venerdì 23 aprile 2010

CON L'ECLETTICA IPAZIA, CONTRO IL RISCHIO DEL LIBRO UNICO


Da Ffwebmagazine del 23/04/10

Ma oggi si corre ancora il rischio del “libro unico”, così come nel 415 d.C., quando i parabolani massacrarono la scienziata Ipazia di Alessandria su istigazione del vescovo cristiano Cirillo, poi santificato? In occasione dell’uscita nelle sale cinematografiche del film Agorà di Alejandro Amenàbar, l’inno alla libertà di quella che fu studiosa, eclettica, platonica e aristotelica al tempo stesso, torna in primo piano. Con precise attualizzazioni che sarebbe interessante approfondire, in chiave di liberazione dalla coercizione e dalla paura della conoscenza. E in un momento storico dove la perplessità sembra quasi vietata, dove si è obbligati a schierarsi da una parte e combattere.

Una donna dalla straordinaria bellezza e curiosità, fondatrice di una palestra per le menti che come primo comandamento aveva la libertà di pensiero, quel tesoro spesso irraggiungibile e periodicamente messo a repentaglio da numerosi poteri, che ad esempio Giulio Giorello ha definito come «l’aria in cui respiriamo tutti, che non può essere sequestrata né da una religione né da un’ideologia». Ipazia precedette Giordano Bruno e tracciò addirittura uno schema meccanico dell’ellisse, giungendo al bagaglio di cognizioni kepleriane. Quello stesso Keplero che, forse conscio della società che lo circondava e per questo timoroso di possibili ritorsioni, arrivò a dire «preferisco l’amore delle stelle a quello degli esseri umani». Ma perché scienziati e filosofi erano - e sono? - mestieri pericolosi? Il rischio del sapere è ancora oggi strumentalizzato da interconnessioni politico-economiche legate al potere che in taluni ambiti, piccoli e grandi, condizionano scelte ed interpretazioni. Quante volte si assiste a mistificazioni, a palesi negazioni di verità inconfutabili, anche solo per strappare un consenso in più o un primo piano televisivo? Il crimine contro Ipazia non solo fa ancora male dopo quasi millequattrocento anni, ma appare di estrema attualità alla luce delle vicissitudini intercorse nei secoli e che oggi si intrecciano.

La presenza di Ipazia nella tradizione ellenistica è indubbia, come le ricerche fra gli altri di Lucio Russo dimostrano. Il suo fu un contributo di inestimabile valore all’aritmetica, alla geometria, all’astronomia, ma il corto circuito storico sulla vicenda sta tutto nel fatto che all’interno del prestigioso Dizionario Vaticano, si legge che Ipazia fu uccisa in occasione di una dimostrazione popolare, dal momento che era nemica del cristianesimo. Quando invece le dinamiche legate alla sua morte sono inequivocabili: denudata e fatta a pezzi dai parabolani, monaci che se da un lato avevano una funzione di sostegno sociale ai deboli e ai poveri, dall’altro rappresentavano la milizia armata come squadracce del vescovo Cirillo. E chi nel tempo provò a dimostrare la verità dei fatti, lo storico cristiano Socrate scolastico, per questo venne isolato. Una spirale di intolleranza che fece tre illustri vittime in un colpo solo : la libertà di religione, il corpo della donna e l’indipendenza della ricerca scientifica.

Catapultare la figura di Ipazia nella società moderna, quindi, è un buon segno e non per alimentare pretestuosamente un contrasto fra paganesimo e cristianesimo, fra laicismo e chiesa. Ma in direzione della ragione contro i pericolosi fondamentalismi ideologici, tali perché tolgono voce, moncano intuizioni, troncano libertà. Quella stessa libertà che, parafrasando Benedetto Croce, esiste al singolare solo all’interno della libertà plurale. Enunciando un principio tanto elementare quanto calpestato nel tempo, non solo lontano. Si pensi ad alcuni testi storici del secolo scorso, dove alla voce Giordano Bruno vi era scritto “perito in un incendio” e non arso vivo. O all’esempio fornito da quel filosofo della tolleranza e per nulla anticristiano che prende il nome di Conrad: da irlandese protestante, scrisse che «Ipazia venne uccisa per invidia, superbia e crudeltà del signor Cirillo, presentato come santo ma senza alcuna ragione».

Ma tra le righe di Ipazia e della sua drammatica vicenda personale e storica - drammatica perché non sono rimaste sue opere a causa della consapevole volontà di distruggerle- si ritrova anche il diritto alla disuguaglianza, come rimarcato più volte da Nikolaj A. Berdjaev. Il diverso, lo straniero, il pensiero non allineato che questa società pigra e chiusa a riccio fa sempre più fatica non solo a metabolizzare, ma più semplicemente ad osservare, rispettare e da cui poi magari dissentire. Ma in maniera costruttiva e senza paura.

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