mercoledì 28 marzo 2012

Cento anni dopo, a lezione dalle futuriste

Sesso debole o controfaccia “dorato” della medaglia maschile? Ircocervo di emozioni e intuizioni, o soggetto secondario a cui però fare riferimento quando “si mette male”? Ricorre quest'anno il centenario del Manifesto della Donna futurista, pubblicato da Valentine de Saint-Point nel 1912, che sosteneva la completa emancipazione della donna. L’occasione per ragionare (finalmente) a mente libera di donne e femminismo in un paese dove il velinismo ha fatto scuola, che appare ancora maschilista e poco propenso a lasciare il giusto spazio a chi invece meriterebbe altri e alti palcoscenici. Ma andiamo per gradi. La rivista Italia futurista ospitò gli scritti di diverse donne, poetesse e scrittrici, come Benedetta Cappa, moglie di Marinetti. Alcune donne reagirono con veemenza e Valentine de Saint-Point pubblicò nel 1912 il "Manifesto della Donna futurista" a cui seguì l’anno successivo il "Manifesto futurista della Lussuria", che rivendicava il valore positivo del piacere e della sensualità, contestando le migliaia di ipocrisie della morale tradizionale. I Manifesti di Valentine de Saint-Pont furono pubblicati dai futuristi, non solo per merito di quel prestigio che l'autrice custodiva in sé, (tra le altre cose era nipote di Victor Hugo), quanto perché, provenendo da una mente femminile, quell'elogio della lussuria appariva così carico di forza propulsiva e anticonformismo. Particolari che si possono apprezzare anche nel volume Il Manifesto della donna futurista, di Valentine de Saint-Point Valentine (2006- Editore Il Nuovo Melangolo-collana Nugae) che racchiude ben sei scritti di Valentine. Il primo è proprio il Manifesto, con la postfazione di Jean-Paul Morel. Quel risveglio di inizio secolo, così ben tradotto in pagine e azioni dalla penna francese, condusse a quella che venne epitetata come il modello di donna nuova. Che deve fare i conti con pulsioni fino a quel momento quasi del tutto sconosciute, come l’inquietudine, il tentativo di essere protagoniste, intervenendo in pubblico. E anche tramite stili di vita moralmente trasgressivi. All’interno si può apprezzare anche un passaggio sulla tematica “Amore e lussuria”, oltre al progetto di un Teatro della donna e due scritti sulla "metacoria". Quello spunto, oggi centenario, potrebbe rappresentare la molla per l’Italia e la sua politica ferma all’anno zero. Che si interroga ancora se e quando abbandonarsi alla modernità, che ha bisogno delle quote rosa per decretare la parità, che impiega il sopracciglio preventivo di fronte a interlocutrici che, come unico difetto, hanno quello di non essere vecchi mammalucchi figli di un regime passato e del passato, che troppo spesso preferisce il reggicalze ai curricula. Ma qualcosa sta cambiando. Si scopre che il Capo dello Stato, che giovanotto non è, nel tracciare le future linee del Quirinale auspica un successore donna, dimostrando più futurismo di molti altri, nati politicamente ben dopo la prima repubblica. Segno che “le donne” biancorosseverdi (quelle brave) sono pronte al grande salto. In verità presenze “pesanti” non mancano nell’esecutivo Monti. Si va dalla coriacea Elsa Fornero (le lacrime dell’esordio non ingannino) alla guida di un dicastero delicatissimo come il welfare, alla Cancellieri al Viminale, passando per la statura della Severino alla Giustizia. Ma fuori da palazzo Chigi ci sono, ad esempio, Anna Finocchiaro capogruppo al Senato del Pd, Emma Marcegaglia appena terminato il mandato a viale dell’Astronomia, Patrizia Micucci managing director delle divisione italiana di Lehman Brothers, Emma Bonino, già Commissario Onu, espertissima di Medio Oriente, attualmente vicepresidente del Senato, Giuliana Paoletti, fondatrice di Image Building, società di pubbliche relazioni. Ciò che manca, al momento, è il coraggio di scegliere “rosa”. Eppur qualcosa si muove… Fonte: il futurista quotidiano del 29/03/12 Twitter@FDepalo

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