Da Ffwebmagazine del 14/07/09
La centralità della coscienza come caposaldo, perché è fattore distintivo e unico dell’uomo. E poi l’apporto del concetto di individualità, la persona singola in opposizione alla collettività che tende a mischiare l’individuo. Sono alcune delle definizioni di Alexandre Vinet, fondatore della Chiesa Libera in Svizzera, autore nel 1826 di una memoria in difesa della libertà dei culti. Un libro che anticipò di un secolo e mezzo il dibattito relativo alla convivenza di culti diversi, citando ebrei e musulmani e chiedendosi esplicitamente «la libertà che va assicurata ai cristiani, deve necessariamente essere garantita agli esponenti delle atre confessioni?».
Libere Chiese in libero Stato è stato scritto nel 1826 dal teologo e pastore protestante Alexandre Vinet, considerato il più influente pensatore protestante di lingua francese dell’Ottocento. Solo lo scorso anno è stato stampato in lingua italiana, (con oltre un secolo e mezzo di ritardo su quel dibattito e su quelle scene) curato da Stefano Molino e con una postfazione di Mario Miegge.
La peculiarità dell`autore sta tutta nella posizione limitrofa che assume fra scienza e dottrina a causa di quattro fattori determinanti: egli si muove in categorie tradizionali; si apre a quelle del mondo risvegliato (connesse al fenomeno del risveglio svizzero); ne arriva ad assimilare taluni tratti, reinterpretandoli e problematizzandoli; ma mai riesce a farsi classificare sotto l’egida di una precisa etichetta. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che ha permesso alla critica di individuare in Vinet un riformatore puro, dalle movenze chiare ed essenziali, intenzionato a scompaginare schemi preesistenti non per il semplice gusto di farlo, ma al preciso scopo di riformarli.
Ma per assimilare al meglio ciò che trasuda dalle pagine del volume è utile storicizzarne i risvolti, innanzitutto partendo da quel risveglio svizzero che è l’ambiente in cui opera l’autore. In quegli anni, lo stato neutrale per eccellenza era attraversato da un doppio panorama storico: da un lato i residui fermenti rivoluzionari che in virtù dell’espansionismo napoleonico avevano contaminato buona parte d’Europa, dall’altro le pressioni della Restaurazione improntate a una retrocessione storica. Rivoluzioni liberali e spinte restauratrici, quindi, sono i due filoni della Svizzera di metà Ottocento. Il risveglio sta proprio a significare la rottura. Si pone sotto le sembianze di una spinta transatlantica che ha nel proprio dna la critica alla condizione spirituale delle chiese tradizionali e il ritorno ai grandi temi biblici. «Voglio il Vangelo - scrive Vinet - e senza dubbio è nelle mie mani. Ma non appena lo voglio leggere, mille interpretazioni si frappongono fra me ed esso».
Secondo Philippe Bridel, Vinet presenta tre peculiarità che rappresentano il suo indubbio punto di efficacia: l’attitudine a dubitare; la fiducia nella potenza naturale della verità, ovvero nella ragione; la sete di umiltà.
L’autore si mostra vicino alle posizioni di Kant e Hegel quando avanza un concetto relativo a «quel luogo che è riduzione della dualità», dove quel luogo è rappresentato dal Vangelo. In un secondo momento però egli diventa assolutamente originale allorquando avanza la soluzione all’antitesi: mentre i suoi contemporanei guardavano alle idee come fornitrici di risposte, Vinet le cerca nel «fatto della croce», che viene proposto al credente al fine di essere accettato per fede.
L’opera si articola in due distinte parti, la prima denominata “Prove” (con una serie di definizioni e di dati ad appannaggio della necessità di una libertà di culto), la seconda “Sistema” (con la proposta di una nuova piattaforma, da cui non potrebbe prescindere la ridefinizione dei rapporti tra Stato e Chiesa). Punto di partenza secondo Vinet è la libertà di coscienza, dal momento che «nessuna interpretazione può rivendicare il diritto di imporsi sulle altre con strumenti che non siano il dibattito e il ragionamento per convincere le parti avverse». Lo Stato non dovrebbe quindi occuparsi della morale religiosa, ma solo di quella sociale. «Essa non trova fondamento nella religione ma nella società stessa».
Quindi lo Stato, mentre da un lato avrà il dovere di intervenire nelle società religiose qualora esse dovessero violare norme della morale sociale, dall’altro ha il dovere di professare la propria «non competenza dinanzi alle problematiche inerenti la sfera religiosa». Il ragionamento di Vinet, ricordiamo datato inizio Ottocento, poggia sul fatto che l’intervento dello Stato nella sfera delle idee che comprendono la morale sociale, non solo è sbagliato ma per giunta anche controproducente, per due motivi: in primis perché la costrizione fa nascere un senso di rivolta; in secundis perché le idee al loro interno contengono comunque una forza propria che appare indipendente rispetto ai tentativi esterni di condizionamento. Quindi, sostiene Vinet, se allo Stato interessa realmente la verità religiosa, dovrebbe favorire il libero esame e la concorrenza tra le differenti opinioni, le quali all’interno della diversità producono una verità maggiormente certa.
Un altro fattore su cui insiste il teologo scomparso ventuno anni dopo questa pubblicazione, è che la costrizione in campo religioso danneggia anche la sottile linea esistente tra discipline filosofiche e religiose. La prima parte relativa alle Prove, dunque, si chiude con una finestra sulla situazione religiosa negli Stati Uniti, dove l’assenza di costrizione, assieme alla libera associazione di Chiese, non comporta certo un numero di miscredenti maggiori che in Europa.
Il Sistema, invece, offre la soluzione al cambiamento. Società religiosa (nata da un sentimento morale) e società civile (scaturita dalla necessità) possono comunicare fra loro solo attraverso un’influenza morale della prima sulla seconda, e con un’azione correttiva dello Stato se le religioni dovessero depotenziare la morale civile. Da questo principio scaturiscono una serie di elementi: è necessario tutelare i diritti di tutti i cittadini, senza distorsioni di fede religiosa; la società religiosa non può adottare una costrizione fisica al suo interno; Chiesa e Stato non devono porsi in concorrenza, né nelle istituzioni né negli atti; il culto deve essere pubblico, così da poter verificare che non si manifestino eventi contrari alla morale civile.
All’interno di questo quadro, Vinet fa trasparire la possibilità concreta che lo Stato, lasciando proliferare confessioni diverse e perseguendo la massima libertà religiosa, riesca a educare i cittadini «che anelano sinceramente alla verità». Un modus operandi che, solo se posto in questi termini e circondato da tali precise assunzioni di responsabilità, si erge a paladino del bene comune. Perché, riflette Vinet, se la libertà religiosa comporta il progresso dello spirito religioso, esso a sua volta favorisce la crescita di virtù private. Più esse si cementano, più di pari passo migliorano le virtù pubbliche, in quanto il buon credente è anche un buon cittadino.
Alexandre Vinet
Libere Chiese in libero Stato. Memoria in favore della libertà dei culti (1826)
Edizioni GBU
pp 353, euro 20
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