Lo shock è stato di quelli che difficilmente saranno superati senza conseguenze, non solo economiche ma soprattutto politiche. Perché i vertici continentali, ovvero il binomio Merkel-Sarkozy non digerirà facilmente l’annuncio del primo ministro greco Papandreu di indire un referendum sulle misure anti crisi. E già per il prossimo mese di dicembre. Ma come, si chiedono in molti, proprio adesso che si stava con difficoltà riuscendo a far metabolizzare gli interventi, internamente al paese e all’esterno in sede di troika, ecco che Iorgos, o come lo chiamano in patria George per via del suo non-ellenismo, fa saltare il banco? Numerose le chiavi di lettura questa mattina dei quotidiani greci, ma soffermiamoci su due ipotesi. La prima prevede che il leader del Pasok abbia scelto la strada della sopravvivenza politica e si sia reso conto della fragilità del suo mandato. Complici le defezioni del suo partito, la maggioranza di 152 deputati socialisti sui complessivi 300 è molto risicata, sarebbe infatti sufficiente un’altra defezione per far concludere definitivamente l’esperienza governativa socialista. Quindi vorrebbe correre ai ripari, riallacciando i contatti con i cittadini vessati dalle drastiche misure che, è utile ricordarlo, non faranno ridurre il debito greco. In quanto nel 2012 aumenterà fino a sfondare il tetto del 160% del pil, come gridavano i manifestanti dinanzi al parlamento ellenico pochi giorni fa. Di qui le considerazioni che la crisi non è greca, ma europea e mondiale e la scelta di chiedere proprio al popolo un giudizio sugli interventi. Con la drammatica conseguenza, però, di uno scenario surreale se dovesse prevalere un voto negativo. A quel punto cosa accadrebbe? Inoltre si è già verificata una destabilizzazione della totalità dei mercati europei, con i crolli di tutte le borse già da ieri. A soffrire più di tutti, in Italia, i titoli bancari, con perdite significative. Ma con il (piccolo) vantaggio per Papandreu, che ieri ha anche sostituito tutti i vertici militari, di poter di nuovo guardare negli occhi i propri elettori. Altra interpretazione, questa volta più avventurosa, ma non per questo inverosimile: la Grecia ha capito che le misure della troika non la salveranno dagli speculatori, che l’Ue non emetterà eurobond, che la troika non vede con favore (nemmeno gli Usa) un’avanzata di capitali cinesi che diano manforte alla crisi e allora ha deciso, come spesso accaduto in passato, di fare da sola, perché si sente una cavia. E rischiando, sotto tutti i punti di vista, non avendo più nulla da perdere. Se la logica vorrebbe che annunci come quello del referendum venissero al più presto ritirati per consentire ai paesi cosiddetti Piggs di evitare il contagio ellenico, il seme del dubbio si insinua parallelamente in questa storia di debiti scaduti, promesse non mantenute ed equilibri geopolitici. Perché non sarebbe saggio, oggi, ragionare sulla crisi ellenica senza analizzare anche altri fattori complementari: come la corsa ai giacimenti di gas nell’Egeo, le intenzioni dei russi, già presenti commercialmente nell’intera area sino a Cipro, la riluttanza tedesca a soluzioni anche extra continentali. Senza dimenticare il ruolo obliquo di Obama.
Fonte: ilfuturista.it del 02/11/2011
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