giovedì 4 ottobre 2012

La ricetta per il lavoro: ripresa e “coraggio” nell’investire in Italia

Né demagogici, né assistenzialisti. Né aziendalisti, ma neanche in perenne attesa che dall’alto arrivi la manna. Sul lavoro serve uno scatto di reni. Serio ed efficace, che allontani tentazioni populiste ma che rafforzi il tessuto produttivo, in assenza del quale il mercato proseguirà in questo stallo limaccioso. Ma a patto che gli interpreti in campo si sforzino di cambiare registro. La querelle andata in scena tra il numero uno di viale dell’Astronomia Giorgio Squinzi e Susanna Camusso è in questo senso indicativa. Il primo invoca più ore di lavoro per aumentare la produttività e lancia una proposta in verità ancora tutta da definire. A stretto giro la replica del leader sindacale: «Basta ricette facili», dice. La sensazione è, con tutto il rispetto, che entrambi manchino il bersaglio. Squinzi perché di lavoro nuovo non ce n'è all’orizzonte, quindi inutile guardare a soluzioni “tampone”; Camusso perché testarda conservatrice in anni di cambiamenti assoluti. Pur partendo da due posizioni iniziali condivisibili (la spinta a provare un’alternativa all’attuale palude occupazionale, e la convinzione che il lavoro sia un diritto) non pronunciano mai la parolina magica che invece è oggi l’unico faro: la ripresa. E su cui l’attuale governo nell’ultima “curva” della legislatura e il prossimo (di qualunque estrazione esso sia) dovranno investire massicciamente se vorranno offrire un contributo valido e non a parole.
Nella consapevolezza che all’imprescindibile rigore della pubblica amministrazione, non può non affiancarsi una manovra che stimoli lo sviluppo, che non lasci le Pmi sole nell’affrontare questo tsunami finanziario, che attiri investimenti stranieri con sgravi fiscali e con politiche di collaborazione, che non poggi tutto il peso sul cosiddetto popolo delle partite iva, che allacci rapporti solidi e a trecentosessanta gradi con le nuove economie orientali che bussano alle porte dell’Europa, India e Cina su tutte. E che inquadri “culturalmente” occasioni come l’Expo 2015, fino ad oggi gestita in modo dilettantistico, per tentare una ripresa che o la si programma e la si immagina oggi, oppure non arriverà per grazia ricevuta o per concessione di qualche alto burocrate europeo. Senza dimenticare che, anche all’interno del tessuto produttivo del paese, qualche sforzo in più andrà certamente fatto. Per dirne una, se Ansando Energia restasse italiana non sarebbe proprio una cattiva notizia.
Fonte: Italiani Quotidiano del 4/10/12
Twitter@FDepalo

Nessun commento: