venerdì 23 marzo 2012

Dalla e Guerra, dall'Italia dei poeti a quella dei reality

Ha scritto Andrea Camilleri che poesia e cultura sono l´allargamento della capacità di capire il mondo, "quindi di capire la politica che fai. La ricchezza della cultura è la ricchezza della politica". In quanto espressione colorita e diretta dell´anima di un Paese, dei suoi meandri più intimi e celati ai più. Che, grazie a quell´esternazione poetica, vengono "accarezzati" da mani e versi esperti, per poter essere veicolati al grande pubblico e omaggiare, perché no, il bello. In un mese il belpaese ha perso due poeti: dopo Lucio Dalla è scomparso Torino Guerra, poeta del set cinematografico.

Definito da Elsa Morante "Omero della civiltà contadina", Guerra ha prestato la propria "poesia" a registi del calibro di Antonioni, Damiani, Petri, Rosi, De Sica, Taviani, Fellini, Anghelopoulos, Tarkovskij, Wenders. Portando in giro, come un prezioso vessillo, il suo dialetto come una sorta di passepartout che scoperchia mondi lontani e li unisce idealmente perché accomunati proprio dall´arte. Ma Guerra è stato anche sinonimo di passione: per la sua storia, con l´esperienza nei lager, a cui fa da contraltare quella gaiezza sorniona tipica della terra dove ha scelto di ritirarsi prima dell´ultimo respiro.

Un dato che risalta se solo si fa mente locale a un altro elemento distintivo pregnante, come la carovana russa che giungeva in pellegrinaggio a Pennabili, il borgo a metà strada tra la sua Romagna e le Marche dove Guerra amava rifugiarsi. Quel chiasso, quel contesto migrante di una comunità in cammino (in omaggio a due dei suoi luoghi preferiti, come Georgia e Armenia) segna il confine materiale con la sua esperienza durante il nazismo. Con la conseguente verve poetica che negli anni è riuscito a trasmigrare nel cinema.

Ma la dipartita di due personaggi di questo calibro offre l´occasione per ragionare su come un paese che si impoverisce dei suoi più noti poeti, faccia poi fatica a concedere spazi e palcoscenici all´arte e alla cultura, rannicchiandosi invece su modelli deleteri e fasulli. Come l´Italia dei reality, dove un gruppo di disperati rincorre granchi e litiga per un cocco, o i talk show urlati e con rissa incorporata, che hanno di fatto monopolizzato l´offerta televisiva. Producendo quell´ebetismo delle menti pericoloso per un tessuto sociale fragile come quello italiano. In quanto addormenta neuroni e scatti in avanti, spegne le iniziative e le intuizioni, uniforma tutto come si fa con una livella sulla falsa riga di modelli "commerciali" pronti e mangiati. Impedendo reazioni e pungoli "altri", non proponendo cliché degni e invece seconde o terze scelte dannose.

Ha osservato Luigino Bruni che un ospedale, una scuola, un museo (bisognerebbe aggiungere anche una televisione e magari un Paese intero) sono imprese civili, poiché il loro scopo non è fare soldi ma curare i malati, educare e formare, promuovere la cultura artistica, pur operando nel mercato. Da stolti pretendere che contenitori e modelli vengano proposti come dogmi alti e null´altro, ma è altrettanto inaccettabile che mentre vanno via due giganti come Dalla e Guerra, si festeggi il ritorno da un´isola di un paio di improbabili personaggi in cerca d´autore. Termometro beffardo di un Paese che deve aspirare a ben altro.

Fonte: Formiche del 23/03/12

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