Da Ffwebmagazine del 15/12/09
E adesso la politica tiri una riga, di quelle ben visibili, e abbandoni questo Vietnam mediatico, un ring paludoso e dalle basi instabili pieno zeppo di imboscate e contraeree, per approdare invece su terreni fertili e finalmente da paese civile. A due giorni dalla deprecabile aggressione al premier, in pochi si sono sforzati di dare seguito alle prescrizioni quirinalizie. Abbassare i toni, smettere i panni delle fazioni contrapposte in stato perenne di derby, evitare titoli sguaiati e offensivi, e aggiungiamo, riflettere prima di parlare. Niente, anche negli approfondimenti televisivi di ieri la stampa e la politica avrebbero potuto fare di meglio. Sì, anche la stampa, dal momento che come sosteneva Philippe Sollers «la scrittura è la contaminazione della politica con altri mezzi».
E invece si sono intestarditi nel compiere voli pindarici verso l’avversario, con l’indice perennemente puntato a mò di inquisizione, con il sopracciglio preventivo - quello costantemente alzato quando a parlare è l’interlocutore - adducendo argomenti improbabili, (come il funerale del bipolarismo o l’incubo del tradimento politico, che francamente nulla hanno a che vedere con la violenza di piazza Duomo) anziché fare tutti il mea culpa: un’altra occasione persa? Forse.
Quando si valutano superficialmente episodi e mal di pancia, senza analizzare con un minimo di profondità quali reazioni susciteranno tali prese di posizione, non si fa altro che ignorare la raccomandazione di Epitteto nel Manuale, secondo cui «non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti». Come si può pretendere, allora, che la politica faccia un passo indietro quando i media ne fanno settanta in avanti? Prudenza, circospezione, saggezza, misura: a nessuno sembrano interessare le massime incise accanto al tempio di Delfi dal discepolo di Aristotele Clearco, quelle per intenderci che consigliavano “la misura è la cosa migliore”, “nulla di troppo”, “riconosci il momento favorevole”, “conosci te stesso”. Questo serve perché il famoso clima di odio del paese smetta di essere tale. E chi dovrebbe contribuire a farlo cambiare se non chi veicola le notizie ai cittadini e chi, di quelle notizie, ne è il protagonista?
Si assiste invece a una predica quotidiana a compiere un’inversione di tendenza, a smetterla con le aggressioni verbali, a fare a meno di turpiloquiare, fomentando l’elettorato e disabituandolo così a ragionare, prima che inverire. E poi si mette in pratica esattamente l’opposto, quasi inscenando una gara tra quale partito abbia spruzzato più veleno nell’arena. Uno spettacolo che mette brividi. L’analisi di ieri avrebbe invece dovuto favorire una comune presa d’atto sullo stato dell’aria nel paese, oggettivamente irrespirabile. E insieme tutti avrebbero dovuto convenire sulla necessità di spalancare le finestre e cambiare passo.
Le parole di Bersani - «gesto da condannare, senza se e senza ma» - rappresentano un esempio di come iniziare un nuovo corso. Ma sarebbe auspicabile che abbiano un seguito anche da parte degli altri protagonisti, che a oggi rimangono purtroppo frastagliati in una sorta di costellazione di micro ragionamenti assurdi, distanti fra loro anni luce. «Gli uomini - diceva Immanuel Kant - non possono disperdersi isolandosi all’infinito, ma devono da ultimo rassegnarsi a incontrarsi e a coesistere». Quel momento è giunto da un pezzo. Serve incontrarsi, parlarsi, chiarirsi. Per ricominciare il confronto, franco, duro, serrato, ma non armato.
«Le pieghe amare intorno alla bocca - scriveva Hemingway - sono il primo segno della sconfitta». È ciò che appare sul viso della cattiva politica, quella di serie B che grida a squarciagola nei salotti televisivi, quella che non perde occasione per pompare adrenalina in una società ultra elettrizzata e allo sbando, dove il lume della ragione viene sacrificato e impacchettato, affinché si smarrisca in qualche polverosa soffitta. Il rugby è uno degli sport in assoluto più maschi. Corsa, mischie ruvide, infortuni frequenti. Ma al termine dell’incontro ecco le due squadre unirsi nel terzo tempo, in quell’abbraccio vero e sincero che riconosce il valore innegabile dell’avversario, anche di quello uscito sconfitto dall’incontro. No, non è buonismo, ipocrisia, retorica. Si chiama correttezza. Ed è un valore, per chi lo ignorasse ancora.
Tornano alla mente le parole rivolte da Giorgio Almirante a Gianfranco Fini, che gli chiedeva come mai si fosse recato da solo a rendere omaggio alla camera ardente allestita per Enrico Berlinguer a Botteghe Oscure: «Oltre il rogo non v’è ira nemica» rispose, a testimoniare uno spesso velo di quella correttezza e di quella onestà intellettuale che oggi tragicamente mancano. E che la politica, quella di serie B, non sembra per nulla interessata a recuperare.
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