martedì 5 marzo 2013

Elezioni, ingovernabilità e ritorno alle urne: in Grecia è già successo


I grandi partiti, protagonisti storici del bipolarismo, che perdono almeno un terzo dei voti; la protesta e il voto contrario al sistema che conquista uno spazio inimmaginabile; un’ingovernabilità che diventa scomodo incubo anche per Borse in fibrillazione e per titoli di stato da piazzare, possibilmente, non al ribasso. Con al centro le preoccupazioni dei mercati e di un’Europa che non crede ai propri occhi. Non è solo la contingenza dell’Italia di oggi, ma l’esatto scenario accaduto lo scorso anno in Grecia alle elezioni politiche di maggio. Quando socialisti del Pasok e conservatori di Nea Dimokratia vennero terremotati dall’onda radicale di Alexis Tsipras e del suo Syriza. Che dalle urne uscì trionfatore, secondo classificato con il 16,7% mentre i consensi dei “dinosauri” della politica greca vennero letteralmente dimezzati: conservatori al 18%, socialisti al 13%, con l’astensione record del 40%.

Un’ingovernabilità figlia di un caos politico e partitico quella greca, risolta poi con l’attuale governo di salute pubblica poggiato su tre “gambe” anomale, ovvero Nea Dimokratia, Socialisti e Sinistra Democratica e soprattutto senza Tsipras all’indomani di una nuova chiamata alle urne. Ma come nacque quell’esecutivo? E soprattutto a che prezzo? Il primo voto del 6 maggio 2012 consegnò alla storia un Parlamento in carica per un solo giorno, in cui esito fu un terremoto per la vecchia politica che, nei fatti, aveva creato le premesse al buco miliardario nei conti pubblici ellenici. A cui i cittadini risposero consegnando 52 deputati al Syriza, ma anche il 7% ai neonazisti di Alba dorata. La freschezza del leader Tsipras fu premiata dagli elettori, in ansia per un futuro allora incerto e oggi devastante, convinti che fosse giunto il momento di virare da una politica indiscriminatamente liberista verso una più modellata sul welfare e sui temi sociali. E’ grazie a queste sfumature che Tsipras, l’unico a fare veramente il pieno durate i comizi, riuscì a pescare oltre il classico bacino elettorale della sinistra radicale, ma fece presa anche sulla classe media, su quella che si è vista stipendi e pensioni ridotte del 20% e che subisce l’iva al 23%. Ma il leader del primo partito, il conservatore Antonis Samaras proprio come Pier Luigi Bersani aveva bisogni dei numeri degli altri per formare un governo. E al primo tentativo fallì, registrando i “no, grazie” proprio di Tsipras, poi dei socialisti di Venizelos e infine dei democratici del Dimar. Furono giorni di fuoco non solo nella Grecia che distribuiva rimborsi elettorali per cento milioni mentre nel Paese iniziavano a scarseggiare i farmaci antitumorali, ma anche perché l’Eurozona temeva seriamente il peggio. Per qualche ora si aprì lo spiraglio del governo tecnico, e dopo il fallimento delle consultazioni sembrava che il capo dello Stato Papoulias avesse raggiunto l’obiettivo di un esecutivo di unità nazionale con moderati e socialisti. Invece Alexis Tsipras decretò: “Non ci chiedono solo di essere d’accordo, ma anche di essere complici”.

Ma poi fu chiaro che l’unico risultato portato a casa fu di un grosso, grasso pasticcio greco: niente accordo di governo, e nuove elezioni. Un mese dopo, complice l’endorsement di Merkel per un patto pro Ue, le urne licenziarono una maggioranza composta da Nuova democrazia (al 29,6%) e dai socialisti (in calo al 12%). Battuta, ma comunque in crescita, la sinistra radicale (seconda, al 26%) che dichiarava di voler stare all’opposizione. I conservatori annunciarono il varo di un esecutivo in tempi brevi ma con miliardi di eurobruciati” dalle borse europee e con la sensazione di aver accumulato altro ritardo per via delle seconde urne che si sommava a quello storico, visto che già il premier tecnico Papademos in carica nel novembre 2011 per soli quattro mesi aveva individuato in un memorandum la soluzione alla crisi. Ieri la Grecia, oggi l’Italia. Dove il Movimento 5 Stelle deve decidere se trovare il modo di far partire un governo (magari uscendo dall’aula al Senato al momento della fiducia), oppure puntare a nuove elezioni e cercare di prendere ancora più voti.

Anche se le differenze tra Italia e Grecia ci sono, e sono grosse. Ad Atene la famosa frase, “state attenti, stiamo arrivando” non la pronunciò Tsipras ma Nikolaos Mikalioliakos, il leader dei neonazisti di Alba dorata, un attimo prima di raccogliere il 7% dopo quarant’anni di embargo dal Parlamento. Quello stesso parlamento che oggi, dopo otto mesi, è teatro di una sentenza storica: l’ergastolo comminato al sindaco di Salonicco Vassilis Papageorgopoulos perché accusato di aver rubato 18 milioni di euro.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 4/3/13
Twitter @FDepalo

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