mercoledì 11 luglio 2012

Markaris: «Basta con spread e numeri, si ritorni al contatto con l’uomo»

«Vuol sapere la verità» chiede Petros Markaris, padre del commissario Charitos e in ospite del Festival Caffeina Cultura a Viterbo per promuovere l’ultima sua fatica? «Abbiamo messo da parte l’uomo e la cultura, sostituendolo con cifre e spread, ecco dove è iniziata la fine dell’Europa».
Il commissario Charitos è ormai un cult in mezza Europa, a settembre uscirà anche in Spagna e in Germania:  nell’ultimo romanzo, “L’esattore”, un serial killer uccide gli evasori fiscali. Posiamo quindi dire che la crisi è permeata in tutti gli strati sociali, anche nella letteratura?
Questa crisi è sin dall’inizio permeata nei miei libri.  Quando nel 2012 abbiamo compreso come la Grecia fosse finita ormai nel baratro, e al contrario di quanto ci raccontava il governo di allora, io ho creduto che la crisi fosse arrivata per restare e che non sarebbe passata facilmente.  Ed è in questo momento che ho avuto l’idea di scrivere una trilogia sulla crisi e per mezzo della crisi. Il mio scopo era, da un lato di scrivere tre libri sui temi all’attenzione del popolo greco (banche ed evasione fiscale), ma al tempo stesso in questi romanzi mi sono anche proposto di descrivere le ricadute sociali della crisi. Chi ha letto i primi due episodi del commissario, può rendersi facilmente conto di quanto si siano aggravate le condizioni di vita in Grecia. Quando ho annunciato il progetto editoriale di una trilogia, una giovane giornalista greca mi chiese: “Ma veramente scriverete tre libri sulla crisi?”. Le risposi che comunque una trilogia era ed è composta comunque da tre libri, ma lei spaventata aggiunse: “Quindi pensa che la crisi durerà così tanto da farle scrivere una trilogia?”. Non aveva torto perché a quell’epoca il governo ci diceva che la criticità sarebbe durata lo spazio di sei mesi, o al massimo un anno. A questo punto ho tre opzioni: o scrivere il terzo capitolo più l’epilogo della crisi, o trasformare la trilogia in tetralogia, o peggio di terminare questa trilogia per iniziarne un’altra. 
Finalmente dopo due tornate elettorali la Grecia ha un governo: ma non è singolare che la stessa classe dirigente che ha prodotto il default oggi sia chiamata a scongiurarlo?
Quando andate dal dentista e vi tira il dente sbagliato, generalmente poi vi rivolgere ad un altro dentista, giusto? Ma in politica le cose non sono così semplici. La nostra classe politica non ci ha tolto solo il dente sbagliato, ma ci ha asportato l’intera mascella. E purtroppo non possiamo fare ricorso ad un altro dentista, questo è il problema. Oggi siamo costretti ad andare dallo stesso dentista, trovare il modo per far essere presenti altri due dentisti che lo sorveglino, e in caso di dolore prolungato non ci resta che prenderci a schiaffi per alleviarlo un po’: non abbiamo alternativa. 
Molti analisti concordano sul fatto che al paese serva una rivoluzione: delle abitudini, culturale, politica, insomma totale. La crede possibile?
Entriamo in un campo, quello della cultura, dove le cosa da dire sono molteplici e non solo riguardanti la Grecia attuale. Mi limiterò a parlare della cultura politica.  Ma dovremmo ampliare questo tema, passando a discutere di cultura e di Europa. Ciò che è stato caratterizzante dell’Europa da parte di coloro che l’hanno istituita non è stato solo il fatto di creare un mercato unico, quanto di costruire un continente partendo da culture diverse ma da unire sotto l’egida di valori comuni. Vorrei a questo punto che qualcuno mi dicesse chi in Europa parla di cultura e di valori politici. L’unica cosa che ormai sento quotidianamente sono i numeri. Abbiamo pensato che il modo di unire i popoli fosse il trattato di Schengen, invece non è così. C’è dell’altro, qualcosa che io faccio presente ai tedeschi quando parlo con loro. Chi viene a visitare il Mediterraneo ne resta affascinato, per bellezza e natura, ma per noi la parola Mesogheios significa anche un modo di vivere, una caratterizzazione che va al di là di belle spiagge o mare incantevole: ecco ciò che non comprendono. Mi spiace molti di dover constatare che da circa due anni e mezzo, e non solamente in Grecia, tutto ciò che sento verte su numeri e cifre: ci siamo dimenticati dell’uomo e di ciò che esso significa. Dietro quei numeri ci sono persone in carne e ossa, con vite vere. Che producono culture differenti: ecco ciò che l’Europa si è dimenticata.
Come uscirne dunque?
Senza dubbio la Grecia ha bisogno di un cambio di passo e di un’altra cultura politica, ma è l’Europa in questo momento a necessitare di una coscienza di matrice culturale, che abbracci quel settore specifico.
Che succede quando i figli sono più poveri, economicamente e culturalmente, dei genitori?
Credo che in Grecia nel corso degli ultimi trent’anni abbiamo creato una serie di generazioni che sono cresciute e maturate nel quadro di un benessere virtuale. In Grecia un giovane su due è disoccupato. Ma questi giovani non sono come quelli che qualcuno di noi ha conosciuto in passato, che emigravano pur di lavorare. Bensì sono diversi: hanno frequentato l’università, con specializzazioni post-laurea, insomma abbiamo dei veri e propri scienziati che se ne vanno all’estero. Ecco la vera tragedia.
Perché dovrebbero tornare indietro stando così le cose?
Invito loro a restare più che possono in patria per lottare, ovviamente e realisticamente fin quando resistono. E non interrompere il rapporto con il proprio paese, in quanto è come un canale che ha due vie. Non è solo il paese che ha bisogno dei giovani, ma il contrario. La dinamica del cambiamento risiede nella dinamica dei giovani. Potrei dire che il dinamismo delle vecchie generazioni è la forza dell’esperienza, però questo mi costringerebbe anche a confessare che la generazione dei genitori di ieri non aveva né conoscenze né esperienze. 
Si è scelto di attuare l’unione monetaria prima di quella politica. Delle due l’una: o il manifesto di Ventotene è stato uno scherzo oppure ci hanno governato degli asini…
Credo che ciò che ha predominato in Europa dal 1989 in poi si ritrova nel peso spropositato attribuito al peso finanziario che ha danneggiato i valori culturali. 
Quale il più grande errore commesso?
Di identificare l’Europa con l’euro, un continente con una moneta. Ma l’Europa non è l’euro, questo è l’errore. Da quando c’è l’euro l’Europa si sta distruggendo, è la cruda e tragica verità, piaccia o meno. I 27 membri passano il tempo a interrogarsi sulla moneta unica, se resisterà, se ne usciremo; ma si dimenticano che l’euro in questi tre lustri non ha unico l’Ue. Viaggiando molto sto notando che nei singoli paesi sta montando una repulsione verso gli altri dello stesso continente. 
La vulgata “una faccia una razza” per Italia e Grecia è purtroppo confortata da dati preoccupanti: secondo l’Istat un italiano su tre a causa della crisi ha mutato le proprie abitudini alimentari consumando meno carne e sta risparmiando su un comparto delicatissimo come la salute. Gli stessi indici registrati in Grecia all’inizio del default…
A rischiare è l’intero Mediterraneo meridionale, orse non tutti con lo stesso coefficiente di criticità. Lo scorso febbraio sono stato a Barcellona, vi sono tornato due mesi dopo negli stessi identici luoghi e ho trovato negozi chiusi e locali sfitti. Un peggioramento verticale. Ieri la gente si lamentava della crisi, oggi ne è terrorizzata. Questa crisi è una malattia infettiva, lo dimostrano i casi di Cipro e Slovenia. Voglio dire con chiarezza che la maggior parte delle responsabilità di quanto accaduto ricade sulle nostre spalle: abbiamo molte colpe in quanto abbiamo commesso molti errori. La terapia però non è nostra, ma ci viene imposta e se la terapia fallisce la colpa non è del malato bensì del medico. In secondo luogo, e sempre continuando con la metafora medica, è come se ci servisse una chemioterapia mentre invece ci viene propinata dell’aspirina perché costa meno: inutile alla malattia e per giunta un prodotto tedesco.
Il vento dell’intolleranza spirato in Francia con Marine Le Pen è giunto fin sotto l’Acropoli con il partito xenofobo e nazionalista di Alba dorata giunto al 7%. È anche questo un fenomeno nato dalla crisi?
È uno degli errori di cui accennavo prima e appartiene a un panorama che oggi in Grecia prende il nome di contraddizioni. Non so dire fino a che punto il memorandum di troika e Germania riuscirà a salvare la Grecia, ma so per certo che sono riusciti a distruggere il sistema politico e sociale ellenico. In questa situazione il pericolo maggiore è proprio la presenza in parlamento del partito di estrema destra di Chrisì Avghì, che è stato votato in città e paesi con una forte presenza di immigrati e qui la macro responsabilità appartiene a tutti i governi che si sono succeduti, indipendentemente dai colori. Hanno visto che il bubbone si ingigantiva ma hanno voltato lo sguardo altrove. 
Quanto manca alla cultura e a lei in prima persona un maestro come Theo Angelopulos, scomparso pochi mesi fa ad Atene?
Molto. Per rispondere devo raccontare chi era. Nacque nel ’35  e maturò nella Grecia post bellica, nel periodo più difficile, un’epoca che lo segnò tantissimo, come dimostrano i suoi film. Quell’Ellade, con povertà e privazioni, aveva profondo il valore della cultura. Ecco la differenza con l’oggi.

Fonte: Mondo Greco del 10/7/12
Twitter@FDepalo

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