venerdì 16 aprile 2010

Sudafrica: bianco, nero e i mille colori della diversità


Da Ffwebmagazine del 16/04/10

«L’uomo coraggioso - diceva Nelson Mandela - non è quello che non si spaventa ma colui che conquista quella paura». E che la affronta, a viso aperto, guardandola dritta negli occhi, e sfidandola. Nel giugno di trentaquattro anni fa più di cinquecento studenti furono trucidati dalla polizia sudafricana: avevano osato ribellarsi contro l’obbligo di studiare in lingua afrikaans, che era il simbolo della discriminazione, ma che divenne anche quello di lotta per la libertà. Un paese raccontato dagli scatti e dai settemila chilometri percorsi da Marco Buemi in Sudafrica in bianco e nero , in cui il fotoreporter italiano si interroga su come si sia evoluta l’intera area a vent’anni dalla fine dell’apartehid.

Città trafitte da mille contraddizioni, strati sociali ancor più divisi dal potere del denaro. È lo scenario che attualmente si apre a chi visita intimamente il Sudafrica, alla vigilia di un evento straordinario, quei Mondiali di calcio del prossimo giugno che potrebbero rappresentare una ghiotta occasione di sviluppo economico e di ulteriore progresso sociale. Sport e sicurezza, ad oggi, incarnano un doppio business. Gli impianti che stanno per essere ultimati avranno lo scopo non solo di far disputare le partire del torneo, ma anche di sottolineare tre direttrici sulle quali il paese intende muoversi. Il traffico commerciale e la dinamica della ripresa economica, che nello stadio di Durban trovano il naturale sbocco. La contrapposizione sportiva tra rugby bianco e il calcio praticato dai neri a Città del Capo. E il favoloso stadio di Johannesburg, come icona della lotta alle discriminazioni. Tre simboli legati ad uno sport, ma che proprio per questo possono riuscire a parlare al mondo intero, proseguendo sulla strada intrapresa nel 1990 quando Nelson Mandela uscì dal carcere e quando, quattro anni dopo, si svolsero le prime elezioni libere.

Ma c’è anche un altro Sudafrica. Quello dove le disparità economiche si allargano, dove la donna stenta a ritagliarsi uno spazio di emancipazione anche professionale. Dove la sicurezza è diventata fonte di reddito, con un volume di affari di circa un miliardo e mezzo di euro all’anno, in virtù di residence protetti da filo spinato e da alti muri di cinta attraversati da corrente elettrica, e con trecentomila guardie private a difesa della incolumità. E con l’aggravante costituita dal fenomeno immigrazione. Ma come, potrebbe obiettare qualcuno? Proprio in quelle terre che hanno visto negli anni sfilare per le strade oppressori, sfruttatori e vessati, oggi si verifica la piaga di una tematica simile? Ebbene sì, perché risulta che dal 1999, e in maniera esponenziale, i dirigenti di tutti i partiti politici abbiano sfruttato il malcontento nei confronti degli immigrati al solo scopo di ottenere più voti. Quindi da circa sette anni sono state anche inasprite le procedure per ottenere visti e status di rifugiati. L’incremento del numero degli stranieri presenti in Sudafrica ha creato negli autoctoni una pericolosa crisi di rigetto verso gli immigrati, elemento che è stato anche cavalcato dalle forze politiche.

Il volume di Buemi, con l’introduzione di padre Giulio Albanese, e con un’intervista in coda all’ambasciatore Thenjiwe Ethel Mtintso, si snoda come un riflesso in due specchi: in uno è illustrato il tragico passato, nell’altro le evoluzioni di un contesto di persone e di idee in transizione. Senza dimenticare che la discriminazione razziale ha sfigurato il tessuto sociale sudafricano, con intere popolazioni cacciate e ghettizzate, prima della fase di apartheid vera e propria. Il libro intende così descrivere le mutazioni che oggi il Sudafrica registra, avvicinandoci luoghi e visi lontani. Come le township, dove si ha il polso della situazione con una mortalità infantile ancora elevata, ben sessantanove morti sotto i cinque anni per centomila nati vivi. Come le riflessioni, obbligate, sulle strategie minerarie delle grandi potenze che interessano il territorio. Passando per la cultura del paese, con in primo piano il rinascimento del cinema africano, che potrà rappresentare assieme al calcio un volano di sviluppo da seguire con interesse. Impossibile non citare tre successi che hanno partecipato al Festival del Cinema Africano dello scorso novembre a Verona, Jerusalema di Ralph Ziman, Nothing but the truth di John Kani e Izulu Lami di Madolda Ncayiyana, quest’ultimo considerato come il contraltare africano a The Millionaire.

Dunque un Sudafrica dove la cultura della divisione si è mutata in cultura della tolleranza, inseguendo quella modernità socio-culturale che abbraccia un percorso altamente tortuoso, ma che negli ultimi tre lustri ha denotato passi avanti innegabili. E poi il titolo: il bianco ed il nero sono storicamente due colori in contrapposizione, dove il primo in quanto indefinito incute timore, perché non focalizza alcuna immagine. Mentre il secondo ha già una sua identità ben visibile. Ma bianco e nero incarnano anche i conflitti socio-culturali che hanno solcato quei cieli e quelle strade, con sacrifici umani indescrivibili, con discriminazioni e odi razziali, con ingiustizie e prevaricazioni. Ma che per questo e, alla luce, perché no, dell’evento sportivo della prossima estate, quel bianco e quel nero in eterna contrapposizione potrebbero farsi contaminare dai mille colori dei bafana-bafana, o dei vuvuzela, o delle variopinte e folkloristiche esibizioni dei costumi locali.

Una maniera briosa per sconvolgere la monotonia del passato, di certi ricordi e di fasi difficili, dove si tentava di issare l’omologazione sul punto più alto del paese. Ma che per fortuna, è stata spazzata via da una ventata di colori. Diversi tra loro e, per questo, innegabilmente più belli.

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