Da Barilive del 16/02/10
Rupture. Mescolanza. Grazie a cui due idee, diverse e lontanissime, sono contemporaneamente rappresentate. E’quello che ha fatto nel 1954 nella tela L’impero delle luci il pittore belga Renè Magritte, che denotava come questa compresenza di giorno e notte nutrisse al suo interno “la forza di sorprendere. Chiamo questa forza poesia”. Il dipinto mostra in alto un’immagine giornaliera del cielo con nuvole, supportate al centro esatto da un grande albero. In basso un paesaggio notturno frastagliato da piacevoli ombre. Un’arte che familiarizza con connubi paradossali, e che squarcia il rigido schema stancamente ingessato solo sul bianco e sul nero. Un esempio di arte figurativa che è riuscita ad andare ben al di là delle parole e di quella ratio umana che, spesso, fatica non poco a conciliare le difformità. Interpretandole erroneamente solo come un rischio di novità ed approcciandosi ad esse con una ingiustificata paura. Che ne pregiudica applicazioni future. Che chiude le porte agli altri, che sottolinea il diverso anziche`inglobarlo. Che separa anziche`unire.
I soggetti, le persone, gli uomini, le donne sono condizionati o condizionanti? Incarnano l’appartenenza ad un dispositivo che garantisce loro la direzione da prendere, o vagano autonomi? E’innegabile che la crescita di ognuno sia caratterizzata nel tempo da una formazione specifica, imperniata su condizionamenti di vario genere, ad esempio come quelli culturali, economici e legati al potere. Una dicotomia quindi intensa tra soggetto costituito e soggetto costituente. Già Claude Levi Strauss sosteneva che la sua storia di antropologo fosse effettivamente nata all’interno di un inventario di costrizioni mentali. Chiedendosi: cosa sono i miei apriori? Quali sono i miei occhiali con cui guardo l’altro? Che filtro ho nel rapporto con l’esterno? Il riferimento è all’analisi di quella globalità di procedimenti che hanno contribuito alla formazione.
Per dispositivo si intende quel complesso di variabili nelle cui viscere il singolo vive e si comporta. Dove reperisce le linee di applicazione della sua quotidianità. E’evidente che l’appartenenza ad un dispositivo influisce sulla direzione da prendere. Lo rimarcava Foucault quando asseriva che i dispositivi del potere, attraverso processi di selezione e interdizione, limitano di fatto il singolo e libero arbitrio dei discorsi, creando in questo modo una società disciplinare. Al contempo il potere può anche assolvere ad un’altra funzione, forse maggiormente propositiva: ovvero stimolare nuovi ambiti di verità e nuovi saperi. E ciò, attualizzato ai giorni nostri, potrebbe vedere nuova luce se reso ancor più slegato da quei dispositivi magari obsoleti o anacronistici. Che poi rappresenta la domanda che lo stesso Foucault si poneva tra gli anni settanta ed ottanta, quando si interrogava su quale spazio di libertà il soggetto potesse ritagliarsi.
Lo stesso Levi Strauss, scomparso a Parigi lo scorso ottobre, asseriva che non può esserci libertà se manca la consapevolezza dei suoi apriori. Ed è proprio all’interno di questi contenitori che può essere utile ripensare alla libertà nella diversità.
Secondo Mario Galzigna, filosofo e docente di epistemologia a Venezia, oltre alla sintesi disgiuntiva esiste anche una compresenza di contrari, come “un’altalena che rivendica il diritto delle differenze ad esistere senza essere cannibalizzate in quanto dialettiche singolari”. Il cui ruolo può essere quello di andare oltre quella consapevolezza di apriori e, perchè no, senza diventarne prigionieri, ma sfruttandole come uno slancio iperattivo. E allora sarebbe il caso di valorizzare attentamente quelle altalene di contrari, valutandole come un arricchimento, anche in considerazione del fatto che certo immobilismo non rappresenta una valida alternativa.
Ed è l’arte a poter rappresentare l’occasione per uno scambio di posizioni, l’inversione di poli, l’intreccio di direttrici.
Nel dipinto di Magritte è proprio il caso di dire che le immagini sono servite per interrogare il mondo. La sua tela interpreta proprio quel mistero della realtà che funge da stimolo. In quanto è un’opera che non offre a chi la ammira il solito e, per certi versi, effimero senso di appagamento verso concetti come la bellezza o il successo, ma innesca un’operazione diversa.
Perché provoca quel desiderio di ricerca, quella voglia irrefrenabile di scavare nei propri meandri, di sognare, magari cercando di recuperare quell’inconscio e quell’intimità smarrite, così come denunciato recentemente da Massimo Recalcati ne “L’uomo senza inconscio”. E concretizzarlo per il semplice motivo di andare oltre.
Per fare, come diceva Levi Strauss, quello che una mente scientifica dovrebbe applicare: più che dare risposte sensate, formulare domande sensate. Per aprirsi, attualizzarsi, contaminarsi. Sganciandosi da fantasmi del passato che strozzano le idee, comprimendole in gabbie velenose. E allontanando il rischio che si continui stupidamente a sostenere che rintanarsi in un qualche pertugio o ripararsi in una caletta, sia più conveniente che uscire in mare aperto e navigare.
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