lunedì 7 giugno 2010

Intellettualoni? No, uomini che pensano senza padroni


Da Ffwebmagazine del 07/06/10

Sacrilegio! Qualcuno prende il coraggio a due mani e dà la sveglia alla gente le cui menti continuano a incancrenirsi grazie a modelli fasulli e fuorvianti. Ma chi avrà mai osato tanto contro le analisi scontate dei vecchi parrucconi dell’intellighenzia italiana? Quale penna superba e dai contenuti astrusi si sarà resa protagonista di una rivoluzione copernicana letteraria, che non guarda in faccia a nessuno e che procede come un cane sciolto? Quella penna, apprezzata da un discreto numero di lettori, che gli sono valsi un Campiello e una finale allo Strega nel 2009, è però vista come misera e insignificante da un duro articolo de Il Foglio di un paio di giorni fa, dove ad Antonio Scurati viene imputato non di diffondere tesi sconvenienti, o di fomentare l’odio razziale, o di far stampare libri noiosi. Ma di scrivere con parole difficili, scordandosi così le cose semplici. Producendo in questo modo un filone modesto, senza il fedele sostegno di un correttore di bozze che intervenga per redimere e tagliare “ortografie fantasiose”.

E andiamo a vedere allora dove stanno le parole difficili che fanno dimenticare le cose semplici, così come viene epitetato da un fogliante. Dunque, Scurati ha più volte detto, in un impeto di supponenza degna di quei rompiscatole di intellettualoni che circolano in Italia negli ultimi anni, che il dramma dei giorni nostri è quello di sostituire al tragico l’osceno. A opera dei mezzi di informazione, che pompano adrenalina nell’inumano che è dentro ciascuno di noi, rendendoci di fatto sordi al dolore degli altri.

Oggi gli spettatori incarnano la singolare figura di moderni gladiatori, che relegano la ragione in un lato torbido e polveroso, issando gli istinti a metro di comportamento e di valutazione. Scurati- ma come si è permesso?- parla di un mare di violenza e disinibizione che “ingrossa ad ogni sigla di Tg”. In questo fiume carsico di immagine cinematografica in dieci D, la finzione viene pericolosamente venduta come realtà, producendo nelle menti e nei successivi gesti innegabili cortocircuiti. Esempio lampante -dice sempre quel pericoloso e tedioso intellettuale che parla difficile e non capisce le cose semplici- è dato dal magma invadente dei reality, riconosciuti come “la” casa o l’isola di tutti, anziché come una casa o un’isola che tali non sono, per via della presenza di telecamere h24, di storie da costruire o costruite, di un mondo che è qualcos’altro. Ma non ciò che sembra. Imitare la vita altrui, sostiene Scurati, non equivale a capire a fondo la nostra. E ciò in riferimento a quella dieta, o a quel ritocco estetico, a quel preciso capo di abbigliamento, anche se tutti lo indossano come tanti militari in fila che obbediscono ad un solo padrone, in una caserma linda e splendente di cera.

Nei suoi libri e nelle sue pericolose elucubrazioni, il nostro predica inoltre un ritorno all’umano e agli uomini, esortandoli a convivere all’interno di una società capace sì di utilizzare la tecnologia per favorire gli incontri, ma solo se poi essi si svolgano dal vivo, e non solo su di uno schermo al plasma. Una società che metta a frutto il proprio disincanto non per intestardirsi sull’episodio di cronaca rosa, ma per attingere il senso più intimo del non inginocchiarsi dinanzi ai potenti. «Ecco a che serve l’intellettuale», conclude Scurati in quell’intervista, «ecco in che modo la letteratura anche marginalizzata, anche dichiaratamente sconfitta, può aiutarci a rientrare in possesso di noi stessi e del mondo, virtuale e non, che abitiamo».

Sono queste le tesi che dimezzano la fiducia negli “intellettualoni italiani”? Sono queste le posizioni figlie di “una strategia promozionale”, e di uno che “non ha il talento del grande romanziere che vorrebbe essere”?
Questa, invece, sembra proprio essere la voce capace di elevarsi più in alto del frastuono televisivo, perché invita a non costruire le proprie riflessioni sul rifiuto di tutto e di tutti. Perché non si arrampica strumentalmente per consolidare posizioni assurde, magari lontane anni luce dal quotidiano. Perché non decide di isolarsi dal contesto per non sporcarsi le mani, così come altri intellettuali o pseudo tali fanno, quelli per intenderci che non invogliano propriamente nuovi lettori, e che non vendono poi molte copie. Scurati decide di entrare nel merito e una volta lì, poi si differenzia soggettivamente. Perché non si rinchiude nel suo ego sconfinato, ma lo intreccia con gli eventi, raccontandoli semplicemente e ovviamente interpretandoli secondo la propria personale visione: che può anche non piacere, che può essere oggetto di critiche, rilievi, commenti, scontri dialettici. Ma che a noi e a migliaia di lettori, però, piace.

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