lunedì 6 luglio 2009

Quell'integrazione vera, che parte dal campo di calcio

da FFwebmagazine del 06/07/09

«Amate dunque il forestiero – diceva il Deuteronomio –, poiché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto». Hans George Gadamer predicava «È un errore molto diffuso quello di ritenere che la tolleranza consista nel rinunciare alla propria peculiarità cancellandosi di fronte all’altro». Dio, Budda, Allah, nessuno: non importa chi, non importa cosa e non importa se pregheranno, importa che lo facciano assieme in un luogo diverso dalla loro casa, uniti nello sport, nei riti che precedono una gara di calcio, uniti perché gruppo. Si stringeranno prima del fischio di inizio, al termine di una sconfitta o per festeggiare una vittoria. Quello che importa è che lo facciano insieme, e insieme partecipino al terzo tempo, quando i ventidue in campo si saluteranno al novantesimo minuto prima di far ritorno nei rispettivi spogliatoi.

La notizia che la comunità romena di Bari prenderà parte con una propria squadra composta da tredici elementi (che in passato hanno militato in compagini romene) al campionato italiano di terza categoria, rafforza il concetto di integrazione. Quella vera, reale, quella che si consuma tutti i giorni per strada, al supermarket, nelle università, in pizzeria, oppure allo stadio. Non quella annunciata ai quattro venti dai mille buoni propositi (come il no alla guerra, alla fame) e poi abilmente mascherata dietro barriere e muri. E il fatto che a battezzarla sia un evento sportivo non può che accrescere quel sentimento di coinvolgimento e di comunione che parte dal basso, e non da vertici o da summit internazionali.

Qui c’è un gruppo di amici che nelle pause di lavoro (si occupano di agricoltura e di edilizia) hanno deciso non solo di tirare quattro calci a un pallone, ma di unire le forze e fare squadra. Così è nata tre anni fa la Asd Romania Bat, (che sta per le iniziali della provincia di nuovo conio di Barletta, Andria e Trani), grazie all’entusiasmo di Mihai Gecaleanu, in passato in forza alla squadra dell’Universitatea Craiova. Giunto in Italia e con l’aiuto di qualche annuncio sui giornali locali, ha fatto la sua campagna acquisti ed ecco che nel 2008 è riuscito a portare a casa il suo prezioso scudetto: il primo posto in un campionato dilettantistico organizzato da un centro sportivo di Andria.

Da oggi la squadra è ufficialmente affiliata alla Federcalcio ma non è questo il solo elemento di soddisfazione. Senza scomodare il concetto tanto caro a Pierre de Coubertin di partecipazione leale e bella (dentro) all’evento sportivo, che vada al di là della vittoria, qui emerge un fatto, che non si presta a interpretazioni o a valutazioni analitico/filosofiche: gli italiani, acquisiti o meno, oggi sono una realtà. Come aveva rilevato il presidente della Camera Gianfranco Fini in occasione di un seminario sulla cittadinanza, «il nuovo moderno e strategico impegno delle istituzioni deve inoltre essere quello di far sentire l’Italia come patria anche a coloro che vengono da paesi lontani e che sono già o aspirano a diventare cittadini italiani. Non si può chiedere a questi nuovi italiani di identificarsi totalmente con la nostra storia e con i nostri costumi. Sarebbe ingiusto e sbagliato pretendere di assimilarli nella nostra cultura. Per loro la patria non potrà mai essere la terra dei padri. Però si può e si deve chiedere loro di partecipare attivamente e lealmente alla vita collettiva».

E iniziare da un campo di calcio di terza categoria, magari senza le tribune vip o le panchine termoriscaldate, è un segnale importante, per chi come la Asd Romania Bat il suo scudetto l’ha già vinto. «Uniti ma indipendenti, distinti ma inseparabili. È questa la chiave della nostra identità comune»: questo appello di Zygmunt Bauman dovrebbe indurci a più di una riflessione.

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