domenica 7 febbraio 2010

BARACK, QUEI 10 MESI CHE HANNO CAMBIATO IL MONDO

Da Barilive del 07/02/10

D. Avvocato Di Gioia, perché quella 2008 può essere definita la migliore campagna elettorale della storia?
R. Perché ha innovato le strategie elettorali come mai prima: l’utilizzo sapiente di internet, il rapporto con i giovani, le modalità di raccolta fondi, l’acquisizione “mirata” di delegati nelle primarie, la decisione di far crollare le roccaforti repubblicane nelle presidenziali. Sono dinamiche che faranno storia e saranno studiate da tutti gli esperti di marketing elettorale.

D. Non un semplice uso della rete ma un vero e proprio social network.
R. Lì ogni giorno decine di migliaia di elettori o simpatizzanti dialogavano tra loro, scambiandosi notizie utili alla vittoria del senatore nero, organizzando incontri o manifestazioni di sostegno.

D. E la sintonia con i giovani?
R. Non ha avuto paura di perdere in autorevolezza. Ha ballato all’ “Ellen De Generes Show”, uno dei talk show più noti, ha ribadito di voler rappresentare il cambiamento, si è fatto accompagnare nei tour da alcune delle attrici più amate dai giovani, ha dimostrato di seguire lo sport e di praticarlo. Quanto ai fondi, per la prima volta dopo trent’anni, ha rinunciato a quelli federali perché i contributi dei cittadini comuni gli avrebbero garantito una maggiore dotazione economica. Il suo slogan è stato “Anche 10 $ possono fare la differenza” e, in tal modo, milioni di elettori hanno donato tramite il suo sito somme esigue che, però, nell’insieme gli hanno quasi fatto doppiare la raccolta fondi della Clinton (nelle primarie) e dei repubblicani (nelle presidenziali).

D. La frase di Obama “Non accetterò lo status quo come soluzione” sembra quasi la base per annunciare il manifesto della rivoluzione politica del secolo: quale è stata la sua più pregnante peculiarità?
R. La parola d’ordine della sua campagna elettorale è stata “Change”. Ha colto che negli ultimi otto anni l’attenzione dell’Amministrazione Bush si era rivolta essenzialmente ai conflitti esteri. In tutto questo tempo sono saltati alcuni meccanismi che consentono allo Stato di controllare e, in alcuni casi, di direzionare l’attività dei privati. Ciò ha comportato il proliferare di operazioni economico finanziarie sempre più “selvagge” nella ricerca del profitto, con le conseguenze gravissime che ancora oggi il mondo è chiamato ad affrontare. La promessa di cambiamento di Obama è quella di una maggiore attenzione ai bisogni reali della gente mediante un ruolo più pregnante dello Stato anche al fine di evitare i danni determinati dalla “deregulation”.

D. Oggi abbiamo l’immagine del capo della Casa Bianca in apparente difficoltà: troppe aspettative, o legittime difficoltà, dettate dalla portata epocale delle riforme in programma?
R. L’immagine quasi “da icona” cucitagli addosso dai media gli ha nociuto perché le aspettative sono andate oltre quello che la logica consiglierebbe. In politica, invece, occorre coniugare la poesia degli ideali con la prosa della realtà e questo richiede tempo e pazienza. Ma questo lo staff di Obama lo aveva preventivato: nel libro scrivo che il suo consulente più fidato, David Axelrod, subito dopo l’esito elettorale, aveva già messo in guardia dai facili entusiasmi, spiegando che l’America è ancora un Paese essenzialmente conservatore e che il cambiamento avrebbe richiesto un processo lungo.

D. “Il sogno del Re” è un docu-romanzo di circa 600 pagine ricco di dettagli e dati: come è nata l’idea e quale seguito potrebbe avere?
R. Ho voluto dare piena testimonianza ad una pagina importantissima della nostra Storia contemporanea. E se si vuol dare testimonianza alla Storia non si deve lesinare sui dettagli, perché sono proprio quelli che consentono di costruire un mosaico espressivo capace di fornire elementi di giudizio e analisi. Preciso che il mio non è un istant book ma si propone di essere un manuale di studio, infatti alcuni esperti che lo hanno visionato, hanno ritenuto di inserirlo come parte speciale nei corsi universitari delle Facoltà di Scienze Politiche.

D. “Re” Martin Luther King sarebbe soddisfatto di come si è concluso l’anno del primo presidente nero?
R. In un passaggio del celebre discorso del 28 agosto 1963 al Lincoln Memorial, King testualmente afferma: “Io ho un sogno, che un domani i miei figli neri non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Io ho un sogno, oggi!”. Il libro si chiude con l’affermazione che il sogno del “Re” si è realizzato il 4 novembre 2008, nel momento in cui gli USA hanno scelto un nero come proprio Presidente, giudicandolo non per il colore della pelle, ma per le qualità del carattere.

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