mercoledì 25 luglio 2012

Se tutto intorno crolla e i cento campanili italiani si dannano per i tagli...

Quando il ministro della funzione pubblica Patroni Griffi dice di non aver deciso in base ad esigenze elettorali, ma perché «dovevamo individuare dei criteri ragionevoli e lo abbiano fatto», richiama all’ordine un paese che non ha ancora compreso il reale stato delle cose, dei suoi conti e dello tsunami finanziario globale che al centro del Mediterraneo si è abbattuto da un biennio. Sulla scuola scatta l’allarme delle province, secondo cui con i tagli potrebbero saltare le riaperture. Ma se da un lato l’Upi lamenta oltre trecento milioni di euro di finanziamenti spariti in un batter di ciglia, dall’altro dovrebbe interrogarsi su quanti di quei denari sono invece stati fagocitati in anni di “vacche grasse” proprio dagli enti provinciali.

Con consiglieri, assessori, commissioni, presidenti e vicepresidenti, consulenti semplici e super consulenti esterni (tanto per non deludere il bacino elettorale di riferimento) perfettamente inutili, e anzi deleteri per i conti pubblici a maggior ragione da quando il legislatore italiano ha sancito la nascita delle regioni. Non comprenderlo oggi significa peccare di ingenuità o di malafede. Il debito pubblico italiano è alle stelle: nei primi tre mesi dell’anno è al 123% del pil, siamo secondi in questa degradante classifica europea solo alla Grecia tecnicamente già fallita. Inoltre la Banca d’Italia, nel report contenuto all’interno dell’ultimo Bollettino, ha individuato in circa un punto la minor crescita causata dallo spread. È chiaro che la direttrice rimane, giocoforza, sempre quella tracciata dal “fiscal compact”, che preclude al vero nodo italiano: quel pareggio di bilancio che andrebbe costituzionalizzato per evitare che la cattiva politica possa produrre altri buchi e altre emergenze.

Ciò non significa non rendersi conto delle criticità che si presenteranno nei prossimi mesi, in quei servizi che subiranno un taglio quantitativo e qualitativo. Ma realisticamente comprendere come il paese e il continente intero vivano una vera e propria guerra totale, con attacchi continui da parte dei mercati e degli speculatori. Per cui se c’è da dolersene con qualcuno dello status attuale beh sarebbe il caso di guardare a chi ha governato in maniera scellerata fino a ieri e non con chi, con modalità certamente migliorabili e scelte dialetticamente pur contestabili, sta quantomeno tentando di rinforzare gli argini del paese per evitare che venga inondato definitivamente dalla piena della crisi.
Ragione in più per spingere con convinzione marcata sulla strada della spending review, e non più come misura una tantum da attuare quando il gabinetto di guerra lo consiglia (anzi, lo impone per impedire il crack), quanto come buone prassi da far metabolizzare a cittadini e amministratori. Lo spreco produce un segno meno, sia che lo si effettui quando il grasso cola sia quando di soldi in cassa non ve ne sono. Ma ciò che conta maggiormente è il cambio di mentalità che dovrà per forza di cose essere compreso da tutti, politica in primis: non fosse altro perché di alternative realmente praticabili non ne esistono.

Fonte: il futurista del 25/7/12
Twitter@FDepalo

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