giovedì 24 gennaio 2013

Invertiamo in fretta la tendenza. Per non finire come Atene


In Italia nel 2012 hanno chiuso i battenti mille imprese al giorno, secondo Unioncamere. Già da un anno dalle associazioni di consumatori ci avvisano che una fetta di italiani inizia a risparmiare sul carrello della spesa: meno carne e meno pesce, più cibo a basso costo. Il mercato dell’auto è inchiodato a numeri preoccupanti. Dopo Richard Ginori un altro nome storico italiano, come le cartiere Burgo, lascia il mercato e soprattutto lascia a casa centinaia di lavoratori. Sul versante Sulcis e Ilva nulla di nuovo, solo altra preoccupazione e poche certezze. Nel mezzo, il caso Mps, i suicidi da crisi nel nord est di cui in pochi si occupano, il popolo delle partite iva che ha “paura” di fatturare, la questione meridionale ma anche quella settentrionale con un’idea di federalismo da attualizzare e non da lasciare appassire nel dimenticatoio. Passando per i pensionati vessati da imu, tarsu e altri balzelli regionali. Ce n’è abbastanza per chiamare a raccolta tutti i partiti che si presentano alle elezioni e rivolgere loro due domande semplici semplici: come coniugare sobrietà delle spese interne alla ripresa industriale? Cosa fare in concreto per salvare eccellenze italiane, marchi artigianali che hanno fatto conoscere il made in Italy in tutti i continenti, i lavoratori con le loro famiglie, per tentare di non disperdere “quel” pil che è il vero tesoro del belpaese?

Il rischio è che non si sia ancora acceso un focus, preciso, nel merito di criticità e deficienze, che si stia perdendo del tempo prezioso per assembleare dossier il più possibile veritieri sui numeri della crisi italica, che si marci divisi e quindi drammaticamente fragili verso l’onda anomala della recessione. Che travolge tutto ciò che trova sulla propria strada e che soprattutto non bussa prima di entrare. La deriva greca non è uno slogan buono solo, forse, per aizzare qualche comizio o per ravvivare alcuni talk show televisivi: ma l’ombra che si staglia sull’Italia mettendo semplicemente a confronto numeri e tendenze della Grecia del 2009 con quelli italiani dell’anno appena concluso. E ragionare a bocce ferme, senza smarrirsi dietro responsabilità degli uni piuttosto che degli altri. Bensì fare fronte comune e fermare l’emorragia di risorse che l’Italia sta perdendo.

Dopo la messa in sicurezza dei conti pubblici è necessario andare oltre e dare fiato ai pilastri che incidono sul pil: la piccola e media impresa, la rete burocratica da snellire, il sistema giudiziario da rendere più fluido per non spaventare gli investitori stranieri che fuggono altrove, il Mediterraneo da utilizzare come risorsa e non come palla al piede. Certo, se poi qualcuno non si rende conto che anche l’industria militare italiana è un settore che fattura (i pochi) numeri incoraggianti…

Fonte: Formiche del 24/01/13
Twitter@FDepalo

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