domenica 18 dicembre 2011

Quella visione “poltronistica” in voga al Tg1

Venti direttori in quarant’anni di esistenza. Di cui, si badi bene, quindici dal ’90 a oggi. La storia del Tg1, soprattutto nel periodo in cui la politica ha deciso di “occupare” la televisione di stato, si è intrecciata pericolosamente più con gli umori che con i piani aziendali; più con i volti graditi che con una programmazione lungimirante che guardi agli obiettivi tecnici. E solo a quelli. Con il risultato sotto gli occhi di tutti, si veda l’ultima triste parentesi della direzione affidata ad Augusto Minzolini, punta di quell’iceberg definito struttura “delta”. Che semplicemente se ne infischiava di dare le notizie, mortificando il senso stesso di un tiggì pubblico. Volgendo lo sguardo al passato, glorioso, del telegiornale dell’ammiraglia Rai, si osserva che il numero dei direttori registra un’impennata notevole man mano che ci si avvicina agli ultimi vent’anni. Negli anni Settanta due i vertici, Rossi e Colombo. Poi dal 1980 tre, Fede (vicario), Longhi e Fava. Il boom numerico inizia negli anni novanta, dove si apre un decennio addirittura con otto direttori: Vespa, Longhi, Volcic, Rossella, Fava Brancoli, Sorgi, Borrelli. Per arrivare al 2000 con Lerner, Longhi, Mimun, Riotta, Giubilo, Minzolini e il neo direttore Maccari. Una visione per così dire “poltronistica” del Tg1, essenzialmente perché è sufficiente guardare i numeri e farsi un’idea. A scapito di tutto il resto. L’input ai piani alti di viale Mazzini non è la programmazione, ma solo il riflesso specchiato di nomi e volti graditi. Che, per carità, guardando ad alcuni di quelli, anche di comprovato valore, ma il punto non è questo. Bensì logica aziendale e editoriale vorrebbe che al primo posto vi fosse un minimo di lungimiranza e di pianificazione.

Cosa significa che a un direttore sollevato dal proprio incarico, come Minzolini, gli si offre una sede estera di indubbia rilevanza? Non un ragionamento sulle capacità dei singoli, non un provvedimento che abbia un senno, non un’intuizione che sia figlia di analisi oggettive e non di attinenze. E allora osservando quei numeri indietro nel tempo si ha la sensazione di una schizofrenia verticistica impressionante, che nessuna azienda sana di mente del pianeta adotterebbe. È come se una squadra sportiva cambiasse ogni anno il proprio allenatore: con il solo risultato di tanto caos e risultati zero. E con la concorrenza che gongola.

Fonte: ilfuturista.it del 15/12/11

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