Che paese è un paese che anela come fosse ossigeno vitale a ogni alito di cultura, per poi rendersi conto che non è vento ma spiffero, briciole di una pietanza che non arriverà mai sulla tavola? La cultura d'Italia è sempre più appesa al filo del mecenatismo, anzi, a pticcoli interventi basati sullo sforzo delle fondazioni bancarie o piccoli esempi di filantropia che, rispetto 'al mecenatismo europeo o statunitense, sono poca roba. Il problema vero è che nell' Italia di oggi e del secoto breve una vera e propria cultura della "filantropia non c'è mai stata, solo interventi dignitosi ma disarticolati, perché forse manca del dare senza ricevere, e si intende l’arte e l’intero panorama nazionale come fosse un peso da far portare a chi ha più muscoli. La cultura e l'arte d'Italia rappresentano di fatto non il patrimonio di un singolo paese, ma almeno di quattro, se si volesse considerare l'epoca romana, medievale, rinascimentale e barocca. Ragion per cui l'intero sistema di infrastrutture che affianchi questo sterminato pedigree italiano dovrebbe essere ampio ed efficace. E invece non lo è, preda di tagli indiscriminati e spesso anche di deficienze cognitive imbarazzanti. Ovviamente lo Stato da solo non è sufficiente, e anzi, si assiste dal 1985 a una progressiva diminuzione dei fondi destinati alla cultura e all'arte. Con i picchi dell'oggi, in virtù di una manovra che lascerà sul campo solo macerie, oltre a quelle già esistenti ad esempio a Pompei. Il problema, come più volte rilevato da Andrea Carandini, presidente del consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, è legato a una classe dirigente impreparata e svogliata, che si occupa di cultura solo in tempi di vacche grasse. Nella consapevolezza che una grande crisi, come: l'attuale, si può anche passare, magari rinchiudendosi - In una grotta e attendendo che la nottata sia terminata-. Ma Oggi all'Italia accade un fenomeno ben più grave di un evento estemporaneo: latita una dirigenza complessiva che comprenda il significato della cultura, e coniugato proprio in questa terra, patria di "bellezza" che tanto ha dato alla società di tutti i continenti. A cui manca una sera e propria industria culturale, e in cui spesso chi dovrebbe proteggere questo grande fiore all'occhiello bianco rosso e verde si perde in battaglie ideologiche (come accaduto a Sandro Bondi nella sua avventura al dicastero del Collegio Romano). Ma una percentuale di responsabilità alberga anche in quella fascia a imprenditoriale che non ha osato scommettere sulla cultura, tranne casi sporadici. Ma andiamo con ordine. Il mecenatismo si sviluppa nel periodo umanistico-rinascimentale e prende il nome da Gaio Mecenate, scrittore uomo politico romano (69 a. C). Che, una volta ritiratosi a vita privata decise di contornarsi di artisti e poeti, incoraggiandone le opere: il potere politico attirava alla propria corte quelle energie capaci di eccellere nette arti, nelle lettere, nel diritto. Così da offrire lustro con il proprio impegno. Si leggano le pagine vergate da Baldassare Castiglione che nel Cortigiano consiglia l'intellettuale di: «voltarsi con tutti i pensieri e forze del suo animo ad amare e quasi ad adorare il principe a cui serve, compiacerlo nelle sue voglie senza adularlo...Non sarà vano e bugiardo,vantatore e adulatore inetto, ma modesto e ritenuto, usando quella riverenza e rispetto che si conviene al servitore . verso il signore».
Nel 2009 il 19% dei finanziamenti alla Cultura.: è venuto da privati, a metà tra mercato e mecenati. Questi ultimi sono sempre più rappresentati dalle fondazioni bancarie che, come ricordato dal presidente dell'Acri Giuseppe Guzzetti, hanno una funzione maieutica, perché non solo danno un contributo noto a tutti, ma assolvono una dinamica delicatissima. In quanto attirano gli interventi privati e sovente si sostituiscono al ministero (assente) sotto forma di cabina di regia. Molti sono gli imprenditori, osserva il vertice dalla Fondazione Cariplo, che non sanno a chi rivolgersi per restaurare una chiesa o per avviare una manutenzione di un museo. Una strada perciò è quella dei distretti culturali, ovvero interventi mirati sul territorio che abbiano un grande sguardo comune, un progetto insomma ad ampio respiro, che non facciano di quello sforzo economico un interessamento isolato. Ma venga ricompreso all'interno di una dinamica più generale, stabilendo in concreto un'armonia di interventi legati all'arte, alla cultura, alla scienza. In questo però rifiuta la cosiddetta funzione bancomat, in quanto il rischio è che chi richiede un intervento nello specifico dette fondazioni bancarie, alla fine voglia solo liquidità per meri scopi di un ritorno pubblicitario. Il pensiero corre a un sito come il Colosseo. O come a Pompei, dove vi sono al momento tutti i presupposti per procedere al salvataggio, grazie a più di cento milioni di euro che però dovranno essere gestiti con serietà e rigore, per impedire che attirino gli appetiti della criminalità. In questo senso va interpretata la presenza in loco del commissario europeo. Come dire che anche la cultura italiana corre il rischio di essere commissarsata. Ma un passo in avanti e possibile, lo dimostra l'associazione Amici degli Uffizi, gestita da una branca di Confindustria: Confcultura, a cura di Patrizia Asproni. Che è riuscita ad attirare donazioni, straniere (precisamente di venticinque milionari 80enni residenti a Palm Beach che hanno staccato un assegno ciascuno di venticinquemila dollari invogliati dal fatto che l'Italia è la culla mondiale della cultura e va salvaguardata), ma con precise garanzie. E soprattutto mutando il termine mecenatismo in quello che gli anglosassoni definiscono "fundraising". Un interessante punto di partenza, che però deve essere considerato tale, dal momento che solca un mercato come quello statunitense già florido di Mecenati. E con la speranza che anche qui in Italia si assista a un minimo scatto di orgoglio da parte di chi, da questo paese, ha ricevuto tanto in termini di produzione, manodopera, dividendi e che adesso, proprio adesso quando tutti i rubinetti sono chiusi, dovrebbe fare di più, ora che lo Stato non assolve al suo compito. Il Ministero della Cultura, oggi, ha delle indubbie criticità: rifiuta un ammodernamento tecnologico, ha una dinamica organizzativa lenta, ma non per questo va abbandonato al suo destino. Perché, come ammonisce lo stesso Carandini, se crolla il ministero crolla la cultura. L'auspicio è che una nuova borghesia nutra il sentimento di appartenenza a una cultura comune, che si adoperi materialmente in misura sempre maggiore per dare ciò che dalla società ha avuto. Anche, perché no, grazie all'aiuto di veri e propri moderni operatori, che gestiscano una sorta di grande industria nazionale della cultura, ergendosi a interfaccia qualificato e competente tra le esigenze di un paese millenario come l'Italia, la sete di cultura e i fondi da "rastrellare" e gestire con oculatezza. In fondo è stato forse l'eccessivo statalismo italiano del passato a non consentire lo sviluppo di un vero e proprio mecenatismo. Si pensi al fatto che un colosso industriale e politico come Gianni Agnelli di fatto ha lasciato solo un patrimonio in quadri, devolvendo a Torino la sua pinacoteca. Un po' poco per chi per decenni si è visto inondare di finanziamenti pubblici per avviare stabilimenti in tutta Italia. O no?
Fonte: Il futurista settimanale del 05/11/11
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