lunedì 3 settembre 2012

Viva il mare, culla “simbolo” del viaggio


Ha scritto Alexander Pope che il mare unisce i Paesi che separa. Quel fazzoletto liquido che rappresenta un ponte tra pangee immobili. Che, ognuna sulla propria riva, attende gli eventi, a volte li sfida, li subisce o li affronta, li devia o ne viene sommersa. E poi riparte, con storie millenarie che non fanno mostra di soffrire il tempo o i tempi. Ma disegnano coordinate geografiche che si fanno carni e ossa. Cosa ispira il mare? Quell’infinito blu cobalto, solcato da braccia e occhi, in un vortice di emozioni e avventure? Altre emozioni, altre avventure e soprattutto la penna di chi le ha affrescate in una sorta di nastro conduttore intenso e duraturo. Un filone che non si esaurisce, perché non si limita a riportare fatti e circostanze, ma tratteggia personaggi che in quel mare e a causa sua hanno lasciato il segno. Arturo Perez Reverte non solo raccoglie ne Le barche si perdono a terra ben novantasei tra articoli e testi sul mare e sui marinai di ogni genere e specie che lo hanno solcato, ma fa molto di più. Perché, grazie a una visione ancestrale che travalica miglia nautiche e forze piratesche, regala ai lettori la trasfigurazione ideale di un movimento e di una meta che si fa arrivo e partenza: il viaggio e il mare. I viaggi come movimenti inesauribili, di contatti e scontri. Il mare come gocce di acqua salata che compongono uno strato liquido infinito: lì, proprio tra una cascata e l’altra si intrecciano sogni, paure, ambizioni e storie. Tante storie. Diverse, affascinanti, di amore e di odio, di tristezza e di gioventù, di attacchi e difese, di fughe e di ripartenze. In un valore naturale unico nel suo genere, da sempre al centro dei movimenti tellurici della storia del mondo e dei paesi che lo hanno abitato e solcato. L’ex inviato di guerra nato a Cartagena, che nella sua carriera ha fatto incetta di premi e riconoscimenti (Premio per la letteratura europea Jean Monnet e il Prix Méditerranée Etranger assegnato dall'Académie Goncourt, mentre in Italia, dopo aver vinto con Il pittore di battaglie la seconda edizione del Premio internazionale Vallombrosa Gregor von Rezzori, ha ricevuto a Pordenone, per Le avventure del capitano Alatriste, il riconoscimento La storia in un romanzo) studia il mare. Lo osserva, lo descrive, se ne innamora e lo porge ai fruitori. Ci sono Omero, Conrad, Melville, O’Brian. E c’è un mare bello ma crudele, quel luogo naturale sede di avventure ed eroismi, attori protagonisti e comparse, ammutinamenti e grandi traversate, squarci emozionali ed umani. E dove, per assurdo, si calano anche le scialuppe di salvataggio, metafora del travaso da un’entità che affonda nella materiale rigenerazione dopo un trauma. Tra sciabole di arrembaggio e bandiere bianche di resa.
Ma il mare contiene anche altro. L’apertura senza orizzonti, l’intenzione di non voler dare punti di riferimenti o porti sicuri, quella voglia di partire per modificare rotte già tracciate o battere nuovi percorsi. Mare è ricerca del nuovo, sperimentazione di un altro che non sia già stato conosciuto e assaggiato. Mare è perdersi 

Fonte: Il futurista quotidiano del 4/9/12
Twitter@FDepalo

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