martedì 9 dicembre 2008

PERCHE’BRUCIA ATENE?

Da "Mondo Greco" del 09/12/2008


Brucia il centro di Atene, le vetrine sono infrante, la violenza inaudita ha fatto irruzione nella splendida odòs Ermou, sfogandosi contro incolpevoli mura e viuzze. A ruota anche Salonicco, Patrasso, Ioannina, Corfù, Iraklio, Trikala, Komotini: quasi come fossimo in presenza di focolai fino ad oggi assopiti che come d’incanto si risvegliano e danno cenni di vita. Anzi, di morte. Un giovane ragazzo ha perso la vita e non sarebbe dovuto accadere. Di chi sono le responsabilità? Quale avventatezza ha generato tale putiferio?

Odio chiama odio, violenza genera violenza? Chiediamoci se era proprio il caso di arrivare a tanto. Le scelte del governo Karamanlis possono essere condivisibili o meno e qui sarebbe il caso di aprire un dibattito interno. Si parli, si discuta, ma non si combatta. L’agorà dell’antica Ellade era il luogo in cui ci si confrontava, si discuteva, si imparava, si smontavano le proprie ipotesi e poi le si rimontavano in un clima di dialogo. Vedere le immagini di piazza Syntagma martoriata da frames degni di una guerriglia urbana fa male ai cuori di greci e di filoellenici, ma fa ancor più male perché tali sciagurate azioni si verificano in “quella” terra, patria della filosofia e delle menti eccelse dalle quali proviene la nostra civiltà.

Scandali, fakellakia, decisioni sospette: le cronache greche degli ultimi anni ne sono piene, è il cancro della democrazia. C’è chi dice che i Greci non sono come gli Italiani, perché quando si arrabbiano lo fanno sentire, come quando scioperano e bloccano con i trattori tutta Atene o l’autostrada che arriva sino a Salonicco. Proprio come fanno i Francesi che quando sono in disaccordo con le decisioni dell’esecutivo disattivano la metropolitana anche per giorni interi. Bene, diciamo noi, il popolo ha diritto a manifestare il proprio disappunto verso decisioni che investono la collettività, ma non ha diritto a generare tale vandalismo, come chi governa non ha diritto a occuparsi solo del proprio tornaconto.

Si dice che i gruppi anarchici ellenici siano i più feroci d’Europa. Non sbaglia lo scrittore Vassilis Vassilikos, intervistato da Antonio Ferrari sul Corsera quando sostiene “nessun paragone con il passato. E’il presente che dobbiamo studiare e dal quale dobbiamo imparare a capire”. Proprio questo presente che, in Grecia come in molti altri Paesi del mondo, non offre immagini confortanti. La crisi c’è, diffusa, le famiglie non arrivano alla terza settimana del mese, la meritocrazia è ancora un’utopia, spesso i posti di comando sono occupati da chi non ne avrebbe diritto per tante ragioni che tutti ben conosciamo. Ma a cosa serve distruggere? Mi si potrebbe rispondere che in Grecia tali mali sono esasperati oltremodo.

Per certi versi è vero, come ho verificato di persona. Un povero disgraziato viene martoriato da costi e tasse, senza ricevere in cambio un adeguato welfare che lo protegga, così come ad esempio accade in Svezia. A fronte di pensioni anche da 300 euro un quotidiano non può arrivare a costare due euro. Su questo non devono esserci dubbi. Se per due cappuccini si spende quanto una pizza al tavolo, beh, c’è qualcosa che non va nella concertazione tra paniere di costi e reali possibilità.

La Grecia oggi sta collassando, e gli episodi di terrore conseguenti alla morte del giovanissimo Alexis sono solo la punta (sbagliata e cruenta) di un iceberg sul quale è urgente confrontarsi e capire.

Ma i sentori di crisi in Grecia non risalgono solo agli ultimi anni, perché sarebbe il caso, e qui chiamo in causa economisti, ministri, vescovi, dirigenti, di fare un salto a dieci anni fa, quando tutto ebbe inizio con un vero e proprio fulmine a ciel sereno: il crollo della Borsa. E’lì che bisogna far risalire l’inizio della fine, è da quegli errori che bisogna ripartire per impedire che questo lembo di sogno che si chiama Ellade non cada nella stessa trappola in cui è rimasta invischiata l’Argentina.

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