martedì 22 settembre 2009

CITTADINANZA E VOTO, IL FUTURO DELL'INTEGRAZIONE


Da Ffwebmagazine del 22/09/09


«La presenza degli immigrati sul territorio italiano rappresenta una straordinaria opportunità per ridare contenuti multiculturali a tutti i livelli, dalla scuola alla società». È l’analisi di Giorgio Alessandrini, presidente dell’organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione sociale del Cnel, commentando il Rapporto Ocse-Sopemi sulle prospettive delle migrazioni internazionali. Si calcola che entro il 2015 i lavoratori che andranno in pensione nei paesi Ocse saranno maggiori di quelli che entreranno nel mondo del lavoro. Il dato esige una presa di coscienza precisa e puntuale, a seguito della quale si renderà indispensabile una politica che, per dirla con le parole del presidente del Cnel, Antonio Marzano, «dovrà aprire i propri orizzonti con una prospettiva lungimirante, senza perdersi di vista su quello che accade sotto gli occhi dell’immediatezza, ma leggendo tali dati con le lenti del lungo periodo». Il rapporto affronta la crisi economica multilivello e le ripercussioni dirette sui ceti produttivi, evidenziando come gli immigrati risultino i più colpiti a causa di tre fattori: un’inferiore tutela contrattuale, una forte presenza in settori sensibili, licenziamenti sovente selettivi. Il messaggio, chiaro e forte che viene fuori da tali analisi, è che i governi non devono in questa fase retrocedere nelle politiche di integrazione, in quanto se lo facessero non ne godrebbero di benefici allorquando, si spera al più presto, la crisi cesserà di opprimere l’economia e ci saranno cenni oggettivi di ripresa.

Sarà proprio quello il frangente nel quale, secondo la valutazione di Alessandrini, solo in Italia si renderanno necessari 400mila lavoratori per farci trovare pronti quando la ripresa si manifesterà. «Cogliamo l’occasione oggi per sistemare le provvisorietà - ha aggiunto - così da investire con lungimiranza sul domani di tutti, non solo egli immigrati o delle aziende». E sì, perché la questione abbraccia l’intero comparto produttivo, che va dalla formazione alla commercializzazione del prodotto. Gli ammortizzatori possono rappresentare un veicolo di formazione anche per gli immigrati, che sino a oggi vi hanno provveduto autonomamente e che, si stima, hanno comunque una media di competenze che non è a priori concentrata verso bassi livelli, anzi. Non pochi sono i casi di lavoratori che già dispongono di una qualche infarinatura, ma che necessitano per questo di piccoli interventi mirati. Inoltre si rende imprescindibile ragionare su politiche di immigrazione che tengano conto delle reali esigenze di manodopera.

In questo modo si otterrebbe un duplice vantaggio, riducendo gli spostamenti irregolari e incentivando un’ integrazione più veritiera perché mirata. Il rapporto Ocse utilizza il termine di «sistemi di immigrazione pilotati dalla domanda». E non a caso, perché attuando specifici provvedimenti si potrebbe innescare un circolo virtuoso, a causa del quale a trarre vantaggio sarebbero tutti. Il riferimento è a tre principali direttrici: selezionare le esigenze del mercato del lavoro; programmare canali basilari di reclutamento per immigrati a bassa specializzazione; strutturare un doppio modello amministrativo, che provveda alla successiva formazione professionale e che in questo modo consenta loro una corretta integrazione.

Un altro aspetto determinante è quello relativo alle attitudini dei singoli, analizzando le competenze di base evitando che, per esempio, un idraulico o un operaio specializzato, possa vedere vanificato il proprio bagaglio. Quindi creare una corsia preferenziale verso coloro che abbiano già offerte di lavoro; recepire, prima dell’ammissione, la conoscenza linguistica; in casi specifici operare un vero e proprio giudizio di valutazione circa qualifiche e precedenti esperienze. «Stiamo ragionando senza interferenze ideologiche e partitiche, al solo scopo di capire cosa sarà dell’immigrazione domani. Viene in mente la questione scuola, dove non sarà sufficiente proporre il tetto del 30% avanzato dal ministro dell’istruzione, ma sarà bene discutere del ruolo formativo. Ovvero come restituire vitalità al rapporto istituti-famiglie - ha aggiunto Alessandrini -, o come integrare scuola e territorio, o come favorire l’apprendimento della lingua italiana». Si tratta di un fenomeno vasto, che abbraccia politiche di nuovo respiro, per questo «non dobbiamo illudere i cittadini che si risolva tutto con le motovedette e con i respingimenti: sarebbe un grave errore, fuorviante e pericoloso per le future evoluzioni della questione».

Costruire prospettive di integrazione con i quattro milioni di immigrati presenti oggi in Italia, dunque, non è un capriccio del momento o una valutazione buonista del problema, bensì il frutto di analisi approfondite. E perché le soluzioni siano quanto più possibile sagge e ponderate, occorre che un segnale forte venga dal Parlamento. La cittadinanza a chi vive sul territorio italiano, o il voto agli immigrati in occasione delle elezioni amministrative potrebbero rappresentare due decisi passi avanti verso la creazione di una rete di integrazione che, nel rispetto dei doveri di ciascuno ma anche dei diritti, favorisca la convivenza e sia di sostegno alla strutturazione sociale del prossimo decennio. Perché è lì che dobbiamo puntare il nostro sguardo

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