martedì 7 aprile 2009

Nitti e De Gasperi: quando si pensava al bene comune

Da FFwebmagazine del 07/04/2009

«La competenza vale più della tessera di un partito». Sta in questa massima di Alcide De Gasperi il senso dell’interpretazione sui mali della politica di oggi, secondo Sergio Zoppi che, presentando all’istituto Sturzo il suo ultimo volume Una nuova classe dirigente, non manca di attualizzare la questione in chiave meritocratica.

Punto di partenza è quella spinta propulsiva meridionalista di due pensatori del Novecento, appunto De Gasperi e Francesco Saverio Nitti, autori di una serie di valutazioni sulle difficoltà del Meridione di affrontare evoluzioni e prospettive. Come quando Nitti evidenzia che «la questione meridionale è una questione economica, ma è anche una questione di educazione e di morale», dove per morale si intende una profonda coscienza. Ecco il primo spunto: una coscienza che sia critica propositiva ma soprattutto onesta e non preda di interessi particolari.

Ancora Nitti, in uno dei numerosi passaggi custoditi nel volume, sostiene che «una nazione civile è quella che ha scuole le quali mentre istruiscono, fortificano la intelligenza individuale, moltiplicano l’intelligenza nazionale, formano il carattere, danno la disciplina morale e civile, migliorano tutto l’uomo». Quindi un’istruzione oggettiva che si fonde intimamente con la strutturazione dell’uomo oltre che del professionista, concedendo spazi alla componente caratteriale, imprescindibile per coniugare due elementi.

Il volume comprende anche commenti e proposte di Giuseppe De Rita, Gianfranco Dioguardi, monsignor Domenico Graziani e Giulio Sapelli. Il professor Dioguardi fa risalire le sventure del meridione a una sostanziale carenza nei processi educativi, che avrebbero invece l’obiettivo di allontanarli «dall’anarchia più degradante, dai comportamenti illeciti, dalla più malintesa furbizia». Maggiormente critica la posizione di De Rita: sostiene che l’opera di Nitti dimostra che una volta chi faceva il meridionalista sapeva guardarsi intorno a 180 gradi, «cosa che non siamo riusciti a fare noi continuatori». Una tacita ammissione di responsabilità?Quale soluzione allora prendere in considerazione? Il professor Dioguardi punta sulla formazione, «riconducendo all’umiltà dell’organizzazione pratica le persone illuminate, le iniziative culturali, in modo da coinvolgerle più che mai in una rete virtuosa che sappia suscitare sinergie sufficienti a provocare un’inversione di tendenza», partendo da una riforma della scuola inferiore parallelamente al sistema delle imprese e della pubblica amministrazione.

L’analisi di due personalità eccezionali come De Gasperi e Nitti, che occupano gran parte del libro, sono utili per tratteggiare un quadro storico del nostro paese, al fine di misurare le vicende attuali, calibrando le scelte che si dovranno affrontare oggi. Un libro che parla del passato pensando al presente, nella consapevolezza che la capacità di creare usando la ricerca applicata rappresenta una chiara visione della competenza tecnica più pura. Merito, competenza e professionalità sono- secondo l’editorialista del Sole 24 Ore Stefano Folli, intervenuto assieme al senatore Rutelli, al professor Tullio Gregory e a Gianfranco Dioguardi - termini che appaiono purtroppo sempre di meno nella società di oggi.

Ma è dal rapporto degli amministratori di un secolo fa con lo Stato che si desume l’essenza di queste pagine: un rapporto quasi materno, dove il politico di turno nutriva rispetto e dedizione nei confronti di un altro concetto, il bene comune, che più volte è stato proprio negli ultimi giorni ripreso come punto di riferimento assoluto. Il fatto che Nitti abbia stimolato una generazione di cervelli – definizione di Folli- è ancor più determinante perché impreziosito da una visione osmotica di virtù civiche da un lato, e classe dirigente dall’altro.

Non è sconveniente riflettere sul fatto che all’inizio del Novecento, complici le scommesse industriali di inizio secolo ed una concezione più umana della res publica, la condotta pubblica viaggiava su binari diversi. Lecito chiedersi: perché l’eredità meridionalista di Nitti e De Gasperi si è smarrita? Perché in questo secolo più volte il senso dello Stato è stato calpestato? Perché l’integrità morale stenta a rientrare nella questione meridionale?

Forse l’ottimismo del professor Dioguardi può rappresentare un elemento di incoraggiamento, quando sostiene che la strada che ha portato il Sud ad essere oggi una presenza concreta nell’area mediterranea e balcanica è da leggere come un fattore positivo: «è stata lunga, ma la meta, la nostra Itaca, sembra vicina».

Franceso De Palo

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