Da Ffwebmagazine del 29/04/10
Anche in sede europea si è avvertita l’esigenza di approcciarsi all’immigrazione con un atteggiamento meno ideologico e più pratico, in ragione di un’elementare deduzione: ovvero che il fenomeno non può essere risolto alzando mura e scavando fossati. Ma sarebbe utile invece affiancare ad una risposta di tipo umanitario, anche una valutazione propositiva su come “modellare” alcuni flussi. Azioni e numeri che il secondo Rapporto dell’European Migration Network ha cercato di fornire, oltre ovviamente ad una chiave analitica per evitare vuoti normativi che purtroppo l’Italia accusa, non essendoci una disposizione specifica che preveda modalità di rilascio, revoca e rinnovo del permesso di soggiorno per questioni di carattere umanitario.
Ma andiamo con ordine: è emerso che nel 2008 sono stati 573 i minori non accompagnati che hanno avanzato la richiesta di asilo. Un quinto di essi ha incassato un rifiuto. Dati che non contemplano i minori di nazionalità romena, circa un terzo dal 2004 ad oggi, dal momento che la Romania ha da poco fatto il suo ingresso nell’Ue, e per i minori neo-comunitari il Ministero dell’Interno ha approntato un organismo centrale di raccordo per garantire i diritti di coloro che giungono dall’interno dell’Unione.
Negli ultimi anni sono quasi ottomila i minori stranieri non accompagnati arrivati in Europa da diversi paesi, come Palestina (9,5%), Egitto (13,7%), Marocco (15,3%), Albania (12,5%), Afghanistan (8,5%), spinti da situazioni di carenza democratica e civile. Tre quarti di loro hanno un’età compresa fra i sedici e i diciassette anni, mentre nel 90% si tratta di maschi. Al terzo trimestre dello scorso anno, la banca dati del Comitato per i minori stranieri era ferma a seimilacinquecentottanta, di cui ben il 77% senza identificazione. Questione molto delicata, in considerazione del notevole numero di minori sbarcati sulle coste siciliane, nel 2008 quasi tremila. Il picco è stato registrato a Lampedusa con più di duemila, di cui l’80% non accompagnati.
Numeri che inducono alla riflessione, anche in considerazione delle modifiche normative intervenute al cosiddetto pacchetto sicurezza, la legge 94/2009 che ha provveduto a limitare il rilascio del permesso di soggiorno per chi raggiunge la maggiore età, solo in presenza di quattro condizioni contemporanee, e non più alternative come recitava la legge 189/2002: che il minore non accompagnato sia inserito da almeno un biennio in un progetto di integrazione; che sia sottoposto ad affidamento o tutela; che abbia un alloggio; che risulti iscritto ad un effettivo corso di studi o lavori.
In Italia si registra un incremento della presenza straniera regolare pari a quattrocentomila persone all’anno, tra ricongiungimenti familiari e nuovi lavoratori arrivati sul territorio. Quelli che non riescono a dare seguito al primo tentativo di inserimento sono sottoposti al ritorno forzato, circa 48mila nel 2009. Eventualità che segnala il fallimento del processo migratorio iniziale e su cui il rapporto ha concentrato sforzi propositivi. Come le numerose iniziative verso i migranti più giovani per sostenerli nell’affrontare un percorso di rientro assistito nei vari Stati di origine. Piccoli progetti con un grande eco, dal momento che abbracciano il reinserimento di coloro che non sono riusciti a completare nel migliore dei modi il primo intento migratorio.
Altro dato con cui confrontarsi è quello relativo agli sfollati nel mondo, che ammontano complessivamente a 26 milioni, ed ai rifugiati, ben dieci milioni. È chiaro che l’Europa non può offrire la soluzione globale alla problematica, che evidentemente deve essere valutata su diversa scala. Ma può recitare il proprio ruolo, consapevole dell’apporto socio-umanitario che un intervento del genere significa. Nel 2008 è stata introdotta la normativa europea sulla protezione internazionale, che ha prodotto la figura del beneficiario di protezione sussidiaria. Così si sono incrementati i casi di riconoscimento e conseguentemente di attribuzione di uno status di tutela. A tale figura vanno ad aggiungersi quella di protezione umanitaria e di protezione temporanea. A oggi, non sono però amalgamate a livello europeo, anche se riescono ad ampliare i casi in cui si applicano. Da qui l’oggettiva considerazione che manca una normativa nazionale in grado di rilasciare, rinnovare o revocare il permesso di soggiorno per fini umanitari. La normativa esistente (d.lgs 286/98) si limita a considerare il permesso di soggiorno per fini umanitari come una sorta di passo a metà strada tra il riconoscimento di uno dei due status, ma con il diniego di qualsiasi azione di tutela.
Si tratta di una lacuna che, se sanata da interventi mirati, potrebbe dare un ulteriore contributo al processo di integrazione e di modulazione dei flussi migratori, che spesso si scontrano ancora con visioni demagogiche e miopi, quegli stessi retaggi che hanno l’unica conseguenza di ingigantire le problematiche, anziché contribuire a risolverle. E allora, per comprendere in pieno dove concentrare energie e miglioramenti legislativi, forse sarebbe utile riflettere sulle parole che mons. Perego, direttore generale della fondazione Migrantes, ha dedicato a taluni modi di intendere il fenomeno immigrazione: «Si sta preferendo lavorare sui respingimenti, piuttosto che sull’assistenza e sulla protezione”.
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