"Potete ingannare tutti per un po', potete ingannare qualcuno per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre". (A. Lincoln)
martedì 8 dicembre 2009
Ma le morti bianche non sono reati di serie B
Da Ffwebmagazine del 08/12/09
Rischio di reati di serie B in Italia? Ovvero, i morti sul lavoro sono meno importanti di altri? Il magistrato torinese Raffaele Guariniello, autore di indagini note come le farmacie negli spogliatoi del calcio italiano o i decessi alla multinazionale Eternit, alza la mano e accusa certi pm: sarebbero troppo pigri con le morti sul lavoro. E non vi sarebbe la necessaria comunicazione fra le procure europee dove, mentre le aziende si parlano alla velocità supersonica di email e social network, i tribunali fanno ancora i conti con la carta e le lunghe attese.
Argomento delicato, questo, non poco ingarbugliato, specie dalle nostre parti. Ignorando per una volta il monito di Sun Tzun - «non bisogna mai accamparsi su di un terreno pericoloso» - sarebbe molto utile fermarsi invece a riflettere su quei morti e su quelle cause, anche a rischio di impattare su realtà crudeli. Le settemila vittime sul posto di lavoro degli ultimi cinque anni non rappresentano una cifra da poco. E se anche lo fossero ciò non giustificherebbe certa approssimazione nell’affrontare la questione, anche da parte di alcuni media.
Il procuratore aggiunto di Torino ha ragione quando sostiene che in Italia si assiste a una diseguaglianza di «trattamento giudiziario a danno dei lavoratori e delle stesse aziende». I processi in piedi per infortuni sul lavoro e per malattie professionali corrono il rischio di essere prescritti in Cassazione. Pochi quelli che si celebrano, anche con il corollario di tempi biblici. Il risultato non è soltanto il mancato riconoscimento di un diritto previsto dalla legge al lavoratore, ma anche uno squilibrio evidente per l’intero sistema economico-professionale. Perché si produce un innegabile corto circuito tra operaio, impresa e welfare. Perché quell’operaio che ha sacrificato tempo e salute per il proprio lavoro non uscirà dal tribunale con una coscienza rafforzata. Si vedrà invece dimezzata la fiducia nella giustizia e anche in se stesso, dal momento che, come accade in molti casi, non potrà più riprendere il precedente ritmo di lavoro, oppure, come purtroppo accade in altri più tristi casi, non avrà nemmeno la possibilità di riprendere la precedente esistenza. Vengono in mente le parole di Leonardo Sciascia, quando affermava: «Si suol dire che l’Italia è culla del diritto, quando evidentemente ne è la bara».
Perché non approfittare, allora, della riforma della giustizia in cantiere, per prevedere misure risolutive, accelerando così l’iter delle cause per le morti sul lavoro? Perché non inserire norme che tutelino maggiormente il lavoratore monoreddito, magari con più di due figli? Intervenire insomma concretamente sul welfare, sui bisogni reali e concreti di un operaio, la cui esistenza dipende da quel posto di lavoro, da quel salario e della sua salute nel conservarlo al meglio.
Le morti bianche. Dove il bianco appare un colore smunto, pericoloso perché indefinito, non sufficientemente rassicurante, privo di certezze. Un bianco dove lo Stato deve impegnarsi a puntare dei paletti, severi e duraturi. Come ha sottolineato il ministro Maurizio Sacconi in occasione della giornata del volontariato, non è più sufficiente circoscrivere gli incidenti sul lavoro a eventi racchiusi nel circuito della legge e della relativa applicazione. Urge una rivisitazione del problema, magari analizzandolo da una prospettiva meno giurisprudenziale e più sociale. Intendendo creare un dialogo più intenso tra imprese, lavoratori e Stato, con una formazione che sia finalmente all’altezza, con provvedimenti invasivi da avviare anche all’interno dei cicli scolastici. Spazzando via l’attuale geografia nazionale con tante Italie, ciascuna dotata di tempi e modi diversi, come testimoniato dalle sole ventuno denunce di incidenti sul lavoro in dieci anni, segnalate alla procura di Vibo Valentia. Un’assurdità.
Bene prevenzione e formazione, dunque, ma si potrebbe anche andare oltre: la sicurezza dovrebbe essere una cultura, e non solo un diritto o un obiettivo, per quanto nobile esso sia. Una vera educazione alla sicurezza, come intima convinzione civica ad appannaggio dei lavoratori e degli imprenditori. E dove le imprese e la politica dovrebbero sforzarsi di portare il peso maggiore, venendo incontro alle esigenze dei più deboli.
«La repubblica è la nostra famiglia - diceva Calamandrei - la nostra casa. Un senso di vicinanza e di solidarietà in cui ci riconosciamo». Proprio quella solidarietà che trasuda, copiosa, dal parco inaugurato l'altro giorno a Torino dedicato alle vittime della Thyssen, a due anni dalla tragedia che costò la vita a sette operai. Un segno - verde - dagli spiccati connotati di speranza. Perché chi deve garantire l’equilibrio della giustizia si impegni a farlo sul serio, lasciando da parte luci e palcoscenici. E concentrandosi un pizzico di più su certe zone tristemente grigie, dove la vita umana troppo spesso conta meno di un tot.
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