giovedì 6 settembre 2012

Se la Bella Addormentata è la metafora di un paese…

Quando Toni Servillo rileva «temo che quelli che ragionano per tesi resteranno delusi» fa capire a grandi lettere che, i farisei italiani definiti da Marco Bellocchio «maestri di pensiero di destra e di sinistra», dovrebbero stare alla larga dalla pellicola presentata in questi giorni alla mostra del cinema di Venezia. La Bella addormentata è un film. Punto. Certamente non uno qualsiasi, per via del codazzo infinito di riflessioni che comporta, per le ripercussioni interne ed esterne di un paese eternamente pigro e troppo timoroso del nuovo e di un domani da costruire con realismo e senza specchietti retrovisori (cardinal Martini docet). Ma le parole del protagonista e del regista non lasciano scampo a cattive interpretazioni: nessuna strumentalizzazione da parte della politica.

Ecco il messaggio, chiaro e forte, che viene lanciato dal Lido. Per tutta l’estate Bellocchio ha ripetuto il ritornello che non si tratta di un film sul caso Englaro, nonostante l’abbia intenzionalmente ambientato in quella settimana del febbraio di due anni fa quando il corpo di Eluana arrivò alla clinica Villa Quieta di Udine, dove la sua vita artificiale si sarebbe spenta. Molti i frames di quell’isterismo che si verificò nel paese: nelle sue strade, nelle case dei cittadini, perfino in Parlamento. Per questo risulta evidente che alla base del film non c’è solo un fatto seppure ingombrante di cronaca, ma il tentativo, così come fatto con Buongiorno notte, di travalicare fatti e opinioni per scomporre un quadro d’insieme.

Lubrificarlo accuratamente come si fa con un’arma da fuoco, oliarne gli ingranaggi, verificare falle o incrostazioni. E un attimo dopo tentare una ricomposizione: scevra da contaminazioni aprioristiche, aperta al libro arbitrio, incline alla critica, anche aspra. Ma dura proprio perché utile, cruda perché l’unica strada da percorrere per trasformare uno status quo che non può restare tale.
Non è stato facile il lavoro di Bellocchio, non fosse altro perché non ci sono solo fatti in serie che si sviluppano in quei giorni. Bensì il racconto, complesso, articolato e mai scontato, dell’anima di un paese. Quell’Italia che a volte si sbocca in urla compulsive e accecanti (come dimenticare quelle del senatore Quagliarello in “quella” famosa notte o le considerazioni di Berlusconi su Eluana potenziale mamma?), che si annoia nell’azzardare domande scomode e risposte ancora più imbarazzanti, che dovrebbe togliersi una volta per tutte gli occhiali di un passato che non tornerà per abbracciare altre visioni e altre forme di rispetto, per tutti.

Per l’autodeterminazione del singolo individuo, per uno stato che non sia invasivo, per una società in continua evoluzione da accompagnare nelle sue esigenze e non da ignorare tout court. È in quel pertugio che si può apprezzare la sfumatura del film: scomodo, che è come un pugno nello stomaco. Ma che, proprio per questo, è efficace.

Fonte: il futurista quotidiano del 6/9/12
Twitter@FDepalo

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