da Ffwebmagazine del 31-07-09
Farzin, Mehrdad, Mohammad: sono i nomi di altre tre vittime di una violenza cieca, sventolata a vanvera contro esseri umani e giovani dissidenti. La notizia è stata divulgata dal Comitato internazionale di giuristi per la difesa delle vittime della repressione in Iran. Ancora sangue in Medio Oriente, questa volta ad Ashraf, in occasione di un raid iracheno contro il campo abitato da residenti disarmati, i quali godono dello status di rifugiati sancito dall’articolo 4 della convenzione di Ginevra. Si tratta di una palese violazione del Diritto internazionale, ha sottolineato il giurista Mario Lana, mentre Maryam Rajavi, presidente del Consiglio nazionale della Resistenza Iraniano, ha inviato un video messaggio nel quale esprime la «totale incapacità di Khamenei di domane la ribellione».
La polizia antisommossa in pieno assetto di guerra ha sferrato l’attacco contro gli inermi residenti, provocando la reazione indignata di numerosi organismi internazionali, come il Comitato parlamentare britannico per la libertà dell’Iran, il Comitato in search of justice e il Comitato Friends of a free Iran nel Parlamento europeo. «Chiedo al governo americano e a quelli dell’Unione europea – ha proseguito Rajavi – di condannare fortemente i complotti del regime», mentre l’onorevole Elisabetta Zamparutti, coopresidente del comitato parlamentare per l’Iran libero auspica che si predisponga quanto prima la visita ad Ashraf di una delegazione di deputati italiani.
Ma il dato rilevante e confortante riguarda la mobilitazione anche di tipo giuridico contro il regime iraniano, dal momento che questa sorta di para-resistenza, non avrà come scenario esclusivamente le strade e le piazze così come eroicamente fatto dagli studenti sino a oggi, ma anche i tribunali internazionali. Annuncia una denuncia da presentare direttamente a Baghdad l’avvocato Paolo Sodani, secondo il quale non sarà sufficiente testimoniare la propria condanna solo sui media, ma occorrerà «cessare con questa politica dell’accondiscendenza da parte dei governi europei, magari riflettendo anche sul principio di territorialità».
Secondo Maryam Rajavi ci troviamo a un punto di non ritorno, per tre ragioni distinte. Innanzitutto a causa di divergenze che all’interno del regime hanno toccato punte elevatissime tra Khamenei e Rafsanjani. Pare infatti che nessuna delle due anime del regime riesca a desistere dalle proprie posizioni iniziali.
Inoltre, la presenza ingombrante della popolazione per le strade, assieme all’accrescimento delle iniziative di protesta, hanno di fatto svilito le tesi di stabilità e invulnerabilità del regime all’interno della società, ovvero la cosiddetta velayat e faghih. Infine, si rafforza il vuoto ideologico e sociale tra la moltitudine di giovani e le istituzioni antidemocratiche. Tutti segnali, secondo Rajavi, che «di fatto concorrono all’avvio del processo di rovesciamento del regime iraniano» e che potrebbero in futuro rappresentare il fulcro di elezioni libere in un paese libero, ma a patto che il resto del mondo «non faccia finta di indignarsi» e prenda posizioni nette e incontrovertibili. Si pensi per esempio alla tecnologia europea che consente al regime iraniano di oscurare facilmente i siti internet di informazione. Per questo l’auspicio del Consiglio nazionale della Resistenza iraniano è che i paesi dell’Unione interrompano «il dialogo con il regime del Mullah, richiamando i propri ambasciatori da Teheran e, soprattutto, sospendendo collaborazioni commerciali.
Inoltre la stessa Rajavi ha suggerito al consiglio dei Guardiani del regime, di esonerare Khamenei dal proprio incarico e in seguito di provvedere allo scioglimento dello stesso istituto.
La divulgazione della notizia dell’attacco alla comunità di Ashraf ha di fatto preceduto di poche ore un’altra triste notizia, quella di una serie di cariche della polizia in Iran. In occasione della manifestazione in ricordo di Neda, la giovane uccisa lo scorso 20 giugno, le forze dell’ordine hanno attaccato i manifestanti riuniti al cimitero di Behesht-e Zahra, nel sud di Teheran, picchiandoli con bastoni e manganelli. Tra gli arrestati ci sarebbero anche i registi Mahnaz Mohammadi e Jaafar Panahi.
Ma l’ennesimo episodio di repressione armata da parte del regime iraniano non è riuscito a impedire che sulla tomba di Neda venissero comunque depositate corone di fiori e candele accese, fiammelle di speranza, in un paese strangolato dall’odio e dalla violenza, dove la stampa è bandita, dove le istituzioni fanno a gara per oscurare le voci e placare le proteste degli studenti. Un paese che chiede solo un piccolo aiuto alla comunità internazionale, auspicando che essa non sia troppo impegnata in calcoli di import-export e che finalmente si renda consapevole della gravità assoluta di questi tristi giorni.
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