venerdì 9 aprile 2010

Omaggio a Giano e alla sua voglia di dialogo


Da ffwebmagazine del 09/04/10

Un omaggio a uno stile conciliante e dalla vista lunga, a un uomo che aveva compreso come fosse deleterio restare chiusi al caldo della propria sfera e che intuì quanto fosse strategico battere nuove strade. Un anno fa se ne andava Giano Accame e il suo ultimo libro La morte dei fascisti era quasi finito. Da oggi è nelle librerie, pubblicato da Mursia e con la prefazione di Giorgio Galli. Si tratta di un lungo e appassionato viaggio all’interno del fascismo, solcato da una penna che, come ha ricordato il professor Alessandro Campi in occasione della presentazione avvenuta nella sede di Farefuturo su iniziativa del Secolo d’Italia, pur mantenendo un forte legame con la sua forza identitaria, proprio per questo riuscì a distaccarsene per aprire una fase nuova. Il senso del libro è quello di voler sfatare l’essenza necrofila della destra, che invece in altri volumi come Cuore nero di Luca Telese e Dalla parte dei vinti di Piero Buscaroli è ben presente.

Proprio la sfida politico-culturale della morte, secondo Campi, non è mai stata prerogativa del pensiero fascista. Accame in Pound ritrova spunti critici in questa direzione, e si era tra l’altro reso conto che i nuovi Cesari contemporanei altro non sono che i mercanti, esponenti del sistema oligarchico che ragionano per il profitto personale e non per la comunità.

Un libro significativo e personale, che spazia da Pound a Celine, da Marinetti alla Divina Commedia per raccontare le idee di un secolo. Quello stesso secolo che ha vissuto le difficoltà culturali di una parte intellettuale del paese messa ai margini, talvolta privata degli strumenti necessari alla legittimazione ideale. E spruzzando, tra una riflessione e un approfondimento, quella voglia di evitare come la peste taluni condizionamenti. Un’intelligenza scomoda quella di Accame, definito da Luciano Lanna il miglior direttore che il Secolo d’Italia abbia mai avuto, anche per la sua peculiarità rimarcata dall’attuale direttore, Flavia Perina: l’assenza di trombonismo. Lo slancio forzato nel voler a tutti i costi sottolineare o evidenziare oltremodo qualsiasi cosa di cui ci si occupi, oggi tristemente al vertice delle procedure anche giornalistiche.

Nelle trecentoquaranta pagine del libro Accame ripercorre, in modo semplice ed efficace, il significato della destra e di cosa comportò in quarant’anni di Repubblica italiana. Sosteneva che in un paese fosse impossibile avere delle fratture insanabili, ma vi fosse invece lo spazio per una riconciliazione democratica. «Non si è mai espresso in termini di risentimento- ha aggiunto Campi - e non dimentichiamo che negli anni sessanta e settanta la scelta di stare a destra era culturalmente penalizzante. E di ciò non se ne è mai lamentato».

Non un militante politico, dunque, ma un uomo di scrittura che, da destra, poneva l’accento sulla letteratura, quella cosa bellissima che Giampiero Mughini ha definito come lo squarcio che compone l’identità alla base dell’elaborazione politica: Accame – ha continuato Mughini – era un fascista totale, che ne aveva sensibilmente ed appassionatamente attraversato tutte le fasi: fedeltà, emozioni, sconfitta. E per questo ancor più apprezzabile, se raffrontato ad un’epoca, quella contemporanea, dove le parole pronunciate e le idee affrontano un destino diverso, sempre più relegate nell’oblio di una soffitta o nella polvere di una cantina.

Onestà intellettuale, quindi, come quella mostrata da Pier Paolo Pasolini nell’aprile del 1975 quando, intervistato dal Resto del Carlino, rispose che le bombe non erano state piazzate da una certa parte politica ma dal potere. E che alla successiva domanda sul voto regionale che di lì a pochi giorni si sarebbe celebrato, rispose «meglio un voto sbagliato che un voto imposto». Rimarcando quel rifiuto dell’omologazione che nelle pagine di La morte dei fascisti si denota immediatamente.

Accame aveva compreso come la storia andasse metabolizzata non come sintesi immobile, ma attraverso le lenti della conciliazione, in contrasto con la contrapposizione ideologica che rende sordi i dialoghi e vani i tentativi di comunione. Ed è proprio la comunione delle idee che offre la risposta nei momenti critici, in quelle fasi delicatissime dove è imprescindibile chiamare le cose con il proprio nome, bello o brutto che sia, senza lasciarsi distrarre dalle sirene dei preconcetti e delle paure, che altro non producono se non la chiusura a riccio in virtù delle proprie convinzioni.

«Questo libro è una cosa nuova», ha detto Giampiero Mughini, soprattutto perché è la summa di una vita, in un periodo dove si scorgono pericolosi reflussi che, in verità, neanche in quel passato si constatavano. Sacche di conservatorismo stantìo che stonano con le problematiche della post modernità, con le sfide sociali di un terzo millennio che viaggia in rete a tutta velocità, e che, per dirla con le sfumature usate da Gianni Borgna, rischia di paralizzarsi a causa di frangiflutti ideologici che impediscono analisi serene e che, in questo modo, ostacolano drammaticamente lo sviluppo delle idee.

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