"Potete ingannare tutti per un po', potete ingannare qualcuno per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre". (A. Lincoln)
lunedì 31 ottobre 2011
Anni di piombo, per una memoria comune e pacificata
Il presente è ormai diventato egemonico, scrive Marc Augè in “Che fine ha fatto il futuro”, agli occhi dei comuni mortali esso non è più frutto della lenta maturazione del passato. Un passato che, in Italia, parafrasando Agnese Moro, dovrebbe essere definito come una grande tragedia nazionale. L’occasione è il seminario promosso dalla Rivista di Politica “La memoria del terrorismo e degli anni di piombo”, con i contributi di studiosi, scrittori e giornalisti. Un’occasione utile a comporre un forum a più voci, ragionando sul fatto se, per caso, la cattiva memoria che abbiamo di quegli anni non sia la ragione per cui, ancora oggi non riusciamo a spiegare agli altri quel che non abbiamo capito noi stessi. Perché in fondo, pur in presenza di una vasta sottoletteratura, mancano ancora le grandi sintesi storiografiche, quelle che contribuirebbero a creare un racconto d’insieme su quegli anni. Lecito chiedersi: cosa impedisce la strutturazione di una visione unitaria e non strabica? Che non sia intrisa di legami politico-ideologici e di passioni che impediscono la comprensione dei fatti? Ma che, invece, chiami con il proprio nome la violenza, la tragedia, l’orrore, la morte e la sopravvivenza di chi è sopravvissuto. Ancora oggi alcuni ritengono che esistano morti di serie A e di serie B e che ognuno delle fazioni abbia i propri morti da piangere isolatamente. Perché, ritengono, ognuno con il singolo peso specifico in quella battaglia sotterranea degli anni di piombo. E se invece si provasse finalmente a oltrepassare questo individualismo? Proprio questo è l’ultimo steccato da superare, come dimostra la recente vicenda relativa alla commemorazione a Roma di Walter Rossi, con suo padre intenzionato a ospitare rappresentanti di Comune e Regione, mentre i compagni di Walter fermamente contrari. Il condividere intimità, ha scritto Richard Sennett, tende a restare il metodo preferito, forse l’unico rimasto, di costruzione della comunità. Ecco la risposta alle domande di trent’anni: perché una memoria comune e condivisa non solo è possibile, ma è l’unico modo per chiudere un capitolo di storia italiana. E ricominciare a scriverne un altro.
Fonte: Il futurista del 04/11/2011
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