lunedì 21 settembre 2009

QUELLA SENSAZIONE DI ESSERE DI TROPPO

da Ffwegmagazine dell'11/09/09

A quasi sessant’anni il sogno di Michael si era avverato. Tornare nel paese di origine di suo padre per rivedere quei luoghi e quelle facce. Dalla sua Australia, dove si era guadagnato con studi e sacrifici la poltrona di un prestigioso ufficio pubblico, il figlio di un italiano e di una donna americana nera prese un volo per l’Italia carico di aspettative e di emozioni. Ma dopo un giro per monumenti e per favolosi scorci paesaggistici, cercò di comprendere meglio in quale posto fosse nato papà Mauro, prima di emigrare a Sidney in cerca di fortuna. Grazie alla scuola di italiano che aveva frequentato all’ambasciata italiana in Australia, masticava la lingua meglio di tanti altri residenti nel belpaese, e si diresse a un’edicola. Acquistò alcuni quotidiani e periodici e si immerse nella lettura.

Trovò subito buffo che ci si occupasse di vicende tanto intime e della sfera individuale delle persone, come altrettanto buffo trovò che le stesse persone parlassero a ruota libera delle proprie abitudini. Nella sua Australia i problemi, come nel resto del mondo, erano bel altri. Notò che era dato ampio risalto al fatto che a una donna era stato impedito di allattare il proprio neonato in un caffè del centro, al pari del fatto che un direttore di orchestra era stato licenziato solo perché nel frattempo aveva cambiato sesso. Si fermò per la pausa pranzo, acquistando un kebab, ma quando si diresse in strada per addentarlo fu guardato con circospezione dai passanti. All’ingresso del locale era appeso un cartello che indicava l’orario in cui era possibile consumare il cibo, oltre il quale non era ammesso avere fame. Proseguì nella lettura e si soffermò sulla notizia che a un bimbo di tre anni era stato impedito di iscriversi alla scuola dell’infanzia, perché figlio di genitori immigrati senza permesso di soggiorno. “Le leggi dure servono”, pensò tra sé, “ma se fosse capitato a me?”.

Sfogliò un altro quotidiano, tanto per assicurarsi una panoramica maggiormente completa e oggettiva dei fatti. Una coppia di omosessuali era stata picchiata in una grande città. La colpa di cui si era macchiata, era di camminare mano nella mano. Il kebab gli cadde dalle mani. La fame gli era passata. Una triste pioggerellina settembrina fece capolino tra Michael e il malloppo di giornali che stringeva sotto il braccio. Si sedette a un bar, ordinando un caffè. Il cameriere, notando con un certo fastidio la pelle nera e la mazzetta di quotidiani, attese qualche secondo prima di prendere l’ordinazione. L’uomo pareva addormentato, con gli occhi un tantino socchiusi. Michael non faceva uso di droghe, si sentiva affaticato a causa del jet lag e della differenza del fuso orario con l’Australia. Ma il cameriere non lo sapeva ed aveva fatto altri ragionamenti.

Dopo venti minuti abbondanti arrivò il caffè, e il conto di sette euro. Michael avanzò una timida protesta, sostenendo che in un altro qualsiasi bar, non si arrivava a spendere più di un euro. Ma il titolare gli disse di pagare e di andarsene in fretta, altrimenti avrebbe avvertito le ronde. Non sapeva cosa fossero queste ronde, lui conosceva solo le rondini, quei graziosi uccelletti che annunciano l’arrivo della primavera. Michael era deluso, si aspettava di trovare un paese sorridente, con gente gioviale, briosa, come i film della dolce vita romana raccontavano, con belle donne, libertà e soprattutto con più amore.
L’Italia, la sua Italia, l’Italia di suo padre era questa? Un luogo triste, con gente diffidente, con leggi severe ma non verso problemi reali, bensì verso questioni inutili, o stupid come le definiva. Ma a chi importa veramente a che ora uno può avere fame di kebab o di pizza? La famosa pizza italiana…Beh, non tutti siamo perfetti e tutte le democrazie sono migliorabili, si disse tra sé. Ma sobbalzò quando lesse di un sindaco leghista della provincia di Bergamo, che aveva fatto togliere dall’ingresso della biblioteca comunale, una targa in memoria di Peppino Impastato, il giovane siciliano ucciso dalla mafia per via delle sue inchieste radiofoniche. Il sindaco difendeva arduamente la sua scelta, a testa alta e per nulla intimorito dalle parole che dettava al cronista. Il gesto, spiegava, era figlio non di motivazioni legate a eventi di rilevanza storica o istituzionale, ma solo per far posto a un simbolo in ricordo di un prete locale. Fu in quel preciso istante che a Michael crollò il mondo addosso, e non perché invaso da moti di retorica o di morale forzata, ma per via di un nodo in gola che gli si era formato. Gli vennero in mente le parole dell’Abbè Pierre, «cosa umilia di più un uomo? La sensazione di essere di troppo». E si disse solidale con tutti quegli italiani che, in preda alla vergogna, leggendo quell’articolo in quel momento si sentivano di troppo.

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