giovedì 15 marzo 2012

Menti aperte e idee libere per dire "mai più" a B.

Quanto è ancora barbara la società italiana del post-berlusconismo? Quanto quell’impeto sociale, così profondamente anticulturale, comportamentale, è ancora preponderante nell’intimità di un paese e dei suoi cittadini? Una figura, quella del barbaro, che è in qualche modo parte integrante di tutte le società. Da sempre le epoche diverse e frastagliate sono state attraversate da orde di barbari, in devastazione continua. Che sono arrivati, hanno fatto razzìe di ogni genere, hanno condizionato il sito in questione, nei costumi, nei mores. E sono ripartiti per proseguire quel lavoro distruttivo altrove. Ma lasciando nel luogo triturato da tanta follia la consapevolezza di quello che è stato. Cosa è accaduto? Nulla, è la storia. Pura e dura. Cruenta, con ramificazioni a raffica che si insinuano carsicamente nei meandri sociali di un paese. Con le conseguenze che solo il tempo potrà ammorbidire. L’onda del berlusconismo si è assiepata, inizialmente silenziosa, agli angoli delle strade, nei mercati rionali, nelle conversazioni condominiali. Inducendo tutti e tutto a credere in un cambiamento tanto effimero quanto supportato da media invasivi e da messaggi subliminali. Per poi tramutarsi in barbarie, di quelle che come Attila passano, stravolgono e non fanno cescere più l’erba. E adesso? Un interessante occasione di riflessione potrebbe essere nell’ultimo pamphlet di Alberto Abruzzese, Il crepuscolo dei barbari, che punta a scartavetrare lo scontato che c’è sull’idea di barbarie. La figura del barbaro, scrive il sociologo, è il fantasma del nostro tempo. Tra l’altro Abruzzese è stato tra i primi a spiegare il successo politico di Silvio Berlusconi come risultato di una mutazione (irreversibile?) antropologica della vita quotidiana. Quel cambiamento è coinciso con un terremoto negli atteggiamenti collettivi, in quella sorta di pianificazione da “Drive in” che ha invaso gli strati sociali. Prima del Cav pochi erano gli esponenti politici intenti a ostentare, come se dovessero piazzare il prodotto giusto, lavatrice o aspirapolvere che fosse. L’ostentazione e la rissa hanno preso il sopravvento. Fino a ieri democristiani e comunisti discutevano animatamente, mentre da un quindicennio a questa parte lo scambio di vedute politiche si è tramutato in rissa. Senza parlare poi delle relative trasposizioni nei salotti televisivi, diventati saloni da bar trash, più che contenitori dove fare analisi o ragionare nel merito di fatti ed azioni. La domanda è: quella deriva barbara si è tanto radicalizzata da essere diventata essa stessa dna caratteristico e preponderante della società italiana? Ovvero: nonostante l’uscita di scena ufficiale di Silvio Berlusconi dalla politica attiva, esiste il rischio che in molte parti d’Italia rimanga quella patina appiccicosa che prende il nome di berlusconismo? «È difficile dire come - scrive Abruzzese - ma certo è necessario guardare in modo diverso dal passato il montare della barbarie dentro e fuori di noi, la tempesta di cui il barbaro sembra essere la ragione motrice». Quella tempesta oggi in apparenza sembra lontana, ma al di là di meno barzellette e meno gaffes, resta l’amaro in bocca per una pratica che stenta a essere completamente scacciata: l’umiliazione di un mancato dibattito, il sentenziare apriorisicamente contro tutto e tutti, la sensazione di avere in tasca la verità a tutti i costi, la voglia di “ricattare” la politica con la P maiuscola per questioni private, la pratica del sopracciglio preventivo da esibire contro l’avversario, il riempirsi le tasche di promesse da buontemponi e di cesarismi onnipotenti. Come spurgare allora i residui di berlusonismo che si scorgono sui baveri dei passanti, o nelle riunioni di condominio? Iniziando dalle proprie menti e sforzandosi di tenerle accese, sempre e comunque.
Twitter@FDepalo

Fonte: Il futurista quotidiano del 16/03/12

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