mercoledì 28 aprile 2010

SE ANCHE LE PORTE DI CALCIO VENGONO SBARRATE AI GIOVANI

“I giovani- diceva Joseph Joubert- hanno più bisogno di esempi che di critiche”. Dove gli esempi risiedono magari in una strada da tracciare insieme, in un modello da cui partire e da consolidare poi in autonomia, o più semplicemente in un panorama da far osservare, lasciando libero spazio alla creatività del singolo. Ma a patto che quello spazio in seguito venga realmente dedicato ai giovani, alle nuove leve, tanto elogiate da tutti ma a volte emarginate proprio in virtù del dato anagrafico. Cosa c’è di più allegro, brioso, fresco della giovinezza? Ha detto Bob Dylan che essere giovani significa tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo s’è stancato di essere azzurro. E’proprio quella la chiave di volta, la spinta ottimistica, la voglia di andare, non importa dove e come. Quell’energia testosteronica che rappresenta una molla unica nel suo genere. E che va fatta scattare in quell’istante, non vent’anni dopo.
“Ai mondiali non c’è bisogno per forza di ventiquattrenni”. No, non è l’ultimo spot da bar dello sport, né la conservatoristica precisazione di qualche antenato del pallone. Ma la presa di posizione del commissario tecnico della nazionale italiana di calcio Marcello Lippi, che con una difesa catenacciara datata circa dieci lustri fa, in un’intervista (http://www.apcom.net/newssport/20100409_144328_37f3103_86138.html) chiude le porte sudafricane a quel manipolo di giovani calciatori italiani, che, poverelli, sognavano di indossare anche solo per un riscaldamento a bordo campo o per un’apparizione al novantacinquesimo in pieno recupero, la maglia azzurra. Niente, sarà per la prossima volta, sempre che sulla panchina più prestigiosa d’Italia non sieda lo stesso coach. Nulla di personale, ovviamente, contro i giovani. Solo che Lippi, che ricordiamolo è pienamente legittimato a decidere in quanto è proprio il suo mestiere, ha scelto la tradizione, l’esperienza, e la stagionatura di altri calciatori. Rispettabile, ma non condivisibile.
E qualche riflessione in questo senso va fatta. Non tecnica, dal momento che si tratta di un ambito specifico del quale disserteranno per i prossimi due mesi gli addetti ai lavori, ma sociale. Proprio quel calcio, che con l’investimento umano nelle formazioni giovanili, ha per fortuna compreso come solo con la valorizzazione dei prodotti locali si potrà fare fronte sia alle ristrettezze economiche che alle nuove sfide dello sport moderno, si lascia ammanettare da, come vogliamo chiamarla, paura del nuovo? Che corre sempre di più, con tre gare alla settimana, con tempi di recupero accorciati, con sedicenni che si muovono in campo quasi fossero giocatori navigati. E da noi, invece cosa succede? L’esatto contrario, per quella tafazziana inversione di tendenza che spesso avvolge le menti di chi decide e di chi è investito del potere. Non comprendendo come, così facendo, si monchino a priori i nuovi rami, i germogli che domani, o fra pochi minuti, saranno fiori.
“Non guardo l’età- ha proseguito Lippi- in un Mondiale non conta”. E no, come non conta l’età? Dopo un campionato logorante come quello italiano, con un finale ancora tutto da scrivere, come si può mettere sullo stesso piano ad esempio la difesa della Juve, stanca e ormai perforabile, con giovani elementi frutto dei vivai che si sono distinti? Ma la diffidenza per la linea verde è ormai un retaggio in disuso. Si guardi a mister Fabio Capello, che continua a far giocare nella nazionale inglese il 21enne Teo Walcoot, il più giovane ad esordire nella nazionale del suo paese. O come il sedicenne Romelu Lukaku, gigante paragonato alla punta ivoriana del Chelsea Didier Drogba, già osservato speciale di Inter e Milan, nato in Belgio da genitori congolesi e premiato da quel giramondo di Dick Advocaat con la prima convocazione in nazionale belga, per via dei 189 gol sin qui segnati con la squadra del Brussels e poi con quella dell’Anderlecht. Roba che dalle nostre parti non è affatto usuale che accada. Anzi, spesso si rincorre il più stagionato pezzo di marmo con pluriesperienza, mortificando giovani speranze. In molti campi.
“I giovani soffrono di più per la prudenza dei vecchi che per i propri errori” disse Luc de Vauvenargues. Chissà se le parole dello scrittore francese originario di Aix en Provence, potrebbero fare al caso di qualcuno dei “vecchi” di casa nostra. Dove per vecchi non si intende voler apostrofare qualcuno in base alla sua età, ma definire chi proprio non riesce a preferire il fresco allo stantio, il nuovo al passato, il funzionale all’anacronistico. Pare che una parte corposa degli strati sociali, ma ancor più, della classe dirigente e di chi la seleziona, sia intimorita dalla forza propulsiva che un giovane possa sviluppare. Senza considerarne le potenzialità, le numerose variabili, le possibili vittorie. In questo un esempio interessante è rappresentato da quella galassia di giovani scrittori che nell’ultimo triennio ha fatto capolino nelle librerie italiane. Nomi nuovi, per storie vere, interessanti, capaci di tracciare una linea e di aprire nuovi fronti. Amori, amicizie, ritorni, partenze. E soprattutto giovani, dalle belle speranze e dalle visioni innovative.
“Se sono convinto che qualcosa vada fatto- ha poi concluso Lippi- tiro dritto fino alla fine. Le mie decisioni in passato sono state dettate da un principio: non mi sono mai fatto condizionare da campagne esterne”. Insomma il commissario tecnico si proclama libero, da vincoli, lacci e lacciuoli, e primo responsabile delle proprie azioni. “L’anima libera è rara- diceva Charles Bukowski- ma quando la vedi la riconosci, perché provi un senso di benessere quando gli sei vicino”. Quel benessere, in questo caso, proprio non riusciamo a vederlo.

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