venerdì 5 ottobre 2012

Mediterraneo, la chiave è la concorrenza "energetica"

Una sorta di cuscinetto programmatico, all’interno del quale si rischia di smarrire la strada maestra e “mediterranea” da seguire per rafforzare gli argini di quel meraviglioso lago salato che è il mare nostrum. Quando spread e mercati non saranno più in grado di mordere, così come stanno purtroppo facendo da un biennio, alle caviglie della zona euro mediterranea, sarà forse troppo tardi per ricominciare a tessere la tela dello sviluppo. In quanto ci si dovrà scontrare con la mancanza di risorse che in futuro difficilmente potrà migliorare in breve tempo. E con una serie di criticità che, se non affrontate per tempo, diventeranno ancora più complesse. Ecco perché una politica lungimirante e ad ampio respiro, altro non deve fare che prevedere scenari e immaginare prospettive utili al benessere collettivo, non solo di un singolo stato, ma di un’intera zona. E concentrarsi sul Mediterraneo, inteso non solo come macro area per scambi e reciproci rapporti commerciali, ma come possibile nuovo fulcro mondiale, che superi in qualche modo il gap che accusa nei confronti delle nuove economie “orientali”, come India e Cina.

L’area euro mediterranea è attraversata dalle note crisi economiche di Spagna e Grecia, ma ciò non deve far venire meno la consapevolezza di quanto utile possa essere quell’intero “fuso orario”. Da implementare, da ricostruire e per certi versi anche da reinterpretare per non perdere la partita che si gioca su scala continentale. Una delle opportunità di sviluppo prende il nome di energie alternative, come il gas. Innovativo, ricercato, multifunzionale. Che non solo dal Mediterraneo transita, proveniente dall’area dell’ex Unione Sovietica, ma che potrebbe essere di lì estratto. Come testimonia il recente accordo stretto tra Cipro e Israele per la comune collaborazione nelle acque antistanti i due paesi. Quanto sarebbe utile una cooperazione energetica da parte dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Con una doppia valenza: ottenere una sorta di produzione propria di nuove energie (al pari dei parchi solari ed eolici) e stringere sinergie comuni. È di pochi giorni fa la notizia che la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) ha destinato più di cinque milioni di euro in Albania per investimenti nel settore privato delle energie rinnovabili, per costruire due impianti idroelettrici nella parte orientale del Paese. Al pari degli esiti della conferenza ministeriale dell'Iniziativa Centro Europea (Ince) sui biocarburanti di futura generazione svoltasi a Trieste, i cui partecipanti hanno espresso il proprio sostegno alla proposta di creare un fondo fiduciario: anticamera a nuovi e futuri sviluppi proprio nel settore delle nuove energie.

Certo, vi è da registrare ancora un certo conservatorismo energetico che, non troppo velatamente, si scorge. Come la risposta indiretta di Vladimir Putin all’Ue che aveva chiesto solo pochi giorni fa una divisione di competenze tra le attività di produzione e trasporto e per favorire una maggiore concorrenza. E il presidente russo ha subito precisato che la struttura di Gazprom non è intoccabile, anzi, “è necessario cambiare l'economia di una società di tale tipo”, ma non come chiede l'Ue, ovvero non separando il sistema di trasporto dalle attività del gruppo. Ha aggiunto che tagliare le attività di trasporto, ovvero separare il sistema di gasdotti che porta il metano di Gazprom ai Paesi che lo acquistano, sarebbe deleterio in quanto “la componente del trasporto morirebbe”. Ma intanto si apprende che la Commissione europea ha avviato un'inchiesta proprio sulle attività di Gazprom in Paesi dell'Europa centrale e orientale, dove di fatto l’azienda si trova nella privilegiata posizione di essere monopolista, e per questo sospettata di abuso di posizione dominante.

E allora la prospettiva da corroborare con politiche mirate e analisi lungimiranti non può che essere nelle nuove opportunità energetiche presenti nel Mediterraneo. Ma incapsulando questa attività di potenziale sviluppo economico all’interno di un’attenta salvaguardia dell’ambiente. Secondo il recente rapporto del WWF “Andamento dell’Impronta Ecologica nel Mediterraneo”, presentato in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Habitat, il mare nostrum sarebbe a grave rischio ecologico. E a causa del cosiddetto eco-debito contratto proprio da quei Paesi che vi si affacciano. Come ha evidenziato il direttore scientifico di WWF Italia Gianfranco Bologna, «la domanda dell’area mediterranea per le risorse ed i servizi ecologici è incrementata del 197% nei 47 anni presi in considerazione, dal 1961 al 2008, aumentando il deficit ecologico del 230%, e del 150% negli ultimi 4 anni, a partire dal 2008, e che nel solo 2008 tre paesi da soli hanno inciso per più del 50% sull’impronta totale della regione mediterranea, ovvero Francia (21%), Italia (18%) e Spagna (14%)». Sono numeri che non devono far abbassare la soglia di attenzione degli amministratori, ma dall’altro non devono spaventare un progresso che, proprio lì, al centro esatto di quella massa liquida dove la civiltà è nata, potrebbe riscontrare un inatteso e risolutivo nuovo trend.

Il tutto mentre il Marocco annuncia la prima centrale elettrica termico-solare, costruita in pieno deserto per un costo di mezzo miliardo di euro. Che produrrà, a partire dal 2015, 500 megawatt in virtù di un accordo figlio della cooperazione francese, della Commissione europea, della Banca mondiale e da fondi per lo sviluppo in Africa. Un esempio di come si fa a fare squadra.

Fonte: Agenda del 5/10/12
Twitter@FDepalo

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