martedì 12 marzo 2013

Kaput, quando a crollare è una visione da torre di Babele


Loro sono, per così dire, molto avvezzi ad inglobare ed annettere. E a influenzare. Come se la politica coloniale fosse ancora di gran moda, soprattutto alle latitudini mediterranee. É sufficiente dare uno sguardo all'ultima mossa commerciale della prestigiosa Frankfurter Allgemeine Zeitung per averne conferma: ha rilevato la testata simbolo dei progressisti tedeschi in acque agitate per via della crisi. E ha acquistato a prezzo di saldo la Frankfurter Rundshale, fondata nel 1945 perché, come spiega er direktore generalen Tobias Trevisan, “avere due giornali di opinione differenti non è un problema per il nostro gruppo”. Appunto. Come se la nozione di bene comune fosse una mera utopia da ritrovare solo nei saggi di Bauman, come se la certezza assoluta di aver voluto troppo fosse solo una boutade, buttata lì da qualche giornale bastian contrario. E invece a Berlino non si sono ancora resi conto di aver cannibalizzato l'Unione, comandando di fatto un qualcosa che rischia sempre più di non esserci. É come se nella loro cassetta bancaria credessero di custodire un pacco di soldi, che un bel giorno scoprono essere stati ridotti a briciole inservibili, perché rosicchiati dai vermi.

La Germania che sceglie il commento “col sopracciglio” per le urne italiane, quella Germania che troppo spesso dimentica, non solo fatti macroscopici del secolo scorso, ma anche il sostegno pro riunificazione ricevuto, è affetta dal complesso della torre di Babele. Quella supponenza da marchese del Grillo, quella spocchia tipica di chi non guarda con verve critica agli errori commessi, si legga alla voce Grecia, devastata da conti sbagliati e da tre memorandum suicidi. Quella tendenza niente affatto scontata di voler questa volta sì mettere in comune qualcosa nell'Europa, ma non debiti né tantomeno scelte o direzioni di marcia unitarie: bensì un mero e tedioso germanocentrismo. Così è stato nella Grecia affetta dalla voragine finanziaria e da un'influenza aberrante nell'immediata vigilia del voto, così è stato a Cipro dove frau Angela si è recata l'11 gennaio sorso, a un pugno di giorni dalle presidenziali per indicare il nome gradito, che poi si è aggiudicato la partita. E ci ha provato anche in Italia, con tanto di smentite, precisazioni e rettifiche che sanno un po' di vecchia melina. Ma con tutto rispetto, l'Italia non è proprio l'ultima reginetta continentale, dal momento che ne è uno dei fondatori, ha numeri altri rispetto alla consistenza industriale ellenica o cipriota. Ma ha ricevuto identico trattamento.

Che il momento politico italiano sia critico, criptico e tutt'altro che catartico è evidente anche a chi non è un addetto ai lavori. Colpe, responsabilità, infrastrutture partitiche e politiche obsolete, risposte inevase: tutte oggettività ben presenti. E figlie di difetti che, a onor del vero, l'Italia ha come non manca di ricordarci costantemente da qualche lustro Tobias Piller, corrispondente da Roma della Frankfurter Allgemeine Zeitung. 

La stessa FAZ pochi giorni fa ha illustrato ai proprio lettori che l'amministrazione tributaria in Grecia è carente (sai che notizia) in quanto il personale è composto da alti funzionari e in molti casi da lavoratori senza pc né di posti di lavoro in un ufficio vero e proprio. Forse perché il memorandum della troika ha imposto salari bulgari e licenziamenti in massa, al pari di succulenti contratti proprio per le aziende tedesche e appalti pluriennali. Ma in Germania pare che sia talmente scontata una superiorità industriale ed economica, che in verità proprio in questi primi mesi dell'anno inizia a vacillare, che ci si dimentica di dettagli non proprio edificanti. Come il caso Siemens, il colosso teutonico al centro di un enorme scandalo in occasione delle Olimpiadi greche del 2004, quelle costate il triplo del previsto, quando vi fu un anomalo e ingente flusso di denaro per assicurarsi commesse e appalti. Con le stessa azienda tedesca che ammise pagamenti in nero per 1,3 miliardi di euro con la conseguente rivoluzione all’interno del proprio management, costretti alle dimissioni  il presidente Heinrich von Pierer e l’amministratore delegato Klaus Kleinfeld. Ma senza approfondire. Sarà stata stata colpa solo di feste lussuose su fregate militari e amministratori greci insaziabili? 

Anche perché a Berlino i tedeschi anti politica teutonica si stanno dando un gran daffare. Si chiama “Alternativa per la Germania” ed è un partito non antieuropeista ma anti salvataggio dell'euro, pronto ai nastri di partenza per le elezioni politiche di settembre e per le europee del giugno 2014. Tra i fondatori né sconosciuti della politica né comici, bensì l'economista Bernd Lucke, il giornalista ed ex redattore FAZ Konrad Adam e Alexander Gauland, già capo della Cancelleria dello Stato dell'Assia. E ancora, docenti universitari, conservatori, liberali ma anche liberi professionisti privi di un “curriculum” strettamente politico come Stefan Homburg e Charles Blankart, professori di finanza pubblica ad Hannover e Berlino. E ancora Joachim Starbatty, Wilhelm Hankel, Karl Albrecht Schachtschneider e Dieter Spethmann, tra l'altro citato in giudizio in occasione del salvataggio della Grecia davanti alla Corte costituzionale federale. Passando per il più noto ex presidente della Federazione delle industrie tedesche, Hans-Olaf Henkel. Ma con a capo un 33enne, Bernd Lucke, professore di macroeconomia ad Amburgo e dimessosi dalla CDU proprio a causa della politica di salvataggio dell'euro. Non sono pirati, né grillini “ai crauti”, solo gente libera che si oppone ai soccorritori tout court della moneta unica, ma pienamente impegnati nell'unificazione pacifica dell'Europa. 
Un fronte, innovativo, aperto nelle granitiche convinzioni di frau Angela. E che fa tornare con i piedi per terra chi dimentica troppo spesso che non è impoverendo un paese e il suo popolo che si insegna la buona amministrazione. Checché ne dicano i mercati o gli emissari col sopracciglio alzato.

Fonte: Gli Altri settimanale del 8/3/13
Twitter@FDepalo

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