita socioantropologico. Gli uni e gli altri alla fine scoprono di essere molto più simili di quanto non immaginino». Aprire uno scrigno di storie simili non deve essere stato indolore? «Ho provato tanta emozione, come quando si penetra per la prima volta un mondo chiuso, come quelli in questione.

Che hanno proprie regole di appartenenza, gesti e comportamenti peculiari. Da osservare senza l’angoscia di qualsiasi sovrastruttura che di fatto sarebbe una zavorra mentale: un pregiudizio nel senso letterale del termine, ovvero un giudizio già maturato». Pertugio che incarna alla perfezione la criticità italiana, ovvero un paese che preferisce dare giudizi piuttosto che sforzarsi di ragionare e analizzare comportamenti e derive. Da questo punto di vista il libro, e a maggior ragione il film, sono molto disturbanti. La cosa in assoluto «più disturbante per ciascuno di noi è raccontarsi la verità, che ha sempre una sua meravigliosa complessità, semplice nel senso che risulta oggettiva, ma normalmente la semplicità oggettiva dei fatti poi apre a un quadro di straordinarie contraddizioni». Un passaggio molto doloroso, significa dover fare i conti con le forme più diverse di pregiudizio. Mentre un paese maturo è abituato a coltivare questo tipo di approccio, è la traccia del ragionamento di Bonini, il nostro lo rifugge. E quando è obbligato a farlo, sempre troppo tardi, in quel momento si dispera. «Da questo punto di vita noi siamo dei campioni, quanto a raccontarci, tardi e male, la verità. In passato questo percorso era accompagnato da una marcata caratterizzazione ideologica del dibattito pubblico, e le ideologi di fatto impedivano tale esercizio. Oggi nonostante l’assenza della pesantezza di quel contesto, permane l’incapacità». Vi è un problema culturale evidente, molti sociologi sostengono che in questo blocco c’è un portato della nostra marcata cattolicità, rispetto a paesi protestanti che sono nella logica del peccato e del perdono. Ciò ovviamente allontana l’esercizio crudele dell’approccio alla verità, perché il perdono dopo il peccato accorcia ed elimina tale sofferenza. «Però penso che il nostro paese ne avrebbe un gran bisogno: guardare dentro se stesso con gli occhi finalmente aperti nelle pieghe delle sue dinamiche sociali». La strada da imboccare, ancora una volta, è quella del racconto: «Non penso sia un esercizio retorico tentare una sorta di spurgo delle tossine di questi due mondi, un po’come si dovrebbe fare per la memoria del terrorismo. Il tempo non passa a vuoto, il succedersi delle generazioni serve proprio a questo. Penso che la pacificazione non possa passare attraverso l’elusione della memoria, ma solo attraverso la costruzione proprio di una memoria condivisa, rispetto al nostro passato prossimo e alle nostre radici». Da mettere per un momento da parte e iniziare finalmente a parlarsi. Senza più paura.

Fonte: Il futurista settimanale del 25/01/12

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