mercoledì 16 giugno 2010

Un anno fa, l'Onda iraniana. Adesso non lasciamoli soli


Da Ffwebmagazine del 16/06/10

A un anno dalla rivoluzione verde sbocciata nelle strade di Teheran e a un anno dal sacrificio di Neda, il mondo si interroga. E si interroga su cosa abbia rappresentato quell’esperienza, su come foraggiarla e su quali basi far muovere l’azione della comunità internazionale. Forse non a tutti sono chiari i contorni di questo movimento e più in generale le caratteristiche di una stratificazione socio-culturale vogliosa di emergere. Il 60% degli studenti iraniani è di sesso femminile; donne sono anche il 50% degli scrittori del paese. Si registra una vitalità femminile che andrebbe incoraggiata e promossa, anche dall’Europa.

La questione iraniana ha di fatto cambiato gli assetti geopolitici, l’etica, il linguaggio della narrazione di giovani vite scese in piazza per manifestare. E per riaffermare la propria libertà. Dodici mesi dopo ci sono due rischi: che sbagliando diagnosi, si sbaglino strategie, analisi e provvedimenti. E che ci si faccia distrarre dalle questioni finanziarie legate alle risorse di quella porzione di mondo, senza curarsi delle speranze di un popolo di studenti spruzzati di verde.

Difficile che le sanzioni approvate dall’Onu qualche giorno fa potranno realizzare quello che l’Onda non ha completato. Lecito porsi quesiti, ma con la consapevolezza che il problema della libertà degli iraniani non vada affrontato per “compartimenti stagni”, per dirla con le parole di Benedetto Della Vedova, ma si interfacci con una molteplicità di eventi e considerazioni. Il pensiero va alla nave dei pacifisti (?) attaccata da Israele, al dossier Libia che “andrebbe maneggiato con più delicatezza” e al mancato ruolo dell’Unione europea. Difficile pensare che un paese dove si impiccano gli omosessuali e i dissidenti spariscono nel nulla possa temere sanzioni che, nei fatti, non sembrano poi così dure. Per giunta stemperate da una posizione di traverso della Turchia (era nel rischio delle cose) e del Brasile, vera sorpresa degli ultimi giorni. Rileggendo le ultime note di cronaca, il compromesso raggiunto prevede che l’Iran potrà far arricchire all’estero una piccola porzione di uranio, 1200 chili, e dal territorio turco riceverà uranio già raffinato.

Sul contesto generale hanno influito non poco i fatti di sangue della Freedom Flotilla dello scorso 31 maggio, con nove vittime, a seguito dei quali molte iniziative sono state annunciate: il primo ministro turco Erdogan ha minacciato di ridisegnare i rapporti commerciali e militari con Tel Aviv; Ahmadinejad da Istanbul ha chiesto una prova di fedeltà alla Russia, sventolando un countdown «della distruzione contro il falso regime sionista di Israele». In questo contesto l’Onu ha deciso di intraprendere la strada delle sanzioni, ma non si sa fino a quando si potrà parlare di sanzioni, perché in realtà non si tratta di obblighi ma di consigli. L’unica imposizione riguarda il non poter acquistare armi pesanti come missili ed elicotteri. Sul fronte commerciale il “consiglio” delle Nazioni Unite è quello di prevedere ispezioni a bordo di navi e aerei iraniani. Si dice che a Teheran potrebbero facilmente ovviare a questo provvedimento, cambiando nomi e bandiere ai cargo.

Altro consiglio, quello di sospendere temporaneamente le transazioni già in atto con le banche. Nessuna notizia, invece, sull’importazione di benzina. Dettaglio che apre più di un’ipotesi, sul fatto che il pacchetto di sanzioni dell’Onu siano poca cosa. Tra l’altro il portavoce del ministro degli esteri iraniano, Ramin Mehman Parast, ha detto che le sanzioni non giungeranno ad alcun obiettivo, sostenendo che l’Occidente non può pretendere che un «membro del Trattato di non proliferazione nucleare rinunci ai suoi diritti», sviluppando un pacifico programma nucleare.

Altra nota dolens, il ruolo dell’Europa. Catherine Ashton, alto rappresentante della politica estera dell’Unione, a 24 ore dall’approvazione delle sanzioni si è lasciata andare un: «Se l’Iran volesse ancora venire a parlare con noi…». Manifestando quantomeno una stravaganza diplomatica non solo personale, ma più in generale dell’intera Ue. Non sarà con tale timidezza che si bloccheranno le bombe e le repressioni del regime iraniano. Non è con azioni generiche ed ispirate dalla logica dell’emergenza che si offriranno sponde efficaci al movimento dell’Onda.

Come impedire, dunque, che quell’esperienza non venga ridimensionata? Nessuno potrà escludere a priori fasi carsiche, con interruzioni fisiologiche e con un successivo moto di ripresa. Ma, ad esempio, pochi avrebbero scommesso che il regime degli Ayatollah avrebbero potuto contare oggi su di un alleato inaspettato, il Brasile. L’Onda, allora, va ingrossata, coccolata, diffusa. Perché rimane l’unica via iraniana per la democrazia e l’Ue ha l’obbligo morale e politico di sostenerla, difendendola dai tentativi di delegittimazione. Lo scorso 12 giugno i giovani iraniani all’estero hanno manifestato in tutte le principali capitali del pianeta: per dare un segno, per far sventolare un colore, il verde della speranza, il verde dell’Onda. Non lasciamoli soli.

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