sabato 13 ottobre 2012

«Vi spiego perché appoggio Renzi. Il riformismo liberale ci salverà»

«Dicono che Renzi non ha programma e invece ce l’ha, basterebbe leggerlo» invita il vicepresidente del Pd Ivan Scalfarotto, secondo cui al paese serve una leadership forte, seria, «ma che sia “di visione” e che immagini un futuro di riforme».
Perché hai deciso di appoggiare Matteo Renzi alle primarie?
Per molti motivi, uno dei quali è che attaccare l’idea del rinnovamento mi sembra un’assurdità. Si tratta di uno spunto che altro non è se non un’esigenza politicamente forte. Il mondo è cambiato e sta cambiando rapidamente, non possiamo non studiare idee alternative e innovative, soprattutto su un tema come il lavoro o il ruolo della donna nella società. Insomma, avere una classe dirigente in linea con il nostro tempo. Inoltre non nascondo che Renzi incarna una piattaforma programmatica basata su un riformismo liberale che una parte della sinistra italiana ha sempre un po’sofferto. E che credo abbia al suo interno soluzioni efficaci. In altre parole: la linea economica di Fassina non mi convince affatto.
Saranno primarie vere, per così dire all’americana?
Penso di sì. Sono vere perché, per la prima volta, noto una vera contendibilità. Soprattutto il candidato Renzi è oggettivamente fuori da quel sistema di gestione del partito che è sempre appartenuto a un gruppo più coeso di quanto poi non fosse. La dimostrazione sta nel fatto che, anche quando abbiamo scelto fra Bersani e Franceschini, quest’ultimo poi dopo pochissimi mesi, è entrato nella cosiddetta maggioranza di Bersani. Coloro che nel 2009 avevano votato per Franceschini hanno ritrovato il proprio candidato “in linea” con il suo competitor. Oggi invece nella scelta fra l’attuale segretario piddì e il sindaco di Firenze, vedo due visioni, interne alla sinistra europea, ma che sono più nettamente alternative.
Come potrà l’anima riformista del Pd evitare lo schiacciamento tra la vecchia nomenklatura che persiste in nomi e volti, e le ventate camussiane?
Semplicemente essendo coerente e coraggiosa. Cito Veltroni come incubatore di contenuti riformisti molto interessanti. Quando era segretario l’ho appoggiato con piacere, nonostante poi sia stato timido nell’esecuzione materiale.
Improvvisa, durante la crisi sistemica, ecco un’altra ondata di scandali e arresti: troppi ricorsi storici in Italia?
In realtà penso che le primarie siano un ottimo antidoto su questo punto, ma a patto che siano fatte per bene, in modo aperto e supportate da un dibattito sulle idee. Ecco la cura migliore per l’antipolitica, dove da un lato vi sono scandali e disonestà, dall’altro un confronto nel merito. Ma vorrei precisare che se quel dibattito si limitasse ad asserire che Renzi è troppo giovane, beh allora perderemmo una grande opportunità per tornare a discutere di politica. Cosa che agli italiani ancora interessa, come conferma lo spazio nell’immaginario collettivo che queste primarie si sono guadagnate. Il mio invito, dunque, è di animare un confronto sulle idee e non sulle persone.
L’economista Michele Boldrin, animatore di Fermare il declino, da queste colonne ha chiesto un azzeramento completo dell’attuale classe dirigente: possibile o solo utopia?
Ciò che in Italia sembra un’utopia o una proposta rivoluzionaria, altrove è norma. Dovremmo smetterla di considerarlo uno scandalo, ma un’esigenza istituzionale del paese. Penso che ci siano numerose personalità, che in questi anni hanno maturato incarichi ed esperienze, che, lungi dal volerli invitare a trascorrere il loro tempo al parco per dare granturco ai piccioni, possono dare un contributo altrettanto valido pur non sedendo più ostinatamente su quelle poltrone. E cito il caso di Stefano Rodotà che, nonostante non sia più parlamentare, stimola quotidianamente il dibattito in svariati temi senza venir meno a una dialettica politica. Anzi, è oggi uno dei personaggi dotati di una visione strategica: a dimostrazione che, seggio o non seggio, chi ha qualcosa da dire la può dire ugualmente.
L’aumento dell’iva peserà in media per 320 euro: accanto al rigore imprescindibile come stimolare adeguatamente la ripresa?
Renzi su questo aspetti ha proposte molto interessanti, come rivedere i parametri delle grandi opere, applicare bonus fiscali per i lavoratori dipendenti con l’obiettivo di migliorare i consumi, applicare un controllo serio sui fondi europei per garantire credito alle pmi. In troppi dicono che Renzi è un “non programma”. E invece il programma c’è.
La sensazione è che il 2013 sarà l’ultima occasione per una vera rivoluzione della politica, pena il default: è così?
Senza dubbio, e lo dimostra il fatto che attraversiamo una crisi anche e soprattutto morale. Serve una leadership: forte, seria, sicura. Ma soprattutto che sia “di visione” e che immagini un futuro di riforme.

Fonte: Italiani quotidiano del 13/10/12
Twitter@FDepalo

venerdì 12 ottobre 2012

La troika ad Atene: “Evacuate le isole con meno di centocinquanta abitanti”

“Evacuate le isole con meno di centocinquanta abitanti”, firmato troika. Nel sessantottesimo anniversario della liberazione di Atene dai nazifascisti (era il 12 ottobre del 1944) i rappresentanti di Bce, Ue e Fmi, impegnati in vertici no stop in queste ore nella capitale ellenica per concedere l’ulteriore tranche di aiuti che eviti la bancarotta della Grecia, accanto a misure draconiane come tagli di dipendenti pubblici e fondi per la sanità, hanno tirato fuori dal cilindro anche questa singolare richiesta, sulla quale in tarda serata c’è stata la smentita da parte del commissario europeo Olli Rehn. Come se quel provvedimento dal sapore amarissimo per chi su un’isola vi è nato e vi lavora possa da solo influire sul mare di debiti che affliggono la Grecia. C’è anche questa dose di assurdità all’interno del pacchetto di misure che sta provocando una rivolta sociale in un paese stremato dal memorandum, con la disoccupazione che sfonda la soglia del 25% e con i dati Unicef che gridano tutto il loro dolore: 400 mila bambini sottonutriti. E che, come confermano fonti ministeriale, potrebbe vedere la luce entro domenica, in virtù di un accordo quasi raggiunto tra governo di Atene e troika.

Il pacchetto comprende tagli alle pensioni per circa 4,9 miliardi di euro nel 2013, oltre a tagli su salari, indennità e prestazioni sanitarie per un ammontare complessivo di 13,5 miliardi di euro in due anni. Al momento il dibattito sarebbe ancora “aperto” sui 300 milioni di euro di tagli alle prestazioni di invalidità. Ma in linea di massima le ottantanove riforme fiscali strutturali proposte dalla troika dovrebbero vedere la luce in parlamento prima dell’eurovertice del prossimo 18 ottobre. Anche se è sulla recessione che si giocherà molto di questa partita: in quanto la troika ha già fatto filtrare la sua posizione in merito. Si aspetta il 5% del Pil nel 2013, mentre la parte greca è ferma al 3,8% del PIL. All’interno del pacchetto finale da 13,9 miliardi dal ministero confermano che vi sarà una clausola di condizionalità, ovvero il fabbisogno di finanziamento che se effettivamente approvato, potrebbe essere propedeutico alla famosa proroga di un biennio (come ha lasciato intendere ieri anche il direttore dell’Fmi Christine Lagarde), e per complessivi 12 miliardi di euro. Su cui ancora pesa ancora il veto di Berlino. Il ministro delle finanze Schaeuble per ben due volte da Tokyo ha infatti ribadito che “non c’è alcuna alternativa alla riduzione del debito degli Stati della zona euro”.

Intanto nel giorno in cui anche la Coca-Cola Hellenic, la più grande azienda di imbottigliamento della Grecia, decide di trasferirsi in Svizzera, a causa delle tasse e del fatto che le banche hanno chiuso i rubinetti alle imprese, nelle maggiori città del Paese il termometro sociale resta caldissimo. La confederazione nazionale dei Commercianti e Artigiani ha annunciato di avere aderito allo sciopero generale di giovedì 18 ottobre, indetto dalle sigle sindacali Adedy e Gsee, proprio in coincidenza con l’eurovertice di Bruxelles. Tutte le saracinesche delle attività commerciali saranno abbassate per protestare contro la “drastica riduzione dei redditi, l’elevata e irrazionale tassazione e la forte diminuzione della domanda che distrugge le aziende e i posti di lavoro”, scrivono le forze sociali sui rispettivi siti internet. Il consiglio nazionale del Gsee rileva che i recenti dati dell’Autorità di statistica sulla disoccupazione sono il frutto “tragico della politica di austerità attuata selvaggiamente dalla troika e dal governo”. Anzi, indicano la percentuale effettiva non al 25,1% così come riferiscono i media bensì del 30% e con previsioni desolanti. Mentre la disoccupazione sta strangolando la società greca e la recessione raggiunge almeno il 7% la sfida sociale, rilevano, è da ritrovare in un’ulteriore “emorragia di lavoratori e di pensionati”.

Per queste ragioni tra sei giorni il paese sarà ancora una volta paralizzato da una mobilitazione generale. Ma il momento di difficoltà complessivo è percepito nettamente dai cittadini, come rivela l’ultimo sondaggio diffuso oggi dal canale televisivo Skai: quasi la metà dei greci (48%) ritiene che, se le elezioni politiche si svolgessero oggi, a vincerle sarebbe il partito di opposizione Syriza guidato da Alexis Tsipras. Ma allo stesso tempo il 32%ritiene che l’attuale coalizione di governo sia preferibile. Inoltre l’83% si dice certo che le nuove misure di austerità avranno il “sì” del parlamento. Mentre l’80% ha risposto di ritenere che le cose in Grecia “vanno verso la direzione sbagliata” e il 72% si dice contrario al “minimonio” firmato da Atene con i creditori internazionali. La stessa percentuale, il 72% ha ammesso di trovarsi in forti difficoltà economiche.

Uno scenario su cui potrebbe filtrare un po’di luce dall’annuncio apparso sull’agenzia di stampa Bloomberg che, dopo un biennio di inchieste e di rumors in questo senso apparsi anche sulla stampa ellenica, ammette che la Grecia ha il potenziale per diventare il più grande Paese europeo produttore di oro entro il 2016. La presenza di giacimenti di oro e di argento è un dato di fatto, come testimoniano molti sopralluoghi (anche di società estere) già effettuati in svariate località del paese, come la penisola Calcidica. Secondo Bloomberg però l’ostacolo si chiama burocrazia: molte aziende che cercano di entrare nel settore devono scontrarsi con la difficoltà nell’ottenere autorizzazioni, con un aggravio di tempi che fanno lievitare i costi. La società canadese Goldfields pare abbia tentato per più di cinque anni di ottenere la necessaria licenza mineraria ma senza risultati.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 12/10/12
Twitter@FDepalo

Perché siamo alla vigilia di una fase “rivoluzionaria”

Nella risposta del sottosegretario all'Istruzione Marco Rossi Doria ai ragazzi che scenderanno in piazza (per protestare contro il caro tasse a scuola) c’è una possibile chiave di lettura dello sbalzo generazionale e sociale a cui si assiste in questo decennio, non solo in Italia:  «Alla loro età - scrive - chiedevo risposte a mio padre, mettendolo a nome della sua generazione di fronte alle mancanze della società in cui stavo crescendo. Mio padre poteva rispondermi che comunque io avevo ereditato un Paese migliore di quello in cui lui stesso era cresciuto». Ma adesso? «Noi - certifica - non sempre possiamo fare altrettanto con i nostri figli. Ed è per questo che alle loro sollecitazioni siamo chiamati a rispondere sempre, anche quando manca la possibilità di offrire facili promesse e comode rassicurazioni. Con onestà e responsabilità». Quindi la stoccata: «La nostra generazione - risponde agli studenti dell'Unione degli universitari e della Rete degli studenti medi - non è stata all'altezza delle grandi questioni che avevamo davanti e i risultati sono adesso sotto gli occhi preoccupati dei più giovani. Il Paese ha estremamente bisogno del loro contributo ideale e fattivo per cambiare ciò che non funziona più, per trovare le risposte che noi non abbiamo saputo dare». Un’ammissione, candida e onesta, del passaggio non sufficiente curato, di una criticità che oggi sta esplodendo in tutte le sue irradiazioni morali e sociali. Ma che, proprio per l’assoluta gravità oggettiva, può e deve trovare nuova linfa non solo nei giovani a cui oggi nessuno può garantire un futuro, ma in una visione innovativa dello stato e del concetto stesso di cittadino, partecipe e attivo.

Lo ha osservato, ad esempio, l’autore e attore teatrale Alessandro Bergonzoni che non è più sufficiente demandare alla politica, «il voto deve prima avvenire dentro di noi, poi c'è la piazza». Intendendo una nuova forma mentale di partecipazione attiva. Quando ragiona sul fatto che l’artista deve «cominciare a fare qualcosa di più del proprio mestiere specifico, deve andare oltre il proprio spettacolo, mostra, libro, opera» intende proprio quella nuova consapevolezza che tutti i cittadini devono possedere, ma non per custodirla gelosamente all’interno del proprio ego, bensì da manifestare ed esternare completamente. Per condividerla.  «L'artista – dice Bergonzoni – deve essere il malato, il detenuto, il morto, la donna, il bambino. Insomma un ponte verso ogni “altrove” perché l'arte è la strada che può congiungere ogni essere alla propria anima e quindi alla propria sovrumanità». E questo filo, dall’arte, deve transitare in tutti gli interstizi del tessuto sociale del paese. Il concetto di homo italicus novus nasce proprio da quel seme che va, ora o mai più, fatto crescere. Semplicemente perché la tragedia europea e mondiale va sanata con più Europa e più mondo, a patto che ciò si esplichi in una nuova forma di cittadinanza, responsabile e comune. Lo ha egregiamente spiegato William Beveridge ne La libertà solidale che «un periodo rivoluzionario nella storia del mondo è il momento più opportuno per fare cambiamenti radicali, invece di semplici rattoppi». Non una transizione, ma una trasformazione. Non una riedizione, ma una novità assoluta: ecco il parametro con cui raffrontarsi.

Dove quell’innovazione risiede in una nuova riscrittura di regole infrastrutturali, che coinvolgano politica e società. Una stagione costituente che sia tale veramente per l’insieme dei pezzi che, a fatica, stanno ancora tenendo in piedi un’Italia che barcolla, che è in bilico, in perenne incertezza, che guarda al domani con timore anziché con ardore e voglia di rischiare in prima persona. Ecco il nodo. E quindi in questo senso una nuova consapevolezza, anche della formazione, sarà imprescindibile. Scriveva Pasquale Villari in uno dei suoi saggi che «una nazione civile è quella che ha scuole le quali, mentre istruiscono, fortificano l’intelligenza nazionale, formano il carattere, danno la disciplina morale e civile, migliorano tutto l’uomo».
Per queste ragioni, dunque, si abbandonino perplessità e remore e si affronti, a viso aperto, la sfida che è alle porte. Ovvero l’insieme delle componenti del Paese compiano, contemporaneamente, un passo in avanti. Uniti, incapsulati in quel bene comune di cui si fa ampio cenno ma che un attimo dopo è necessario trasformare in azione concreta. Società civile, imprese, lavoratori, studenti, politica, semplici cittadini che sentono nella propria psichì il desiderio di rimodulare se stessi. Per comporre un nuovo e duraturo puzzle sociale.
Fonte: Italiani quotidiano del 12/10/12
Twitter@FDepalo

giovedì 11 ottobre 2012

Crisi greca, apertura di Lagarde ad Atene: “Concediamole due anni in più”

Crisi greca, qualcosa si muove all’orizzonte della cosiddetta troika, impegnata in queste settimane a redigere il report propedeutico alla concessione dell’ulteriore tranche da 31 miliardi, in assenza del quale il Paese non avrebbe più denaro in cassa. Il numero uno del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde si dice pronta a ragionare sull’allungamento del programma greco. Ovvero per la prima volta sta maturando la consapevolezza che, come diversi analisti negli ultimi tre mesi hanno ribadito, la Grecia non sarà in grado di far fronte agli impegni del memorandum nei tempi stabiliti. E ammette di aver bisogno di “guardare i finanziamenti e il debito pubblico”.

Tornano sul tavolo da gioco quindi, per questa decisiva partita, i famosi due anni chiesti a più riprese non solo dai membri del governo greco ma anche da un pezzo della troika nel vertice di dieci giorni fa, quando improvvisamente i rappresentanti di Fmi, Ue e Bce lasciarono Atene in un venerdì pomeriggio molto concitato, pochi minuti dopo un forte scontro interno fra loro oltre che con il ministro delle Finanze Yannis Stournaras. “A volte è meglio avere un po’più di tempo”, ha detto il direttore generale del Fondo da Tokyo dove si trova per l’annuale meeting tra Fmi e Banca Mondiale, per supportare anche Portogallo, la Spagna e quindi sostenere la Grecia.

Nei corridoi dei ministeri di Atene dove proseguono freneticamente i vertici con la troika si dice che l’Fmi stia tentando di ottenere sponde europee nel tentativo di proseguire nel programma greco ma con modalità differenti. Delle due l’una: o si salva la Grecia ma con una proroga (diversamente non ci sarebbero i numeri) o si molla l’obiettivo da subito, dal momento che in questo modo non vi sarebbe la certezza di portare a casa il risultato auspicato, come sostenuto anche da Bloomberg e dal Wall Street Journal in diversi editoriali.

Secondo Lagarde, quindi, oltre alle riforme fiscali e strutturali è imprescindibile analizzare scrupolosamente non solo i finanziamenti ma il debito pubblico. Proprio su quest’ultimo si è abbattuto il bollino rosso dell’ultimo report sul monitoraggio fiscale effettuato dal Fondo alla vigilia della visita di Angela Merkel ad Atene. Quando, numeri alla mano, scrisse che “una recessione più pesante del previsto e scostamenti nell’attuazione delle misure fiscali complicano il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di riduzione del deficit”. Indicando un debito al 152,8% del Pil entro il 2017, a fronte di un obiettivo fissato del 137,3 per cento.

Come dire che il taglio da 12 miliardi che la troika chiede in queste ore a stipendi, pensioni, indennità e sanità non servirà ad evitare un default tecnicamente già avvenuto. Ecco allora che le sue parole pronunciate dal Giappone potrebbero rappresentare un “curvone” decisivo in questa crisi greca: “Dobbiamo risparmiare tempo e fatica per fare tutto il possibile per aiutare la Grecia. L’obiettivo del Fondo è di fare il possibile per incentivarla a stare in piedi di nuovo e di tornare un giorno nei mercati senza un sostegno continuo”.

E inoltre incoraggia i paesi dell’eurozona e delle altre grandi economie mondiali ad “affrontare energicamente i problemi”. Intanto c’è da segnalare una specie di derby consumatosi all’indomani della visita in Grecia della cancelliera tedesca. Il liberale tedesco Rainer Brounterle dice che il taglio sul debito greco detenuto dal funzionario del settore, ovvero i governi europei e la Bce, “è qualcosa che potrebbe essere considerato con riserva”. Secondo quanto scrive il Welt, Brounterle durante un incontro a Bruxelles ha ammesso che la rinuncia al rimborso di una parte delle esigenze del settore pubblico potrebbe essere presa in considerazione. Ha notato, tuttavia, che questo al momento non è ancora accaduto né è in fase di discussione. In ogni caso, come sottolineato dal quotidiano, le sue dichiarazioni fanno di Brounterle il primo esponente politico tedesco a non rifiutare esplicitamente questa possibilità.

E di fatto andando contro la posizione ultraortodossa del ministro delle Finanze Schaeuble. Teoricamente, scrive Welt, ci sono tre opzioni per la Grecia: o un taglio nel settore pubblico come chiede la troika, o un pacchetto di misure ex novo, o una proroga. Quella di cui ha parlato oggi la Lagarde. Lo stesso Schaeuble ha però chiuso immediatamente, replicando che “le proposte di un taglio sul debito greco al settore pubblico sono controproducenti”, aggiungendo che “nessuno può costringere la Grecia a lasciare l’euro, ma se il Paese desidera rimanere all’interno della zona euro deve adempiere ai propri obblighi”.
Che qualcosa stia cambiando, però, lo si nota anche da quanto appare sulla stampa teutonica: ieri ad esempio Stefan Kornelius, caporedattore della Suddeutsche Zeitung ha concluso il suo editoriale scrivendo che “la crisi greca non sparirà semplicemente pompando altro denaro”. Capito troika?

Fonte: Il fatto Quotidiano.it del 11/10/12
Twitter@FDepalo

«Cara troika, serve cambiare presto registro. Il rischio? L’esplosione di una violenza cieca»

Da un lato il governo di Nuova Democrazia che «continua imperterrito a coltivare le sue clientele», dall’altro la troika che «risponde a colpi di accetta, non so quanto durerà» ammette amaro Dimitri Deliolanes, da trent’anni corrispondente in Italia della televisione statale greca Ert. «Il rischio è che ci sia un’esplosione di violenza cieca».
Merkel ad Atene, il Die Welt scrive «metà rassicurante, metà minacciosa». Quali scenari si aprono?
Sul minaccioso dissento. Eventualmente è stata troppo diplomatica, evitando di dire quello che i greci si aspettavano di sentire. Ma è prevalso l’aspetto rassicurante, perché, con la sola sua presenza, ha confermato che il vento in Europa sta cambiando. Quella che non cambia è la troika, che continua a premere per applicare la stessa identica ricetta del 2010: abbattimento del costo del lavoro, sfascio dello stato sociale e privatizzazioni a go go. Ora la Merkel sa, perché lo ha toccato con mano, che questa ricetta, da lei condivisa fino a poco tempo fa, non funziona. Samaras l’aveva avvisata in un’intervista all’Handesblat in cui si faceva un paragone con la Repubblica di Weimar, usando toni e argomenti uguali a quelli del leader dell’opposizione Tsipras. Mi sembra che abbia toccato il cuore e la mente della cancelliera: un importante passo in avanti.
La troika è spaccata, nel merito e nel metodo del memorandum: c'è il rischio che la cura prescritta non sani, ma peggiori, la patologia?
Non c’è il rischio, c’è la certezza. I signori della troika sono della gente da mandare a spaccare pietre in Siberia per incompetenza, ottusità e dogmatismo neoliberista. Lo sai che Tomsen, il rappresentante del Fmi e capo della troika è stato espulso da alcuni paesi come “persona non grata”? Ci vuole una laurea alla London School fo Economics per capire che in un paese stremato come la Grecia non si possono imporre ulteriori tagli?
Il Nobel per l’economia, Christopher Pissarides, da tempo propone un default controllato:  praticabile?
Non ora. Era forse una soluzione da applicare nell’immediato, agli inizi del 2010. Oramai non ha più senso. Dopo quasi tre anni di grandissimi sacrifici, i greci si meritano qualcosa che non sia un default, controllato o no.
Dodici mesi fa il premier tecnico Papademos stava avviando le liberalizzazioni, ma Samaras ha chiesto e ottenuto le elezioni: di fatto si è perso un anno?
Papademos era un premier tecnico in ostaggio dei tre partiti (ben presto ridotti a due) che lo sostenevano, Pasok e Nuova Democrazia, ambedue ritenuti giustamente responsabili per il disastro economico. Quindi una situazione molto diversa da Monti. Le due elezioni successive hanno mostrato quanto la crisi abbia provocato una piccola “rivoluzione” nella politica greca: il bipartitismo è crollato e la protesta si è espressa in modo squisitamente politico. Gli elettori ex socialisti si sono spostati a sinistra, rendendo Syriza il primo partito di opposizione, mentre quelli di centrodestra si sono spostati, qualcuno su preoccupanti posizioni naziste, qualche altro sui conservatori dissidenti dei Greci Indipendenti. Questo quadro potrebbe subire ulteriori (forse anche drammatiche) modifiche nel caso in cui Samaras non riuscisse a portare a casa nulla, neanche la dilazione che chiede da tempo: il Pasok è sull’orlo del dissolvimento, la Sinistra Democratica paga duramente la sua partecipazione al governo, i nazisti di Alba Dorata crescono e cresce la sinistra radicale.
Secondo l’Fmi la Grecia non riuscirà a raggiungere gli obiettivi preposti: a questo punto non sarebbe il caso di vagliare strade alternative?
Sì, ma bisogna vedere quali sono gli obiettivi preposti. Quei geni della troika e del governo Papandreou avevano stabilito che nel 2013 la Grecia avrebbe rispettato i criteri di Maastricht. Basta fare un giro al centro di Atene per capire che è una stupidaggine colossale, una delle tante. Ci vorranno tanti cambiamenti, specifici per la Grecia, ma anche più generali per tutta l’Ue. Per la Grecia ci vuole una dilazione almeno fino al 2016 ai tassi tedeschi e forse si imporrà un nuovo haircut del debito, che oramai è in mano a istituzioni pubbliche e non a privati. Per l’Ue dobbiamo elaborare una politica economica di crescita, magari rispolverando le vecchie “programmazioni economiche” spazzate via dal vento neoliberista.
Che paese sarà la Grecia se passasse l'ulteriore taglio da 12 miliardi a stipendi, pensioni e sanità?
Bisogna vedere che paese è ora la Grecia: un paese in cui più di un terzo della popolazione vive sotto la soglia della povertà (quella greca, non quella europea), secondo l’Unicef ci sono 400 mila bambini sottonutriti, i disoccupati sono arrivati al 25%, quelli giovani hanno superato il 50% e siamo al quinto anno di recessione, che è del -7%. Una catastrofe. I nuovi tagli colpiranno il settore pubblico (quindi anche me) con l’abolizione di 13sime e 14sime, innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni e, forse, licenziamenti. Io sono sempre stato per una riduzione del settore pubblico in Grecia, ma accompagnata da una riorganizzazione, una maggiore efficienza e professionalità. Invece il governo di Nuova Democrazia continua imperterrito i coltivare le sue clientele e la troika risponde con colpi di acetta. Non so quanto durerà. Il rischio è che ci sia un’esplosione di violenza cieca.
L'Ue rischia di esalare l'ultimo respiro proprio dove la civiltà è nata millenni fa?
L’Ue rischia grosso, ma spero che alla fine ce la faccia. In fondo l’esperienza greca antica ci insegna proprio questo: in 300 si sono sacrificati per indicare agli altri greci la strada della resistenza a Serse. Così ora dalle sofferenze greche dovrà uscire un nuovo modello di politica economica. Ma anche un’Europa politica un po’ più seria della fantasmatica baronessa Ashton, cioè in grado di far sentire il suo peso politico in Medio Oriente, farsi carico del problema dell’immigrazione clandestina proveniente dalla Turchia, far capire che la nostra civiltà conta qualcosa. Mi illudo? Forse. Ma questo sogno mi piace.          

Fonte: Italiani Quotidiano dell'11/10/12
Twitter@FDepalo

mercoledì 10 ottobre 2012

Oltre questo ventennio bruciato, la politica riparta dalle riforme

«La politica era stata buttata in una discarica di valori - ragiona con Italiani Quotidiano Ferdinando Adornato, all’indomani della presentazione del suo ultimo lavoro Sos Italia - Poi è arrivato il montismo: ed è stato come una doccia gelata dopo una nottata passata a bere whiskey. Da qui bisogna ripartire».
Perché montismo e rigore crede siano le uniche vie di uscita dal ventennio italico?
Semplicemente perché dopo due decenni non si è risolta la crisi di sistema in cui l’Italia era piombata. Anzi, si è assistito ad una degenerazione della politica ancora più marcata di quella esplosa a metà degli anni Novanta. Ciò determina una situazione assai grave, non credo vi sia un paese occidentale che si sia trovato nel giro di un ventennio dinanzi a due crisi sistemiche. Tanto che di fronte alla questione economia e a quella europea,  la politica ha letteralmente dovuto cedere il passo alla formazione di un esecutivo tecnico.  E dopo che per quattro lustri l’interesse nazionale e la cosa pubblica erano stati abbandonati in luogo di una vera e propria guerra civile ideologica. Quindi oggi non si può assolutamente replicare l’errore commesso in passato: occorre un periodo costituente che il governo Monti può garantire.
In che modo?
Sia accompagnando la fuoriuscita della crisi europea e la conquista di un nuovo prestigio internazionale, sia intendendolo come la continuità di un governo di armistizio. Che consenta ai partiti di rigenerarsi per affrontare quelle riforme condivise imprescindibili. Come nel libro osservo esplicitamente, ciò potrebbe anche non accadere, proprio questo è il motivo per cui mi sono sentito di lanciare un sos alla politica. Perché questo non è chiederle troppo, bensì il minimo indispensabile. Basti pensare che secondo i sondaggi il primo partito italiano raccoglierebbe solo il 27%. Una soglia che in Europa si raggiunge solo dopo una sonora batosta. Ecco, Monti è come un grimaldello utile alla rigenerazione della politica.
In Sos Italia non salva nulla della seconda repubblica: troppo forti i freni al cambiamento?
Restano residui di disturbo bipolare, nel Pdl come nel Pd, che ancora immaginano come tutto possa tornare come prima, quasi che nel frattempo nulla fosse accaduto. Un atteggiamento anacronistico rispetto a ciò che accade tutto intorno.
Come abbracciare, dunque, un riformismo liberale?
Le parole pronunciate dallo stesso Capo dello Stato, ripetute anche da Berlusconi e lette nei manifesti programmatici di Prodi non sono state però trasmesse in fatti. Nonostante si fosse consapevoli di quali misure attuare con urgenza nessuno lo ha poi realizzato. La rivoluzione liberale, nei contenuti in cui è stata descritta, è ancora un’utopia per il paese. Resta da capire come mai sia stata così tanto promessa e ridotta un attimo dopo a carta straccia.
Il cambiamento transita anche da un nuovo lessico per la politica. Quale crede sia stato il punto di forza del montismo in questo senso?
Il più evidente e semplice riguarda l’assenza di annunci eclatanti, la sobrietà e l’onestà nel descrivere la reale situazione in cui versa il paese. Quella serietà nel rapportarsi ai fatti reali, al apri del tentativo di guadagnare terreno nelle ricadute europee del caso Italia. La cui politica era stata buttata in una discarica di rifiuti, priva di valore e di considerazione. Il governo Monti è come una doccia gelata dopo una nottata passata a consumare whiskey. A quello servirebbe la continuità: al recupero di una grande tradizione politica italiana. Non ci dimentichiamo che abbiamo insegnato politica a tanti, ma nell’ultimo ventennio si è dimenticata di essere stata una maestra, anche come fonte di educazione per i più giovani.

Fonte: Italiani quotidiano del 10/10/12
Twitter@FDepalo

martedì 9 ottobre 2012

Atene, proteste contro la Merkel. “Qui si gioca il destino dell’Europa”

“Il pagamento di una tranche dei prestiti internazionali non risolverà tutti i problemi della Grecia”. Angela Merkel, che per l’occasione ha indossato la stessa giacca della gara di calcio Germania-Grecia, di fatto smentisce la troika e finalmente dice il vero sulla crisi greca. Una criticità strutturale che prestiti ponte miliardari non stanno riuscendo sanare, come dimostrano tutte le analisi oggettive su debito, Pil e sui valori occupazionali e su una ripresa economica che semplicemente non c’è. In occasione del bilaterale tra il premier Samaras e la cancelliera tedesca, la capitale greca è stata scossa da una giornata di manifestazioni e aspri scontri con le forze dell’ordine. Massiccio lo spiegamento di poliziotti in tenuta antisommossa che hanno creato un cordone di sicurezza dinanzi al parlamento, al Megaro Maximos dove si è svolto il bilaterale; oltre che dinanzi all’ambasciata tedesca, americana e al Goethe Institut.

Proteste a piazza Syntagma - Cinquantamila almeno i cittadini scesi in piazza e coordinati dai tre sindacati nazionali per dire “no” al memorandum che si abbatte sui ceti più deboli e per la cui ultimazione (ovvero l’ulteriore tranche di prestiti da 31 miliardi) servono tagli per altri 12 miliardi di euro da effettuare su stipendi, pensioni, sanità e welfare. Il cancelliere ha avuto un “assaggio” delle pulsioni sociali che in questi tre anni hanno attraversato il paese intero quando è transitata davanti all’ospedale Dunant. I dipendenti, i medici e gli infermieri le hanno indirizzato fischi e lanciato bottiglie di acqua. La visita rappresenta senza dubbio un passo in avanti nelle relazioni fra i due paesi, come confermano le parole della stessa cancelliera: “Non sono venuta qui per guardare dall’alto in basso, sono venuta qui come alleata e amica. Credo fermamente nel fatto che la Grecia supererà le difficoltà. Non siamo alla fine del percorso, ma sono stati fatti passi importanti. Vorrei aumentare gli aiuti destinati alla Grecia, i requisiti al momento ci sono, ma dobbiamo aspettare la relazione della troika. Molto è stato fatto, ma molto si deve ancora fare e stiamo collaborando per raggiungere i risultati sperati”. E poi ha aggiunto: “Quello che è in gioco adesso è il destino dell’Unione europea stessa”.

Samaras: “La Grecia non uscirà dall’euro” – “Il fatto che la cancelliera tedesca sia oggi in Grecia è la prova che non siamo in quell’isolamento politico vissuto negli ultimi mesi: abbiamo fatto degli errori ma abbiamo subito un isolamento che non meritavamo”, ha detto Samaras. Il premier greco ha descritto l’Europa come “la nostra casa comune” e ha sottolineato che ha avuto l’opportunità di spiegare alla Merkel che la Grecia “servirà i suoi obblighi”, oltre ad aggiungere che l’uscita dall’Unione europea per la Grecia “non è praticabile”. Ma ha rilevato che l’obiettivo è quello di “uscire dalla recessione e dalla disoccupazione che davvero paralizza l’economia”. Ciò implica, ha aggiunto, che la Grecia resterà nell’euro e realizzerà i cambiamenti strutturali, definendo il consolidamento fiscale una priorità al pari del memorandum. “Il popolo in questo momento sanguina – ha continuato – ma è determinato a restare nell’euro”. La replica del capo delle opposizioni Alexis Tsipras arriva dalle colonne del Guardian: “L’Europa può sopravvivere alla crisi provocata dalla austerità, solo se ridisegnata da e per il popolo”. E aggiunge: “L’economia greca si è ridotta di oltre il 22% dipendenti e pensionati hanno perso il 32% del loro reddito. Così si impedisce all’economia di tornare a crescere. L’obiettivo non è quello di risolvere la crisi del debito, ma di creare un nuovo quadro normativo in Europa, sulla base di manodopera a basso costo, un ricatto politico ed economico per convincere o costringere i cittadini europei di accettare i pacchetti di austerità senza alcuna reazione. La politica della paura e di estorsione seguiti in Grecia è il miglior esempio di questa strategia”.

Ma fuori dai palazzi del potere l’atmosfera è stata tutt’altro che amichevole. Scontri si sono verificati nei pressi di piazza Syntagma con manifestanti che inneggiavano slogan contro i tedeschi e contro frau Angela: “Via gli imperialisti”, “No al quarto Reich”, “Fuori la Merkel, la Grecia non è una colonia”. Una trentina di persone hanno tentato di sfondare la protezione eretta dagli agenti a pochi metri dal parlamento ma la polizia ha replicato con un lancio di gas lacrimogeni. Una bomba molotov è stata scagliata contro il prestigioso hotel Britannia, che si affaccia sulla piazza del parlamento. In tutto 90 gli arresti attorno a piazza Syntagma, dove i manifestanti hanno bruciato anche una bandiera con la svastica, e tra i fermati c’è anche un dirigente del partito di sinistra Syriza.  I manifestanti sono riusciti a lanciare bottiglie e altri oggetti al passaggio del corteo e alcune vetture sono state colpite. Da un primo bilancio ci sarebbero stati tre arresti e 35 fermati, tra cui un dirigente del partito di sinistra Syriza. Si calcola che siano 30-40mila gli attivisti che hanno ignorato il divieto di manifestare imposto dal governo, raccogliendo l’appello dei sindacati Adedy e Gsee a protestare contro le nuove misure di austerità richieste dalla troika al governo greco e contro la visita della cancelliera.

Nell’incontro ateniese all’interno del Megaro Maximos, al centro della discussione c’è stata la richiesta greca di proroga che Samaras avanzerà verosimilmente in occasione dell’eurovertice del 18 ottobre. Ruolo delicato sta svolgendo anche il coordinatore della task force tedesca, il signor Fouchtel, che avrà il compito materiale di travasare sul territorio ellenico il know how tedesco in svariati ambiti come sanità, ambiente e informatizzazione, utile alla modernizzazione della “macchina statale” di Atene.

Papoulias: “La nostra resistenza è quasi esaurita”-  La giornata è proseguita con l’incontro con il presidente della Repubblica Karolos Papoulias che, commentando l’incontro tra Merkel e Samaras ha spiegato: “Abbiamo quasi esaurito la nostra capacità di resistenza”. La cancelliera ha poi incontrato un folto gruppo di imprenditori greci e rappresentanti delle aziende tedesche che operano in Grecia, come Siemens, Ote, Bauer presso l’Hotel Hilton. Presenti anche i rappresentanti delle tre maggiori banche greche, nazionali, Alpha Bank e Eurobank. Con sullo sfondo due notizie per così dire “burocratiche” che confermano le voci di frizioni all’interno della troika nel merito e nel metodo del piano.

Da un lato il commissario agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, che al termine del Consiglio Ecofin a Lussemburgo dice che una nuova tranche di aiuti di circa 31 miliardi di euro sarà concessa alla Grecia (“che sta facendo progressi”) al più tardi entro novembre. Dall’altro la stroncatura da parte del Fondo Monetario Internazionale che, in occasione di un rapporto di monitoraggio fiscale, asserisce che Atene si troverà in una recessione “più pesante del previsto e scostamenti nell’attuazione delle misure fiscali complicano il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di riduzione del deficit”. Come dire che l’Fmi non crede alla capacità greca di mantenere gli impegni e valuta anche un debito al 152,8% del Pil entro il 2017, a fronte di un obiettivo fissato del 137,3%. Lecito chiedersi dunque: a cosa serve proseguire nel memorandum se chi lo ha prescritto non scommette un euro sulla sopravvivenza del malato Grecia? Come si domanda anche il francese Le Monde in un editoriale: “E se la troika avesse portato la Grecia al fallimento?”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano.it del 9/10/12
Twitter@FDepalo

Merkel ad Atene, scontri e proteste I manifestanti: “Non vogliamo il Quarto Reich”

ATENE – «Angela Merkel è attualmente ad Atene per sostenere i merkeliani greci, ovvero Samaras, Venizelos e Kouvelis. Ma noi dobbiamo offrire al popolo greco un messaggio: l’Europa vincerà sugli europei e sul barbaro memorandum». Così il leader del Syriza Alexis Tsipras mescolato ai 50mila manifestanti (nel raduno organizzato dai sindacati Gsee e Adedy, e alla presenza di Bernd Riexinge, uno dei leader della Linke tedesca) che hanno urlato tutta la loro protesta in occasione della visita della cancelliera tedesca Angela Merkel ad Atene. Capitale greca superblindata in virtù di uno spiegamento straordinario di forze dell’ordine che hanno creato una vera e propria cintura di difesa attorno al Parlamento, al Megaro Maximos dove si è volto il bilaterale, all’ambasciata tedesca e al Goethe Institut. Bottiglie di plastica sono state lanciate contro il convoglio che ospitava frau Angela.

Ma le strade che circondano piazza Syntagma si sono presto trasformate in terreno di scontro con le forze dell’ordine. Che hanno lanciato granate flash e gas lacrimogeni contro i manifestanti, alcuni dei quali indossavano una divisa nazista. Oltre 90 gli arresti effettuati dalla polizia. Altri testimoni riferiscono di aver visto bruciare delle bandiere della Germania nazista in segno di protesta. Eccezionale il dispiegamento dei tre sindacati del paese. La folla ha esposto cartelli con la svastica e scritte come “No al Quarto Reich” e “Fuori gli imperialisti”, ovvero un palese richiamo al ruolo svolto dalla Germania e dalla cancelliera nell’economia complessiva del memorandum imposto dalla troika, in cambio di aiuti che sembrano non avere fine. Secondo la leader del Kke Aleka Papariga “abbiamo sconfitto chi non esitava a rompere le catene della lotta di classe, ciò per noi è il significato della dimostrazione di piazza di oggi con questa affluenza. Questo deve essere il significato delle lotte attuali e future”. In piazza anche l’eroe della resistenza greca Manolis Glentzos (oggi deputato del Syriza) e il compositore Dionysis Tsakni al fianco dei sindacalisti del Pame, secondo ammette di aver scelto di essere qui «per essere presente, perché ho vissuto intensamente gli anni della giunta dei colonnelli e si stanno risvegliando proprio quei ricordi».

Ma nelle stesse ore in cui si consumava il vertice greco-tedesco ecco la doccia gelata da parte dell’Fmi. All’interno del suo report di monitoraggio fiscale dice che in Grecia ci sarà una recessione «più pesante del previsto e scostamenti nell’attuazione delle misure fiscali complicano il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di riduzione del deficit». Secondo il Fondo Monetario Internazionale quindi Atene mancherà l’obiettivo di riduzione del debito nel periodo previsto dall’accordo di salvataggio. E indica un debito al 152,8% del Pil entro il 2017, a fronte di un obiettivo fissato del 137,3%. Come dire che il taglio da 12 miliardi che la troika chiede a stipendi, pensioni, indennità e sanità non servirà ad evitare il default.

Fonte: Gli Altri on line del 9/10/12
Twitter@FDepalo

lunedì 8 ottobre 2012

Grecia, Atene blindata per l’arrivo della Merkel. Sindacati sul piede di guerra

Settemila agenti di polizia provenienti da tutte le regioni della Grecia per garantire l’incolumità della cancelliera, manifestazioni di protesta previste all’esterno del Parlamento e anche del Megaro Maximos (dove si svolgerà il vertice) con i sindacati a gridare tutto la loro disperazione, rischio attentati per la delicatezza sociale del momento. E un cordone di sicurezza, come non si vedeva dalla visita di Bill Clinton del 1999, a protezione dell’ambasciata tedesca e del Goethe Institut. Martedì Atene sarà blindata per l’arrivo di Angela Merkel, forse uno degli appuntamenti più delicati per il paese in crisi da un triennio, e nonostante ciò il ministro delle finanze tedesco Schaeuble spegne gli entusiasmi sotto l’Acropoli: “L’arrivo di Merkel in Grecia non autorizza automaticamente l’erogazione di nuovi aiuti. La giurisdizione di questa materia appartiene alla troika. Il resto è solo immaginazione”.

I sindacati greci promettono una protesta ferma e decisa. “L’errore di un memorandum di cui non si vede la fine è politico – ammette al fattoquotidiano.it Anestis Statis, portavoce del sindacato Gsee – non sono provvedimenti per i lavoratori, ma contro di essi. Vogliono far pagare il conto della crisi a chi guadagna un salario da settecento euro e non è giusto. I lavoratori, i pensionati e disoccupati non possono essere unico bersaglio delle politiche punitive dell’Ue”. Gli fa eco il suo omonimo del sindacato Pame, Iorgos Kotikos, secondo cui queste sono “misure barbare che un governo democratico non dovrebbe avallare in nessun caso”. Mentre secondo Vassilis Kiriakakis, deputato del Syriza, l’unica speranza per il popolo greco sta in un cambio alla testa del governo “che protegga un bene primario come il lavoro e non lo esponga alla mercé degli stranieri, per questo nelle prossime quarantott’ore saremo in tutte le piazze delle città greche per dire il nostro no alla distruzione di un valore costituzionale come il lavoro”.

L’”accoglienza” per frau Angela inizierà già dal questo pomeriggio con i lavoratori aderenti ai sindacati Gsee e Adedy che raggiungeranno a piedi piazza Syntagma per un sit in di protesta. Mentre il partito degli Indipendenti greci si riunirà all’esterno dell’ambasciata tedesca nelle stesse ore. Martedì dalle ore 13 nuovo raduno dinanzi al parlamento e in piazza Omonia. Per questo tutti i servizi pubblici saranno interrotti dalle 12 di martedì sino alle ore 15. Durante le manifestazioni saranno chiuse a titolo precauzionale le stazioni della metropolitana nel centro di Atene, in Evangelistrias, Syntagma, Panepistimiou e Omonia. Invita a un nuovo sciopero generale la leader comunista del Kke Aleka Papariga, secondo cui la visita della cancelliera altro non è che un supporto al governo di Samaras per intimidire e ridurre al silenzio i cittadini onesti, per questo invita tutti i lavoratori ad un’altra imponente mobilitazione generale.

“Sarebbe un errore se vi fossero reazioni violente – osserva invece Christos Alexandris, vicedirettore del quotidiano Lamiakos Typos – dobbiamo comprendere che senza gli europei oggi saremmo un popolo povero e alla fame. Ciò che conta è l’immagine che diamo all’esterno e in questo momento in cui si discute dei prossimi aiuti non so quanto proteste e tumulti gioverebbero”.

La visita è figlia del doloroso compromesso non ancora raggiunto tra il governo e la troika, che comprende tagli per 12 miliardi di euro. Alla vigilia di un inverno che si preannuncia molto rigido per l’economia ellenica ormai in caduta libera, da Bruxelles non pochi sono gli spifferi che vogliono un rallentamento nelle trattative sul caso Grecia, causa elezioni americane e numeri incrociati sempre più sconfortanti, come il rapporto deficit-pil e il tentativo di prorogare l’attuazione delle misure su cui si è innescato un ampio dibattito nei giorni scorsi. Il premier Samaras auspica che il sostegno tedesco stimoli l’ottimismo di creditori e investitori, oltre che lo alleggerisca della pressione interna, con più di una voce che paventa un rischio caduta per l’esecutivo guidato dal conservatore di Nea Dimokratia. E con all’orizzonte l’appuntamento del 18 ottobre, con un vertice europeo che forse non avrà un valenza cruciale. Per queste ragioni gli analisti vedono nella visita della Merkel ad Atene la volontà di essere fisicamente “al centro” della crisi europea. E, aggiungono fonti della cancelliera, intende far passare il messaggio che non ha nessuna intenzione di lasciare la Grecia senza denaro. Merkel-Samaras, un rapporto che non era iniziato sotto i migliori auguri, con commenti non certo lusinghieri da parte di Berlino alle richieste del premier greco il giorno successivo alla vittoria elettorale di giugno. Ma la sua visita a Berlino lo scorso 24 agosto ha rotto il ghiaccio e recuperato anche sul piano personale un rapporto al momento definito “equilibrato” e nonostante i continui attacchi di altri membri del governo, come il ministro delle finanze Schaeuble.

Senza dubbio, oltre che di politica e di spread, si parlerà anche e ancora di affari: dalla Germania ci sarebbe l’intenzione di investire in Grecia e non in modo occasionale, ma specificatamente in centrali elettriche. Per questo sembra che sarebbe già stata approntata dal team economico della cancelliera una bozza di un piano in dieci punti che potrebbe costituire la base di azioni mirate su tutto il territorio ellenico, anche per trasferire la tecnologia teutonica in settori in emergenza come la gestione dei rifiuti. Intanto si registra una “dichiarazione positiva” da parte della commissione europea. Secondo quanto riferito dal commissario Olli Rehn, i ministri delle finanze sono tenuti a rilasciare una dichiarazione positiva sui progressi della Grecia verso il conseguimento degli obiettivi della disciplina di bilancio, presupposto all’erogazione della successiva tranche di aiuti. “E’importante che il processo sia completato nelle prossime settimane – ha osservato – i negoziati hanno compiuto buoni progressi in questi ultimi giorni ed è per questo che mi aspetto che l’Eurogruppo fornirà una dichiarazione positiva e di supporto”. Di progressi significativi parlano anche fonti del Fondo Monetario Internazionale. Ma è evidente che la dichiarazione positiva dall’Eurogruppo e del vertice dell’Fmi è solo un’anticamera, seppure rilevante, alla concessione dei 31,5 miliardi di euro utili per non far fallire un pese che è già tecnicamente fallito. Sembra che la decisione finale non sarà presa in occasione dell’eurovertice del 18 ottobre bensì a fine novembre. Anche perché il report della troika verrà ultimato non prima del 20 ottobre.

Infine si apprende che il partito Sinistra Democratica, che insieme con il socialista Pasok sostiene il governo di coalizione, voterà sì al pacchetto delle nuove misure di austerità: lo ha deciso a larga maggioranza, 80 voti a favore su 104 votanti, il Comitato Centrale del partito. Il leader del partito Fotis Kouvelis: “Siamo la sinistra della responsabilità”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano.it del 8/10/12
Twitter@FDepalo

«Un programma di “attacco” contro la decadenza italica»

«Se moderati significa non andare all’attacco delle riforme da fare, beh, allora io non sono moderato – dice a Italiani Quotidiano Salvatore Carrubba, uno dei coordinatore dei Mille per l’Italia e presidente dell’Accademia di Brera, oltre che consigliere d’amministrazione dell’università Iulm – perché al paese serve uno scatto di reni per la ricostruzione».
Mille per l’Italia: un’idea, ma soprattutto uno stimolo. Come guardare all’obiettivo lista civica nazionale?
Con una chiarezza di intenti programmatici, nella consapevolezza della drammaticità assoluta del momento. Sulla criticità del sistema economico e finanziario si sta iniziando a perdere un po’il senso. Sembra che dopo l’agosto scorso sia venuto meno il senso dell’emergenza. E invece non è finita, come dimostrano le difficoltà delle imprese, dei lavoratori, dei disoccupati, delle famiglie e dei mercati internazionali. Serve un intervento tutt’altro che moderato nella riscrittura delle regole, proprio perché bisogna rinnovare profondamente tutto in virtù di un programma di attacco per curare le patologie italiane in materia fiscale, economica, politica e strutturale. Se per moderati intendiamo voler proseguire nello status quo, allora io non mi sento affatto tale.
 Politica e società civile: quale errore non commettere?
Pur non iscrivendomi al gruppo di chi pensa che la società civile sia migliore di quella politica, credo però che sia necessario dare comunque un segno di rinnovamento significativo. E non solo generazionale ma soprattutto per apportare esperienze professionali e passione per la politica intesa come ricerca dell’interesse comune, nel rispetto delle idee diverse. Occorre modificare radicalmente il metodo di selezione della classe dirigente. Se su queste due condizioni si dovesse creare un raggruppamento di individui di buon senso e di buona volontà, allora potremo dare un reale contributo.
In molti sostengono che politica e cultura non siano più vasi comunicanti: come ricominciare a tessere quella tela?
Mentre la politica non è mai stata molto attenta ai problemi della cultura, la cultura ha sempre avuto un atteggiamento molto spocchioso verso la politica. E quest’ultima altrettanto spesso ha considerato la cultura solo un mezzo per creare consenso, con molti soggetti legati alla cultura che si sono prestati a un simile gioco. Vi sono molti equivoci da sconfiggere e lo si potrà fare solo se la politica comprenderà come la cultura sia uno strumento di sviluppo innanzitutto civile, non mero arnese per raccogliere voti. Come numerosi studi dimostrano, vi sono società migliori lì dove prolifera una maggiore diffusione di cultura. Quest’ultima è imprescindibile per creare le condizioni ideali allo sviluppo di un’industria culturale. Nella convinzione che ormai nel nostro futuro produttivo forse non ci saranno più auto, acciaio o cemento, ma valori non materiali che necessitano di un substrato culturale più marcato.
Prendendo spunto da quanto scrive nel suo Il cuore in mano, crede che l’Italia sia come un flipper?
Certo e lo dimostra il fatto stesso che esiste una massa di elettorato fluttuante e incerto con percentuali mai registrate prima nella storia del paese. I cittadini si sentono sballottati, alla perenne ricerca di una meta o di qualcuno che la indichi. Ciò spiega anche il paradosso di quei cittadini che apprezzano Monti ma non tutte le sue politiche. Proprio per quell’esigenza di avere interpreti affidabili. Certo, poi si potrà discutere nel merito delle scelte fatte, ma è necessario un presupposto di fondo che si chiama credibilità. Non trovandola, ecco che la gente assomiglia a una pallina di un flipper e non sa più dove fermarsi. In pochi mesi dovremo essere bravi a trasformare quel flipper in una macchina funzionale che serva la comunità intera.

Fonte: Italiani quotidiano del 6/10/12
Twitter@FDepalo
 

venerdì 5 ottobre 2012

Grecia, il premier Samaras: “A rischio servizi primari. Stipendi e pensioni”

Sceglie, forse non a caso, il quotidiano economico tedesco Handelsblatt il premier Antonis Samaras per lanciare l’ennesimo allarme di questa crisi greca. Un allarme che, puntuale come un orologio svizzero, si ripete alla vigilia di ogni erogazione di nuovi prestiti-ponte. E dice: “In cassa ci sono soldi solo fino a novembre – scandisce l’esponente conservatore – dopo di che i fondi saranno esauriti”. Quindi, è il messaggio, fate presto. Perché saranno nuovamente a rischio i servizi primari, come il pagamento di stipendi e pensioni. E scomoda il paragone con la repubblica di Weimar per descrivere il panorama politico del paese.

La Grecia non può durare oltre un mese e mezzo, annuncia perentorio, citando come possibile ciambella di salvataggio da parte della Bce una sorta di maturazione del debito greco, altrimenti detta ristrutturazione. Per questo valuta come “significativamente rilevante” l’opzione di una potenziale ricapitalizzazione delle banche greche svolte direttamente da meccanismi di sostegno, come già discusso per il caso Spagna dai vertici europei. “La chiave è la liquidità e l’uscita dall’euro sarebbe una catastrofe” ha detto Samaras. E alla domanda su quanto tempo il paese sarà in grado di resistere prima della nuova tranche ribadisce il suo assunto: “Entro la fine di novembre”. Sottolineando che la Bce potrà svolgere un ruolo decisivo solo se si accetteranno i tassi di interesse più bassi sui titoli greci e se ne approverà lo spostamento alla loro scadenza. E corroborando la sua analisi-richiesta di aiuto con un passaggio significativo sulla ricapitalizzazione degli istituti di credito ellenici, che potrebbe essere attuata tramite l’Esm (European Stability Mechanism), come già previsto per le criticità di Madrid, e questo “sarebbe un grande sollievo”.

Ma la contingenza economica è stata l’occasione per allargare il panorama della discussione anche alla politica greca. Samaras usa infatti toni drammatici per descrivere la situazione e ammette che questa è forse “la sfida più grande”. In quanto se il suo governo dovesse cadere (come titola oggi il settimanale Pressing) “ci aspettiamo il caos”. Ribadendo che mentre il paese è pronto a fare dei sacrifici, non altrettanto chiaro è se alla fine del tunnel ci sarà o meno un po’di luce. Indica le minacce che attualmente si abbattono sul paese e le individua nell’estrema sinistra populista e nella crescita di “un’estrema destra, si potrebbe dire fascista, con un partito neonazista”, che gli fa suggerire un parallelo con repubblica di Weimar. Per questo, ragiona con il quotidiano finanziario tedesco, la coesione sociale oggi “è messa in pericolo dalla disoccupazione in aumento, proprio come in Germania alla fine della Repubblica di Weimar”.

E lancia il suo aut aut rivolto alle opposizioni greche: la sua politica trova consensi in quanto i cittadini hanno ben compreso come questo governo sia “l’ultima occasione” per la Grecia. E definisce il suo mandato da premier come “la battaglia della mia vita”. Assicura che il paese è pronto a portare a termine i sacrifici richiesti, a “stringere i denti, anche se abbiamo perso in cinque anni un terzo dei nostri standard di vita”. Sul memorandum della troika riflette che le misure già adottate “arrivano fino alle ossa”, sottolineando che il paese “ha raggiunto il limite di ciò che può essere chiesto ai suoi cittadini”, come tra l’altro dimostrano le numerose manifestazioni di protesta che praticamente ogni giorno dallo scorso primo settembre stanno bloccando il paese. Poi ci tiene a precisare che i rapporti con il governo tedesco sono caratterizzati da un “giusto tono” e che auspica quanto prima una visita della cancelliera Merkel ad Atene. E la cancelliera sarà martedì in visita ad Atene. Al centro dei colloqui la situazione della Grecia, il futuro dell’Eurozona e le relazioni bilaterali tra i due paesi. Berlino vuole dalla Grecia uno sforzo “più intenso sulle riforme” dice il portavoce della cancelliera tedesca Steffen Seibert.

Non una parola sullo scandalo della lista Lagarde, con nomi di politici greci coinvolti in presunti fondi neri (ora nella mani del leader del Pasok Evangelos Venizelos), né tantomeno del suicidio avvenuto ieri dell’ex ministro dell’Interno Leonidas Tsannis, forse perché uno dei nomi finiti in quello scomodo elenco. E su cui sta indagando la magistratura.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 5/10/12
Twitter@FDepalo

Mediterraneo, la chiave è la concorrenza "energetica"

Una sorta di cuscinetto programmatico, all’interno del quale si rischia di smarrire la strada maestra e “mediterranea” da seguire per rafforzare gli argini di quel meraviglioso lago salato che è il mare nostrum. Quando spread e mercati non saranno più in grado di mordere, così come stanno purtroppo facendo da un biennio, alle caviglie della zona euro mediterranea, sarà forse troppo tardi per ricominciare a tessere la tela dello sviluppo. In quanto ci si dovrà scontrare con la mancanza di risorse che in futuro difficilmente potrà migliorare in breve tempo. E con una serie di criticità che, se non affrontate per tempo, diventeranno ancora più complesse. Ecco perché una politica lungimirante e ad ampio respiro, altro non deve fare che prevedere scenari e immaginare prospettive utili al benessere collettivo, non solo di un singolo stato, ma di un’intera zona. E concentrarsi sul Mediterraneo, inteso non solo come macro area per scambi e reciproci rapporti commerciali, ma come possibile nuovo fulcro mondiale, che superi in qualche modo il gap che accusa nei confronti delle nuove economie “orientali”, come India e Cina.

L’area euro mediterranea è attraversata dalle note crisi economiche di Spagna e Grecia, ma ciò non deve far venire meno la consapevolezza di quanto utile possa essere quell’intero “fuso orario”. Da implementare, da ricostruire e per certi versi anche da reinterpretare per non perdere la partita che si gioca su scala continentale. Una delle opportunità di sviluppo prende il nome di energie alternative, come il gas. Innovativo, ricercato, multifunzionale. Che non solo dal Mediterraneo transita, proveniente dall’area dell’ex Unione Sovietica, ma che potrebbe essere di lì estratto. Come testimonia il recente accordo stretto tra Cipro e Israele per la comune collaborazione nelle acque antistanti i due paesi. Quanto sarebbe utile una cooperazione energetica da parte dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Con una doppia valenza: ottenere una sorta di produzione propria di nuove energie (al pari dei parchi solari ed eolici) e stringere sinergie comuni. È di pochi giorni fa la notizia che la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) ha destinato più di cinque milioni di euro in Albania per investimenti nel settore privato delle energie rinnovabili, per costruire due impianti idroelettrici nella parte orientale del Paese. Al pari degli esiti della conferenza ministeriale dell'Iniziativa Centro Europea (Ince) sui biocarburanti di futura generazione svoltasi a Trieste, i cui partecipanti hanno espresso il proprio sostegno alla proposta di creare un fondo fiduciario: anticamera a nuovi e futuri sviluppi proprio nel settore delle nuove energie.

Certo, vi è da registrare ancora un certo conservatorismo energetico che, non troppo velatamente, si scorge. Come la risposta indiretta di Vladimir Putin all’Ue che aveva chiesto solo pochi giorni fa una divisione di competenze tra le attività di produzione e trasporto e per favorire una maggiore concorrenza. E il presidente russo ha subito precisato che la struttura di Gazprom non è intoccabile, anzi, “è necessario cambiare l'economia di una società di tale tipo”, ma non come chiede l'Ue, ovvero non separando il sistema di trasporto dalle attività del gruppo. Ha aggiunto che tagliare le attività di trasporto, ovvero separare il sistema di gasdotti che porta il metano di Gazprom ai Paesi che lo acquistano, sarebbe deleterio in quanto “la componente del trasporto morirebbe”. Ma intanto si apprende che la Commissione europea ha avviato un'inchiesta proprio sulle attività di Gazprom in Paesi dell'Europa centrale e orientale, dove di fatto l’azienda si trova nella privilegiata posizione di essere monopolista, e per questo sospettata di abuso di posizione dominante.

E allora la prospettiva da corroborare con politiche mirate e analisi lungimiranti non può che essere nelle nuove opportunità energetiche presenti nel Mediterraneo. Ma incapsulando questa attività di potenziale sviluppo economico all’interno di un’attenta salvaguardia dell’ambiente. Secondo il recente rapporto del WWF “Andamento dell’Impronta Ecologica nel Mediterraneo”, presentato in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Habitat, il mare nostrum sarebbe a grave rischio ecologico. E a causa del cosiddetto eco-debito contratto proprio da quei Paesi che vi si affacciano. Come ha evidenziato il direttore scientifico di WWF Italia Gianfranco Bologna, «la domanda dell’area mediterranea per le risorse ed i servizi ecologici è incrementata del 197% nei 47 anni presi in considerazione, dal 1961 al 2008, aumentando il deficit ecologico del 230%, e del 150% negli ultimi 4 anni, a partire dal 2008, e che nel solo 2008 tre paesi da soli hanno inciso per più del 50% sull’impronta totale della regione mediterranea, ovvero Francia (21%), Italia (18%) e Spagna (14%)». Sono numeri che non devono far abbassare la soglia di attenzione degli amministratori, ma dall’altro non devono spaventare un progresso che, proprio lì, al centro esatto di quella massa liquida dove la civiltà è nata, potrebbe riscontrare un inatteso e risolutivo nuovo trend.

Il tutto mentre il Marocco annuncia la prima centrale elettrica termico-solare, costruita in pieno deserto per un costo di mezzo miliardo di euro. Che produrrà, a partire dal 2015, 500 megawatt in virtù di un accordo figlio della cooperazione francese, della Commissione europea, della Banca mondiale e da fondi per lo sviluppo in Africa. Un esempio di come si fa a fare squadra.

Fonte: Agenda del 5/10/12
Twitter@FDepalo

«Bersani faccia una cosa di sinistra e dica “sì” al Monti bi, per l’Italia»


«L’Italia ha l’ultima occasione per uscire da questa vera e propria guerra – confessa a Italiani Quotidiano Giovanni Fasanella, giornalista parlamentare di Panorama e autore di libri-inchiesta e documentari –  ma serve anche una cultura delle regole per ricostruire un paese di macerie».
Pd: saranno primarie vere?
Sembra una cosa ridicola: sono primarie per cosa? Per il candidato premier del centrosinistra? Per il segretario del Pd? Si tratta di elezioni che avrebbero senso solo in un determinato contesto. Quando invece la prospettiva è del tutto incerta, le regole sono assolutamente indefinite, non condivise o vaghe, sono destinate ad essere ininfluenti sui futuri assetti. Può essere magari una prova di vitalità del partito, nel tentativo di recuperare il rapporto con i propri elettori,
Verso una legislatura costituente per la ricostruzione: priorità o male minore?
Senza dubbio una priorità. Ma non ci rendiamo conto in che condizioni versa il paese? Sotto tutti i punti di vista (economico, sociale, culturale, legalitario) l’Italia appare devastata, come se fosse uscita da una vera e propria guerra. È travolta dalle macerie, da ripensare nelle sue fondamenta. Un’operazione che andava fatta subito dopo la fine della guerra fredda, ma ahimè i partiti non vollero ascoltare gli appelli di Cossiga che li invitata alla grande confessione. Perché era terminata un’era geologica, e bisognava rifondare lo stato, facendo pulizia all’interno di quei contenitori. Invece i partiti non vollero dargli ascolto, anzi Cossiga venne dipinto come un pazzo visionario, persino golpista. Il risultato è ciò che ancora oggi abbiamo sotto gli occhi. Al termine della guerra fredda si reagì da una parte con la classe dirigente di governo, chiudendosi in se stessa e proteggendo oltremodo gli scheletri che ognuno custodiva nel proprio armadio. La sinistra ex comunista reagì invece, sconfitta dalla storia, tentando di prendersi una rivincita sul piano giudiziario.
E il risultato?
Questo lungo, lunghissimo, interminabile ventennio di posizioni feroci con il paese ridotto allo stremo. Se si dovesse perdere anche questo treno francamente dubito che l’Italia possa resistere, ancora e unito.
Ha postato pochi giorni fa un invito a Bersani: «Faccia una cosa di sinistra, si schieri per Monti».
Un appello il cui senso è: caro Pd, fai propria questa esigenza. E che lo dica apertamente al paese, che serve riformare la Costituzione, rifondare lo Stato, ripensare le regole dell’economia. In una parola sola: ricostruire tutto e questo non lo si può fare con Vendola e Di Pietro, ma portando a termine il lavoro egregiamente iniziato da Monti. Su cui certamente ci potrebbero essere mille rilievi da apportare, soprattutto per i provvedimenti e per il linguaggio che alcuni ministri hanno scelto di utilizzare,  ma nella consapevolezza che si tratta di un governo che ha ridato credibilità all’Italia sulla scena internazionale, dove il nostro prestigio era ormai prossimo allo zero. E dove sta faticosamente ricostituendo le basi per una ripresa.  A chi pensa che un Monti-bis non abbia più senso chiedo: si torna a cosa? Il centrodestra è allo sfacelo, mal governato che ha fatto disastri; e a sinistra non sono stati in grado di erigere un’alternativa alla crisi politica sistemica.
Tutti chiedono discontinuità, in molti promettono di attingere alla società civile: come rifondare realmente i partiti politici?
Non farei una distinzione così secca tra i due. Molto spesso la politica è specchio della società civile, che in alcuni casi è perfino migliore. Non dimentichiamo che nella società civile vi sono anche i poteri criminali, la mafia, la camorra. Il problema piuttosto è capire quali sono i meccanismi di selezione della futura classe dirigente, che impediscono in Italia – unico caso nel panorama delle democrazia occidentali – di ricambiare gli interpreti. Ecco il punto vero. Siamo preda di un sistema di “tappi”.
Come uscirne?
Proporrei che, a tutti i livelli della vita pubblica, la elezione dei nuovi soggetti politici non avvenga per cooptazione ma su basi meritocratiche.
Ddl anticorruzione: potrebbe essere la prima pietra di un modo nuovo di intendere politica e poteri?
Certo, ed è questo il segnale che bisogna lanciare agli elettori senza perdere un attimo di tempo. È necessario far sapere all’opinione pubblica che lo stato e la politica stanno reagendo in modo adeguato all’ondata di fango che si sta abbattendo sui partiti e sulle istituzioni. E che rischia, poi, di travolgere tutto. Credo che il problema non si solo la corruzione dei partiti, quanto – se mi è consentito – la corruzione della cosiddetta società civile, ovvero l’economia legale infettata dai poteri criminali. Costruendo una cultura della legalità reintroducendo a scuole l’ora di educazione civica: quel rispetto delle regole prezioso come l’aria.

Fonte: Italiani Quotidiano del 5/10/12
Twitter@FDepalo

giovedì 4 ottobre 2012

Spezzano i reni alla Grecia: dializzati senza più cure

Atene – D’accordo, hanno rubato, per anni. E tantissimi fondi, europei e nazionali. Ma pretendere, oggi, che il conto della crisi greca lo paghino solo i quindicimila dipendenti pubblici che la troika vuole licenziare a fronte di scandali politici (implicati in fondi neri, altro che Carlo Sama), di euro ellenici custoditi in Svizzera al caldo di qualche cantone e di conflitti di interessi macroscopici, non solo è sintomo di un’assurdità tecnica (visto che la voragine del debito non sarà nemmeno scalfita da questa ennesima manovra). Ma dimostra ancora una volta come il fattore umano sia relegato a scomoda cornice. Anzi, venga insultato da politiche miopi che non sanano un malato grave, gravissimo, praticamente in coma; bensì ne stanno aggravando un’alimentazione forzata che non conduce da nessuna parte. Salvo “ammanettare” i cittadini greci a interessi bancari, prestiti ponte e restrizioni incredibili per i prossimi due decenni. Con sullo sfondo un’emergenza sanitaria senza precedenti nei paesi dell’Europa unita.

Il secondo pacchetto di austerità che gli emissari di Ue, Fmi e Bce chiede ad Atene fa rabbrividire: dodici miliardi da ottenere con tagli a stipendi, indennità, pensioni, sanità, welfare su cui è scontro con il governo ellenico (ma il premier Samaras si accorge solo oggi dell’insostenibilità del memorandum?). Se da un lato è previsto un nuovo regime fiscale per i liberi professionisti con un’aliquota al 35%, dall’altro si mortifica la salute e il lavoro. Già molti nosocomi nazionali versano in condizioni critiche, a causa della mancanza di materiale di quotidiana utilità. A ciò si aggiunga il collasso dell’ente mutuale nazionale Eoppy che fino a ieri “copriva” le spese sanitarie, ma che a causa di conti in rosso sta, suo malgrado, producendo criticità incredibili. Come quelle a cui dalla prossima settimana andranno incontro i dializzati, che saranno costretti ad attingere alle proprie tasche per le delicate prestazioni che necessitano. Tutto ciò mentre la politica ellenica offre il peggior spettacolo degli ultimi lustri. Da un lato sblocca ben 29 milioni di euro per costruire un circuito di Formula 1 nei pressi di Patrasso (costo totale 60 milioni) e dall’altro erige un muro contro uno scandalo di elevate proporzioni, con una lista di 1991 politici e miliardari ellenici con liquidi custoditi in Svizzera e accusati in parte, come riferiscono i quotidiani locali, di fondi neri e appropriazioni indebite.

Inoltre l’impasse fra i rappresentanti della troika e il ministro delle Finanze Stournaras non fa altro che aggravare una situazione ormai giunta al collasso. Qualche commentatore sostiene che il tutto non verrà risolto prima delle elezioni americane, con la “patata bollente” greca, ma a questo punto europea, che sarà in cima all’agenda del nuovo inquilino della Casa Bianca. E a spaventare è l’effetto contagio, con altri malati gravi in direzione Madrid, Lisbona e Roma. Senza che però nessuno si desti dal torpore di spread e mercati per ragionare invece sul fattore umano, su quale cittadino europeo venga fuori da questo biennio terribile. In cui le istituzioni hanno rattoppato un buco che andava chiuso, per poi rifondare l’infrastruttura comune. Per ridare fiato alla concezione spinelliana del continente che in molti hanno tradito.

I quotidiani stranieri, in verità, stanno lanciando l’allarme da settimane ormai. Secondo il Wall Street Journal senza ristrutturazione del debito greco non si uscirà dalla crisi. Mentre la Reuters scrive che, anche se la troika redigerà il report entro un mese (quindi dopo elezioni usa) l’uscita del circolo vizioso del debito diventerà difficile, se non impossibile. Ecco che lo spettro maggiore sarà rappresentato da una soluzione che non risolverà: si procederà non in base ai numeri, ma in base all’assunto “salviamo la Grecia per evitare il contagio di altri Piggs”, ma il conto lo pagheranno (per vent’anni) pensionati e dipendenti pubblici.

Inoltre l’emergenza che sta passando sotto silenzio si chiama lavoro. In Grecia chiudono imprese private, banche di credito cooperativo e agricole, aziende storiche, i consumi sono calati in un anno di sette miliardi. La contrazione occupazionale è costante da sei anni, con il record europeo di disoccupazione (24,5%) e con punte del 50% tra i giovani sotto i trent’anni. Per informazione chiedere ai dipendenti dei cantieri di Scaramanga, uno dei più grandi d’Europa. Fino a ieri. Fino a prima del memorandum. A cui nessuno, né il governo greco né l’Europa, restituirà mai un salario.

Fonte: Gli Altri del 4/10/12
Twitter@FDepalo

La ricetta per il lavoro: ripresa e “coraggio” nell’investire in Italia

Né demagogici, né assistenzialisti. Né aziendalisti, ma neanche in perenne attesa che dall’alto arrivi la manna. Sul lavoro serve uno scatto di reni. Serio ed efficace, che allontani tentazioni populiste ma che rafforzi il tessuto produttivo, in assenza del quale il mercato proseguirà in questo stallo limaccioso. Ma a patto che gli interpreti in campo si sforzino di cambiare registro. La querelle andata in scena tra il numero uno di viale dell’Astronomia Giorgio Squinzi e Susanna Camusso è in questo senso indicativa. Il primo invoca più ore di lavoro per aumentare la produttività e lancia una proposta in verità ancora tutta da definire. A stretto giro la replica del leader sindacale: «Basta ricette facili», dice. La sensazione è, con tutto il rispetto, che entrambi manchino il bersaglio. Squinzi perché di lavoro nuovo non ce n'è all’orizzonte, quindi inutile guardare a soluzioni “tampone”; Camusso perché testarda conservatrice in anni di cambiamenti assoluti. Pur partendo da due posizioni iniziali condivisibili (la spinta a provare un’alternativa all’attuale palude occupazionale, e la convinzione che il lavoro sia un diritto) non pronunciano mai la parolina magica che invece è oggi l’unico faro: la ripresa. E su cui l’attuale governo nell’ultima “curva” della legislatura e il prossimo (di qualunque estrazione esso sia) dovranno investire massicciamente se vorranno offrire un contributo valido e non a parole.
Nella consapevolezza che all’imprescindibile rigore della pubblica amministrazione, non può non affiancarsi una manovra che stimoli lo sviluppo, che non lasci le Pmi sole nell’affrontare questo tsunami finanziario, che attiri investimenti stranieri con sgravi fiscali e con politiche di collaborazione, che non poggi tutto il peso sul cosiddetto popolo delle partite iva, che allacci rapporti solidi e a trecentosessanta gradi con le nuove economie orientali che bussano alle porte dell’Europa, India e Cina su tutte. E che inquadri “culturalmente” occasioni come l’Expo 2015, fino ad oggi gestita in modo dilettantistico, per tentare una ripresa che o la si programma e la si immagina oggi, oppure non arriverà per grazia ricevuta o per concessione di qualche alto burocrate europeo. Senza dimenticare che, anche all’interno del tessuto produttivo del paese, qualche sforzo in più andrà certamente fatto. Per dirne una, se Ansando Energia restasse italiana non sarebbe proprio una cattiva notizia.
Fonte: Italiani Quotidiano del 4/10/12
Twitter@FDepalo