mercoledì 9 dicembre 2009

MA UN NEONATO NON PUO'MORIRE PER INDIFFERENZA

Da Ffwebmagazine del 09/12/09

Ma chi sbaglia, in questo paese, deve pagare? O è sufficiente schivarsi dietro commi e scorciatoie burocratiche per mettere al riparo responsabili e reati? La vergogna italiana, in questi giorni, abita in Sicilia, e indipendentemente dalle migliaia di pagine che verranno stampate per inchieste, verbali e scartoffie che puzzano di ipocrisia, nulla potrà cancellare lo sconcio per la morte di una bimba di pochi giorni, partorita dalla madre 23enne su di una sedia, senza che nessuno, ma proprio nessuno, si sia premurato di condurre la donna in sala travaglio. Nel silenzio generale, nel disinteresse collettivo.

No, non si vuole incolpare preventivamente gli operatori dell'ospedale di Canicattì, ci mancherebbe. Preventivamente no, ma a posteriori, dopo aver valutato la gravissima omissione a cui la madre è andata incontro, si vuole denunciare. Si vuole alzare la mano, civilmente ma con fermezza, per esprimere rabbia, sdegno, urla di disapprovazione, di rigetto, di tutto fuorché questo a cui si è assistito. Si sta parlando del diritto primario alla salute, quello di una donna attanagliata dalle doglie, che grida il proprio dolore in una sala del pronto soccorso. E che viene lasciata dare alla luce in solitudine una bellissima bambina su quella sedia, salvo essere aiutata nel taglio del cordone ombelicale. Tutto bene? Niente affatto, perché dopo sette giorni la bimba cessa di vivere. Infezione, addome gonfio. Non contano le valutazioni mediche. Nemmeno quelle tecniche tediosamente devianti sulla natura del problema.

Il caso toglie il velo a un palcoscenico semplicemente aberrante, dove un'ammalata non viene nemmeno ascoltata, abbandonata lì al proprio destino, con solo il marito accanto che tentava di rincuorarla. Nell'indifferenza di un presidio medico, nella noncuranza di addetti alla salute, non di passanti presenti lì per caso. È stato stimato che in Italia i luoghi più a rischio per morti "sanitarie" siano la sala operatoria (32%), i reparti di degenza (28%), i dipartimenti di urgenza (22%), l'ambulatorio (18%). Le quattro specializzazioni più a rischio invece sono ortopedia e traumatologia (16,5%), oncologia (13%), ostetricia e ginecologia (10,8%) e chirurgia generale (10,6%). Numeri che fanno impallidire, se è vero come è vero che i casi di malasanità si verificano frequentemente in quelle regioni dove altissima è la spesa per la sanità e dove sovente, vedi Calabria, Sicilia e Puglia, si oltrepassa pericolosamente il budget. Dove finiscono quei soldi? E con quali risultati?

Il diritto alla salute, quello citato a gran voce dall'articolo 32 della Costituzione, quello che si applica a tutti, ma proprio a tutti, anche ai prigionieri di guerra, ai nemici, agli avversari, ai poveri, ai miscredenti, ai terroristi, ai diversi, a tutti. E che viene ancora calpestato, in un paese che si traveste di modernismo e progresso, popolato da benpensanti e tradizionalisti solidali, che quotidianamente si sforzano di cucirsi addosso la contraffatta targhetta di custodi dei diritti - prima per gli italiani però -, dove sembra che il mondo si sia fermato in un punto esatto della penisola. Oltre il quale non v'è certezza del nulla.
Bisogna dire basta a simili scenari, utili solo a far contorcere budella e far sdegnare, opponendo questa volta sì un muro invalicabile contro tali scempi. Non sarà in questi casi che si attiveranno le diplomazie, gli accordi, i "si risolve tutto". Non si risolve un bel nulla, invece, quando in gioco c'è la vita umana, come nel caso siciliano, o in tanti altri. I responsabili dovranno pagare, tentare di riparare al danno causato, a una micro vita spezzata barbaramente, senza il benché minimo rispetto. Perché qui c’è stata una vera barbarie umana.

Chi si assumerà il gravoso compito di dire a Manuela Daniela Gradinariu e a Valentin Paun, giovani genitori della piccola salita in cielo, che la loro bambina non c'è più? E non per un comprensibile e possibilissimo errore medico durante un intervento chirurgico o durante una terapia rischiosa. Ma per una colposa condotta irresponsabile e nauseante, per quel "non mi interessa" troppo spesso pensato e pronunciato da chi ha precisi doveri nei confronti dei malati. Verso persone con sangue nelle vene, con un cuore, con un dolore vivo.

Vengono in mente le parole di Martin Luter King, «la disumanità dell'uomo verso l'uomo non si materializza solo negli atti corrosivi dei malvagi, si materializza anche nella corruttrice inattività dei buoni». Quella stessa inattività che dovrà essere punita severamente, senza se a senza ma. Senza scorciatoie e senza inghippi burocratici dell’azzeccagarbugli di turno. Perché alla barbarie non si può rispondere con un semplice scappellotto dietro la nuca.

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