domenica 20 gennaio 2013

Elezioni 2013. Iconografia dei simboli elettorali (ammessi e non ammessi)

di: Monica Centanni, Francesco De Palo

“Un capo, una persona – ha scritto Albert Camus – significano un padrone e milioni di schiavi”. Il punto non è tanto che il Viminale abbia ammesso alle prossime elezioni politiche 169 simboli su 219 presentati. Significativo è che nei simboli che appariranno sulla scheda elettorale figurano tutti i nomi dei leader, fatta eccezione per il segretario del Pd Pierluigi Bersani.

L'intoccabile nome del leader-sovrano
Un fatto, preciso, da cui partire per ragionare sul risvolto estetico e ideologico dell’iconografia dei loghi dei partiti, vecchi e nuovi. La presenza, enfatica e pachidermica, insopportabile e anacronistica anche dal punto di vista grafico, del nome del leader in bell’evidenza nei simboli del Pdl, lista Monti, UdC, Futuro e libertà, ma anche nelle nuove formazioni di Grillo e Ingroia, è l’indizio della cattiva persistenza di un modus operandi introdotto nel panorama politico italiano da Silvio Berlusconi (ma anticipato dalle ‘Liste Pannella’ more americano). È la convinzione che il nome del leader carismatico sia l’incarnazione dei ‘valori’ di un movimento politico, che il nome del capo sia icona e figura che chiama gli elettori-sudditi a riconoscersi in uno; che, insomma, nel nome del leader, intorno al suo profilo, si possa costruire il programma politico di un partito. La delega al leader-sovrano è implicita, ma chiara: chi detiene anagraficamente il ‘nome simbolo’ può disporre  a proprio piacimento anche dell’emblema del partito. Nessuno stupore se ogni dibattito interno ai partiti che si presentano come carismatici, ogni impulso al rinnovamento interno e alle procedure di costruzione dei programmi e delle liste, sono di fatto neutralizzati in partenza.

Difetti e desideri dell'immaginario 
I politici italiani, sempre più sordi alle istanze di rinnovamento etico e politico, ma anche estetico dei cittadini, insistono inossidabili nei loro vizi ideologici e lessicali e nei tic delle loro asfittiche fantasie su cosa si deve fare, su cosa non si può non fare, per raccogliere voti di elettori considerati come soggetti passivi e subornabili, pronti a lasciarsi fascinare dal prestigio irresistibile del nome del capo e a delegare la loro passione politica alla figurina del reuccio di turno. Nessuna attenzione all’insorgenza di una domanda di rinnovamento profondo, civile e politico, che chiede con forza coraggio e potenza, idee e sensibilità, per immaginare uno scenario differente. Per sciogliere le calcificazioni che bloccano progetti e desideri, per attivare la pangea di energie che premono inespresse nei corpi e nelle menti degli uomini che aspirano alla vita activa, orgogliosi di dirsi cittadini.

Simboli alternativi, più seri dei veri
Fra i 219 simboli depositati alcuni avevano evidentemente la funzione di cautelare i partiti mediante la presentazione di diverse varianti dello stesso logo; molti altri si presentavano come velleitarie o goliardiche figurine di disturbo. Hanno però fatto rumore alcuni casi, più interessanti e meno scontati dei precedenti: alcuni simboli-civetta apparivano infatti configurati come gli 'originali', ma senza il nome del leader di riferimento. Si è trattato, esplicitamente, di uno stimolo critico rispetto alla triste facies iconografica proposta da quasi tutte le formazioni politiche italiane.

Sta di fatto che alcuni simboli 'alternativi' presentati per fini più o meno destabilizzanti, più o meno provocatoriamente intelligenti, ci insegnano che è stata sprecata un’altra occasione per ripensare l’iconografia partitica. E che un ripensamento di questo tipo è il presupposto simbolico necessario per una rivoluzione profonda dell’immaginario politico italiano.

Fonte: Manifesto di ottobre del 20/01/13
Twitter@FDepalo

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