sabato 11 luglio 2009

Più ricerca scientifica per sconfiggere la crisi



da FFwebmagazine dell'11/07/09

«Cultura, imprese e sindacati stringano una grande alleanza per svegliare la politica italiana dal torpore nel quale si è cacciata, sempre e solo intenta a occuparsi di tornate elettorali». No, non è la solita lamentela del giornalista straniero di turno, che si imbatte negli affari di casa nostra. O dell’imprenditore cinese spaventato dalla mole di burocrazia che caratterizza il nostro paese. Il richiamo è firmato da Claudio Cavazza, fondatore del colosso farmaceutico Sigma-Tau, a margine di un seminario sui biosistemi. E non lascia spazio a interpretazioni o precisazioni. Il messaggio è diretto e viene esattamente un mese dopo quello lanciato dal vertice di Confindustria, nel quale Emma Marcegaglia aveva ammonito «tutti di nuovo in aula, la ricreazione è finita». La politica, nella sua globalità, a volte non soddisfa: non è un’opinione, né una polemica, né tantomeno una forzatura. È un malessere con il quale purtroppo è necessario fare i conti, e contro il quale possibilmente pensare soluzioni valide ed efficaci.

«In Italia stiamo buttando via una ricchezza, che è rappresentata dai cervelli nostrani - ha aggiunto il project manager del progetto di innovazione industriale per le nuove tecnologie per la vita, a cui tra l’altro la Contea del Maryland ha intitolato nel 1995 il premio “Claudio Cavazza Science Award” -. Se i politici non lo capiranno, beh noi inizieremo a strillare». Detto da un imprenditore che non si definisce illuminato ma semplicemente avveduto, assume un certo valore e non solo in virtù di un curriculum di tutto rispetto.
Significa che i tessuti produttivi del paese, a vari livelli, avvertono l’esigenza di efficacia, che non è né di sinistra, né di destra. È un’esigenza reale di tutti, a sostegno della quale bisogna rispondere in tempi brevi attraverso lo strumento delle alleanze.

Da noi si considera la ricerca come un lusso, per via della crisi economica che taglia fondi su fondi, non comprendendo invece come essa non solo rappresenti un’occasione di sviluppo e benessere futuro (economico e sociale), ma quanto essa sia il vero elemento di ricchezza culturale, prima, e produttiva, poi.
Come aveva ribadito il presidente della Camera Gianfranco Fini in occasione di un convegno sulla cittadinanza, «in Italia stenta ad affermarsi una mentalità da democrazia matura. È debole la percezione dei valori e degli interessi che uniscono gli italiani». È quindi su queste direttrici che la classe politica dovrebbe investire forse qualcosa in più, soprattutto in termini qualitativi.

Se ad esempio la fuga dei cervelli, così come è stato accertato da anni, è un problema che ha anche ricadute economiche e sociali negative per il territorio, che si predisponga un piano pluriennale per far rientrare in Italia i migliori scienziati, mettendoli al servizio del paese. Se, come ha rammentato lo stesso Cavazza, è necessario un anno e mezzo di tempo per esplicare gli adempimenti burocratici in seguito alla registrazione di un nuovo farmaco e se, come ormai è evidente, quel lasso di tempo ha irrimediabilmente messo fuori mercato il prodotto che tanto lavoro ha comportato e che tante vite umane potrebbe salvare, bisogna provvedere a una semplificazione di tempi e modi. Insomma, urge darsi da fare di più e meglio.
Né bisogna ritenere che riflessioni come quella del fondatore di un colosso farmaceutico, o del presidente degli industriali italiani, o di chiunque altro, debbano per forza di cose essere ricondotte a un certo pessimismo, o a un vezzo di critica fuori luogo, semplicemente perché non è così.

Chi alza un dito per esternare la propria opinione, anche in considerazione dei modi e dei tempi in cui si esprime, deve rappresentare un accrescimento, contrapposto alla calma piatta di mari e laghi passivi, che non fanno bene a nessuno. A tutti piacerebbe navigare in acque tranquille, ma tutti sanno che non è possibile, non è purtroppo nella quotidianità. Per una serie di ragioni. Anche la stampa e la critica hanno i propri doveri in questo senso, perché, come diceva Pierre Lazareff «il giornalismo è vedere, sapere, saper fare e far sapere». Che sia quindi la parola al centro, che si moltiplichino i dibattiti, le voci, anche se possono apparire stonate, ma è essenziale che ci si confronti, dal momento che il silenzio non aiuta, al pari del nascondere problemi o del sotterrare aspirazioni o, perché no, consigli e suggerimenti, come non di rado accade

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