giovedì 30 aprile 2009

IL SULTANATO D'ITALIA?

da FFwebmagazine del 24/04/09

I dittatori di ieri abrogavano la Costituzione, «oggi si infiltrano gradualmente e senza troppo parere nelle istituzioni democratiche preesistenti e le svuotano dall’interno»: la diagnosi è del politologo Giovanni Sartori, editorialista del Corriere della Sera, professore alla Columbia University, e costituisce la prefazione al volume Il Sultanato, che ripercorre gli ultimi tre anni della vita politica italiana con una penna schietta e puntuale, senza scadere né in demagogia né in facili moralismi risolutori.

Dal Governo Prodi, tenuto in vita artificialmente dai voti dei senatori a vita, alla gestazione del Partito democratico, sino all’avvento di Veltroni e alla sua sconfitta elettorale dello scorso anno, passando dai grandi temi di interesse collettivo: riforma costituzionale, conflitto di interessi, crisi economica.
Come cambiano i sistemi politici di inizio millennio? Come mai l’Italia, nonostante la Prima e la Seconda Repubblica fatica e staccarsi dall’immagine pachidermia di uno stato che non risolve i propri problemi? Il libro, e soprattutto la prefazione, parte dalla definizione di dittatura: «regime di potere assoluto e concentrato in una sola persona nel quale il diritto è sottomesso alla forza. L’esatto contrario dei sistemi democratico-costituzionali, nei quali è la forza che è sottomessa al diritto». Il punto dal quale iniziare a ragionare è il concetto di garanzia e di buonsenso. Un sistema amministrativo e politico che mortifica le istituzioni, secondo Sartori, entra in una strategia che cassa irrimediabilmente le strutture garantistiche. Di pari passo medita sul fatto che la scomparsa del buonsenso prefigura un mondo sempre più popolato da stupidi: «Il buonsenso è tale perché incorpora saggezza». Due concetti che si ergono ad assolute colonne portanti di una società moderna e funzionale, ma che sovente in Italia vengono in quale misura delegittimate.

La rivisitazione degli ultimi trentasei mesi della politica di casa nostra porta l’autore ad individuare due scure sotto le quali il paese affonda: gli imbroglioni di turno che ispirano fiducia, e la sottomissione cronica nei confronti di tre «palle al piede per l’Italia», ovvero la mafia («il Governo non ne parla affatto»), il lassismo amministrativo («nei ministeri si lavora poco») e il diritto disatteso («sciopero endemico nei servizi pubblici»).

Molteplici gli esempi che Sartori evidenzia nelle centosettanta pagine del libro, accomunate da una maggiore esigenza di puro rispetto per le istituzioni e per le regole, ovvero per la Costituzione. Proprio sulle regole sottolinea che se esse sono malfatte non funzionano e creano un paese che non funziona. Se limitano poco e male il potere sono regole che portano all’abuso di potere. Chiaro il riferimento al bilanciamento dei poteri, in ottica di una riforma costituzionale, sulla quale l’autore nonostante abbia una posizione precisa di conservatorismo della Carta, si mostra disponibile al superamento del bicameralismo perfetto garantendo pesi e contrappesi. Ma è su chi deve lavorare per la modifica che si concentra la sua azione di rottura: nel modificare la Costituzione i parlamentari secondo Sartori sono parte in causa e quindi in conflitto di interessi, «perché difendono strenuamente il sistema elettorale che favorisce la loro parte e le strutture di potere che danno loro potere». Quindi propone che la Carta venga riformata da costituzionalisti, così come il codice penale è riformato da penalisti e quello civile da privatisti.

Punto fermo è il non-colore delle costituzioni, dal momento che esse non sono né di destra né di sinistra, «o sono ben fatte o sono malfatte», sottintendendo che verranno giudicate sulla base di criteri di funzionalità. Spazio anche ai timori che nutre, soprattutto riferiti a una «democrazia che uccide la democrazia, la democrazia che si suicida», e ai risvolti economici, «siamo una democrazia in decrescita, caduta nel vortice di uno sviluppo non sostenibile, che distribuisce più di quel che produce». Ce n’è anche per l’attuale legge elettorale, con precise stilettate al suo estensore, «Calderoli ha ragione- dice Sartori- quando definisce la sua legge una porcata, una legge che fa male al paese solo per far male a un concorrente elettorale», e per le mille peripezie del Partito democratico, con il passaggio di consegne Prodi-Veltroni.

Ma è all’interno delle valutazioni sulla tipologia delle dittature moderne che Sartori punzecchia il Governo quando afferma che Berlusconi non è ovviamente un dittatore perché non viola la Costituzione, per poi immediatamente dopo chiedersi: potrebbe diventarlo? «Sì - afferma il politologo insignito tra l’altro del Premio Principe de Asturias, il Nobel delle scienze sociali - le riforme che caldeggia mirano a depotenziare e fagocitare i contropoteri che lo incalzano». Da qui il titolo Il sultanato, riferito a un grande harem, estensore di un potere dispotico, nel quale ovviamente non mancano belle fanciulle, del quale Sartori ha paura al pari del livello di soggezione e di degrado intellettuale manifestato da una maggioranza dei nostri onorevoli: «Altro che bipartitismo compiuto, qui siamo al sultanato, alla peggiore delle corti».

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