venerdì 12 ottobre 2012

Perché siamo alla vigilia di una fase “rivoluzionaria”

Nella risposta del sottosegretario all'Istruzione Marco Rossi Doria ai ragazzi che scenderanno in piazza (per protestare contro il caro tasse a scuola) c’è una possibile chiave di lettura dello sbalzo generazionale e sociale a cui si assiste in questo decennio, non solo in Italia:  «Alla loro età - scrive - chiedevo risposte a mio padre, mettendolo a nome della sua generazione di fronte alle mancanze della società in cui stavo crescendo. Mio padre poteva rispondermi che comunque io avevo ereditato un Paese migliore di quello in cui lui stesso era cresciuto». Ma adesso? «Noi - certifica - non sempre possiamo fare altrettanto con i nostri figli. Ed è per questo che alle loro sollecitazioni siamo chiamati a rispondere sempre, anche quando manca la possibilità di offrire facili promesse e comode rassicurazioni. Con onestà e responsabilità». Quindi la stoccata: «La nostra generazione - risponde agli studenti dell'Unione degli universitari e della Rete degli studenti medi - non è stata all'altezza delle grandi questioni che avevamo davanti e i risultati sono adesso sotto gli occhi preoccupati dei più giovani. Il Paese ha estremamente bisogno del loro contributo ideale e fattivo per cambiare ciò che non funziona più, per trovare le risposte che noi non abbiamo saputo dare». Un’ammissione, candida e onesta, del passaggio non sufficiente curato, di una criticità che oggi sta esplodendo in tutte le sue irradiazioni morali e sociali. Ma che, proprio per l’assoluta gravità oggettiva, può e deve trovare nuova linfa non solo nei giovani a cui oggi nessuno può garantire un futuro, ma in una visione innovativa dello stato e del concetto stesso di cittadino, partecipe e attivo.

Lo ha osservato, ad esempio, l’autore e attore teatrale Alessandro Bergonzoni che non è più sufficiente demandare alla politica, «il voto deve prima avvenire dentro di noi, poi c'è la piazza». Intendendo una nuova forma mentale di partecipazione attiva. Quando ragiona sul fatto che l’artista deve «cominciare a fare qualcosa di più del proprio mestiere specifico, deve andare oltre il proprio spettacolo, mostra, libro, opera» intende proprio quella nuova consapevolezza che tutti i cittadini devono possedere, ma non per custodirla gelosamente all’interno del proprio ego, bensì da manifestare ed esternare completamente. Per condividerla.  «L'artista – dice Bergonzoni – deve essere il malato, il detenuto, il morto, la donna, il bambino. Insomma un ponte verso ogni “altrove” perché l'arte è la strada che può congiungere ogni essere alla propria anima e quindi alla propria sovrumanità». E questo filo, dall’arte, deve transitare in tutti gli interstizi del tessuto sociale del paese. Il concetto di homo italicus novus nasce proprio da quel seme che va, ora o mai più, fatto crescere. Semplicemente perché la tragedia europea e mondiale va sanata con più Europa e più mondo, a patto che ciò si esplichi in una nuova forma di cittadinanza, responsabile e comune. Lo ha egregiamente spiegato William Beveridge ne La libertà solidale che «un periodo rivoluzionario nella storia del mondo è il momento più opportuno per fare cambiamenti radicali, invece di semplici rattoppi». Non una transizione, ma una trasformazione. Non una riedizione, ma una novità assoluta: ecco il parametro con cui raffrontarsi.

Dove quell’innovazione risiede in una nuova riscrittura di regole infrastrutturali, che coinvolgano politica e società. Una stagione costituente che sia tale veramente per l’insieme dei pezzi che, a fatica, stanno ancora tenendo in piedi un’Italia che barcolla, che è in bilico, in perenne incertezza, che guarda al domani con timore anziché con ardore e voglia di rischiare in prima persona. Ecco il nodo. E quindi in questo senso una nuova consapevolezza, anche della formazione, sarà imprescindibile. Scriveva Pasquale Villari in uno dei suoi saggi che «una nazione civile è quella che ha scuole le quali, mentre istruiscono, fortificano l’intelligenza nazionale, formano il carattere, danno la disciplina morale e civile, migliorano tutto l’uomo».
Per queste ragioni, dunque, si abbandonino perplessità e remore e si affronti, a viso aperto, la sfida che è alle porte. Ovvero l’insieme delle componenti del Paese compiano, contemporaneamente, un passo in avanti. Uniti, incapsulati in quel bene comune di cui si fa ampio cenno ma che un attimo dopo è necessario trasformare in azione concreta. Società civile, imprese, lavoratori, studenti, politica, semplici cittadini che sentono nella propria psichì il desiderio di rimodulare se stessi. Per comporre un nuovo e duraturo puzzle sociale.
Fonte: Italiani quotidiano del 12/10/12
Twitter@FDepalo

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