giovedì 5 novembre 2009

Giulio Giorello: «La verità? Non potremo mai possederla...»


Da Ffwebmagazine del 05/11/09

Perché temere l'insegnamento di altri credi religiosi? Se lo chiede Giulio Giorello, docente di filosofia della scienza all'Università degli studi di Milano, secondo cui non c'è bisogno di alcuna religione della scienza che «è un'attività critica, che deve guardarsi da rischi come le forme di potere consolidato». Studioso e critico della conoscenza, autore di ventisei volumi, si è concentrato sui legami tra scienza, etica e politica. Già presidente della società italiana di Logica e filosofia della scienza, dirige la collana Scienza e idee ed è elzevirista per il Corriere della Sera.

D. Lessing diceva che «non è il possesso, ma la ricerca della verità che rende l'uomo un uomo di scienza». Come insegue la verità l'uomo di oggi?
R. Essa si cerca senza gabbie ideologiche che piegano i fatti alle proprie idiosincrasie, ottenendo il risultato contrario al binomio coraggio-modestia. Vedo la verità come un'idea limite alla quale tendiamo senza mai possederla. Sarebbe sufficiente in campo scientifico che non ci accontentassimo dei risultati ottenuti fino a oggi, ma cercassimo di andare avanti, e in questo aveva ragione Brecht quando diceva «ciò che scriviamo oggi sulla lavagna, domani lo cancelleremo». Concordo con la teoria del grande matematico italiano Bruno de Finetti , innovatore della concezione della probabilità e uomo molto attento ai mutamenti sociali, quando sosteneva che l'idolo di una scienza assoluta, infranto, non implica la fine della scienza stessa. Vuol dire che è terminata una certa concezione della stessa, ma se ne è aperta un'altra, più duttile, plastica, «compagna delle nostre speranze e delle nostre sofferenze».

D. E le verità esistenziali?
R. Ciascuno dovrà risolverle all'interno della propria sfera intima, l'importante è non imporre nulla agli altri. Un radicale pluralismo da questo punto di vista credo sia oggi ineliminabile in una società democratica matura. Che l'Italia lo sia ho qualche dubbio. Alcune recenti polemiche su una proposta che a me sembrava di puro buon senso, come l'ora di religione di altre confessioni, avanzata dal vice ministro Urso, ha suscitato un vespaio di polemiche che mi fanno dubitare della maturità del nostro paese. Oggi l'Islam, e domani, perché no, anche il voodoo.

D. Ha scritto che le idee hanno talora più forza delle cose, e nella scienza sanno incarnarsi in congegni materiali. Come convive oggi l'uomo con questa moltitudine di congegni? Li teme, non li usa in modo adeguato al proprio benessere...?
R. La tecnologia incarna le idee e offre maggiore libertà all'uomo. Il mondo della tecnica, se utilizzato correttamente, ci libererebbe da numerosi vincoli, consentendo ciò che prima era impensabile. Pensiamo per un attimo all'astronomia galileiana, quest'anno ricorre l'anniversario dell'osservazione lunare fatta con il suo cannocchiale. Senza tale strumento che potrebbe apparirci una cosa da poco, non avremmo oggi i grandi telescopi spaziali orbitanti.

D. Conosciamo il nostro dna, andiamo sulla luna, ma poi?
R. Le considero enormi esperienze di liberazione, però credo che l'uomo abbia anche paura delle conquiste scientifiche in quanto ha paura della propria libertà. Essere liberi non è facile. Più comodo donare il proprio cervello ad altri, non necessariamente a un dittatore, ma a un leader che pensi al posto tuo. Diverso invece assumersi responsabilità, decidere in prima persona ed eventualmente pagarne le conseguenze. Più libertà ci sono, quindi, più l'uomo corre il rischio di sentirsi smarrito, ma di contro le grandi conquiste della civiltà vengono fuori proprio dalla lotta contro tale paura. E ciò vale sin dai tempi in cui Assiri e Babilonesi inventarono le mura e la scrittura.

D. Ma come mai l'uomo non riesce a spogliarsi da questi timori?
R. Perché siamo animali abitudinari. Qualcuno che pensi al nostro posto fa sì che le scelte diventino consuetudini. Attraverso il conflitto con altri esseri umani, contro delle idee, soprattutto quando non è puramente distruttivo, si riesce a raggiungere un livello di consapevolezza nuovo. Ezra Pound diceva «è molto meglio una Ferrari che gli dei del sangue». Mentre questi ultimi richiedono un tributo di sacrifici umani garantendo la stabilità sociale, la Ferrari spazza via tutto questo. E al posto della gloriosa vettura di Maranello potremmo citare anche altro, ad esempio la bomba atomica. Ne Il vero dottor stranamore di Peter Goodchild, si racconta la storia di Teller, il grande guerrafondaio che, già quando si otteneva la bomba A, pensava di progettare la H. Possiamo criticare anche nel merito questo individuo come militarista, ma non possiamo non riconoscergli di aver capito come la scienza era di fatto il veicolo di un gran potere. Da usare per la propria libertà e non per sottomettere gli altri. Detto brutalmente, se non ci fosse stato Teller, io e lei adesso faremmo un'intervista in lingua russa.

D. Ha definito la matematica una «magia che funziona, ma occorre che accanto alla verità propriamente detta, dia spazio all'interesse»: l'uomo oggi ha coscienza di quell'interesse?
R. Sono convinto che la matematica susciti ancora una forte passione legata alla conoscenza, certo oggi abbiamo demandato settori della ricerca ai computer. Ma essi da soli non bastano, il piacere della scoperta matematica è ancora molto intenso. Lo dimostra il fatto che interessanti problemi emergono non solo dalla fisica, ma anche dall`economia. È stato un grande personaggio come John von Neumann che ha mutato radicalmente le carte in tavola, o il matematico John Harsanyi, teorico dell'utilitarismo, premio Nobel. Grandi figure il cui merito è stato di far capire, anche a un pubblico di non specialisti, quanto sia affascinante l'applicazione matematica. Continuo a ritenere che la matematica sia uno dei terreni in cui meglio si realizza la creatività umana, forse è paragonabile alla grande musica o alla grande architettura.

D. Pensa che l'approccio alla scienza da parte dell'uomo sia a volte troppo retorico?
R. Dalla biologia viene una grande lezione che sintetizzo in due parole: coraggio e modestia. Coraggio perché è indispensabile una notevole forza per abbattere la costellazione di pregiudizi stabiliti. Modestia perché dalle scienze spesso abbiamo risposte che abbassano il nostro orgoglio. Pensiamo alla teoria darwiniana sulla genealogia dell'homo sapiens. Forse sarebbe stato meglio illuderci di essere parenti stretti di diavoli e angeli, piuttosto che di scimmioni. Non è un peccato di orgoglio, ma coraggio di fare tali affermazioni da Darwin in poi con molta modestia, visto che in fin dei conti non siamo i signori del creato ma semplicemente scimmioni, spero, abbastanza intelligenti.

D. Quindi teme la retorica scientista, anche quando si insinua in ambiti come le leggi sul fine vita?
R. La scienza non ha bisogno dello scientismo. I grandi teorici ottocenteschi dello scientismo avevano come avversari i matematici dell'école polytechnic. In realtà non c'è bisogno di alcuna religione della scienza, in quanto essa è un'attività critica, che deve guardarsi da rischi come le forme di potere consolidato. Penso alla scienza asservita ad un partito come fece Stalin. Gli scienziati devono vigilare in qualità di cittadini democratici. Ma non ritengo che per salvare la scienza si debba tirare in ballo una sua supremazia assoluta. Bastano il coraggio e la modestia.

D. Nel suo volume Di nessuna Chiesa. La libertà del laico, ammonisce sul fatto che troppo spesso ci si dimentica che il contrario di relativismo è assolutismo. Non crede che oggi si giochi troppo con il confondere contenitori e contenuti, mortificando una più sana indipendenza ideologica?
R. Molto del relativismo contro cui si polemizza anche in discussioni politiche, mi sembra un feticcio inventato intenzionalmente per cucirvi una querelle ideologica, senza alcuna rispondenza con gli sviluppi intellettuali di punti di vista pluralistici. Questi ultimi sì che costituiscono una forma nobile di relativismo, richiamata anche da Leopardi quando nel suo Zibaldone diceva «il mio sistema non è contro l'assoluto, anzi lo pluralizza». Lasciamo che ci siano molti assoluti che si confrontano. Vorrei ad esempio continuare a leggere William Furley anche se tiene per i sudisti americani, o Ezra Pound senza che nessuno mi consideri fascista, o Maiakowskij senza che qualcuno mi dia del comunista.

D. Ha definito la libertà un'aria in cui «respirano tutti, che non può essere sequestrata né da una religione, né da un'ideologia»: ma capita che l'uomo, quando l'ha conquistata, poi non ne faccia un uso corretto sino in fondo...
R. San Paolo e S.Agostino si chiedevano, «perché se sono portato al bene, continuo a fare il male?». Perché vi è una volontà di asservirsi, un desiderio di servitù volontaria. È un grande problema che ritrovo in tutti i maggiori pensatori occidentali, che Machiavelli ha esaminato con non poco coraggio. Giordano Bruno in alcune delle sue pagine più strazianti si ritrova in John Stuart Mill, ovvero il paradosso dello schiavo o volontario. La soluzione? Bisogna resistere, non c'è altro da fare.

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