venerdì 11 dicembre 2009

Se la burocrazia blocca la libertà di scelta


Da Ffwebmagazine dell'11/12/09


Quando si è cominciato a parlare di digitale terrestre, si è messo l’accento sul fatto che ne avrebbe guadagnato la libertà di scelta dei telespettatori. E, messa così, la questione sembrava interessante. E lo è. Pensiamo all’utente medio che tra le varie bollette da pagare - luce, gas, telefono e riscaldamento, quando non anche l’affitto a fine mese - di certo non ha i soldi sufficienti per permettersi un’ulteriore spesa per la tv a pagamento.
E allora, non potendo fare altrimenti è costretto a sorbirsi i soliti programmi delle sei o sette tv generaliste che non ti mandano in onda un film nemmeno se ti appelli alla Corte dei diritti di Strasburgo. Finalmente, arriva il digitale terrestre e la scelta dei canali – non a pagamento - aumenta vertiginosamente, e così anche la speranza di trovare anche un film, magari quello che si è perso al cinema qualche tempo prima. O di poter seguire, tutte le volte che lo voglia, documentari di storia, che non fa mai male. Se lo si guarda da questo punto di vista il digitale terrestre, dunque, sembra un innegabile strumento democratico e liberale. Per i telespettatori e anche per gli operatori.

Maggiore libertà nello scegliere un’offerta più ricca e diversificata, per gli uni, un mercato in cui misurarsi con una più marcata concorrenza, per gli altri. Impedendo l’avvio di “Cielo”, il nuovo canale di Sky entro i termini stabiliti, è venuto meno questo insieme di propositi. Chi è il colpevole, con chi prendersela? E perché?«Chiunque può arrabbiarsi, questo è facile- sosteneva Aristotele -. Ma arrabbiarsi con la persona giusta, nel modo giusto e al momento giusto per lo scopo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque». Con chi dovrebbe rivalersi un privato a cui è impedito lo svolgimento di un’attività che sottolinei i valori del liberismo e della concorrenza? Soprattutto come e con quali argomenti dovrebbe arrabbiarsi? E in quale misura? Quando la burocrazia stringe i lacci a nuove opportunità, ad un ventaglio di opzioni diversificate, a tipologie di scelte in più, è in quel preciso istante che, da strumento di azione, si trasforma in zavorra insostenibile, in cemento armato pazientemente stivato nella poppa di una barca, in ruvide catene che impediscono il volo.
E che costringono inesorabilmente a terra idee e iniziative. Ma la burocrazia, come insegna il ministro Brunetta, dovrebbe invece favorire l’amministrazione, quella buona, sorridere a chi la utilizza per le operazioni di cui dispone, essere di slancio ad un paese che procede con il freno a mano tirato. Accade però in questo paese, sempre quello che circola con le gomme sgonfie, e che gli rallentano la corsa, che taluni impulsi di liberismo e di applicazione pratica del principio di concorrenza, vengano per così dire sedati da massicce dosi di valium, da cesoie che puntualmente spuntano quelle timide presenze di erba fresca e nuova che pian pianino tentano di nascere su un terreno non sempre fecondo.

Il nuovo canale di Sky sarebbe dovuto partire lo scorso primo dicembre, allargando così un panorama di offerta e di scelta per i fruitori ed è fermo ai box perché - dicono dal ministero dello sviluppo economico - privo delle necessarie verifiche circa il possedimento dei requisiti formali, ovvero stato patrimoniale, frequenze. La legge stabilisce il termine di tale iter in sessanta giorni, estendibili anche a novanta. Ma la Newco ha già ricevuto il nulla osta dell’Agcom e soprattutto gli uffici del vice ministro con delega alle comunicazioni hanno già in mano la risposta di Bruxelles circa l’interpretazione degli undertaking firmati da Newco, in occasione della nascita di Sky Italia. La stessa Newco ha già chiarito che gli undertaking non precludono a Sky Italia di operare sul Dtt con un canale gratuito in chiaro. Quale il motivo dunque di un simile ritardo? Nel 2003 la New Corporation sottoscrive una serie di impegni, che le consentono di operare all’interno della pay-tv italiana, a seguito della fusione tra Tele+ e Stream. Essi sono recepiti favorevolmente dalla Commissione Europea con decisione del 2 aprile 2003. È previsto, come riportato dall’art. 9, che «con riferimento al Dtt, le società obbligate non dovranno agire in Italia in qualità di operatore di rete o operatore di servizi televisivi a pagamento al dettaglio e non potranno chiedere alcun titolo abilitativo al tal fine necessario. Tale obbligazione si applichera' sia durante la sperimentazione del Dtt attualmente in corso, sia, successivamente, per tutta la durata dei presenti impegni» (31 dicembre 2011). Termini che non ostacolano la trasmissione di un canale in chiaro.

Ma che ne è di un paese dove si chiude la porta in faccia a una nuova piattaforma? Che sia culturale, giornalistica, di intrattenimento non importa. Ma come, si chiederebbe il solito alieno che capitasse per caso in Italia, nel resto del mondo si assiste alla globalizzazione, al tutto per tutti, a una ventata di libero scambio – come l’apertura dell’area nel 2010 –, alla realizzazione pratica di principi strutturati da illustri pensatori e teorici del liberismo, Stuart Mill, Tucidide, Aristotele, Bobbio, Dostoevskij, La Pierre, Brandeis, Philips, Mac Arthur, Rand, Adams. Qui invece si fa un passo indietro nel tempo, quasi tornando a un secolo fa. A quando i vari regimi, diversi nei colori e nei rappresentanti, erano però unificati dall’assolutismo e dal voler strozzare ogni alito di vento non allineato.

Certo, in questa storia c’è chi potrebbe sostenere, come disse Edmund Burke che la libertà è uno “dei doni della Provvidenza”. Giustissimo, ma ciò che la eleva a dono elargito in seno alla collettività, è il fatto che poi dovrebbe essere allargata di fatto, in quanto la libertà al singolare “esiste soltanto nella libertà al plurale” , rammentando la postulazione crociana. Aveva forse ragione Nicola Matteucci, dunque, quando rilevava che “abbiamo tanti liberali fra loro diversi, ma non il liberalismo”? E che cos’è il liberalismo se non il riconoscimento delle libertà?

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