Da Il Secolo d'Italia dell'11/10/09
Musei come luoghi dell’utopia? Del pensiero elastico lanciato verso orizzonti aperti? L’arte si sbarazza del suo bozzo e si libra in cielo diventando così la protagonista delle notti. A pensarci bene non ha nulla in meno di teatri, cinema, ristoranti, lunge bar. Anzi, ha proprio qualcosa in più. Ed è la magia dell’improvvisazione, alla ricerca di quel pizzico di sregolatezza che trasforma la cultura statica e amebica in un vento di colori, immagini, suoni, sguardi. Tutto trascina tutto in un turbinìo di arte. Ma non solo.
Perché non provare a pensare ad una cultura libera, che parta dal basso, strutturata diversamente da logiche di appartenenza che ne limitano nei fatti azione ed efficacia? Il direttore del Louvre, Henry Loyrette, interrogato a proposito dell’apertura di una nota catena alimentare all’interno del celebre museo parigino, ha replicato sostenendo che il nostro è il museo dei musei, che guarda all’avvenire svolgendo un ruolo di diplomazia culturale universale. Partendo dal presupposto che la cornice sociale ed ambientale dei contenitori culturali si è nel tempo modificata, seguendo numerosi parametri legati all’evoluzione dell’uomo e della società in cui vive, ne consegue che anche la cultura tradizionale, storicamente ancorata a certi principi dogmatici, dovrebbe interrogarsi su come interfacciarsi con un pubblico che, nei fatti, è come se fosse nuovo.
Ad esempio, una delle domande da porsi potrebbe essere: si può fare cultura indipendente senza subire conseguenze strutturali che ne impediscano o ne condizionino il pieno e corretto svolgimento? Luigi Tamborrino, direttore del Rialto di Roma, prova ad abbozzare una risposta, partendo dal presupposto che la fruizione culturale è radicalmente cambiata. Si pensi che ad oggi la maggior parte dei musei è lontana da un logico utilizzo quotidiano. La novità potrebbe essere rappresentata dall’interpellare luoghi che invece appaiono più dinamici, con una composizione naturalmente differente. Creare un polo culturale indipendente quindi è la scommessa della cultura futura, dove il termine indipendenza sia riferito alla distanza da una dimensione economica pubblica.
Divieto assoluto a divisioni con l’accetta- sostiene Tamborrino- dove da un lato ci sia la cultura di serie A, quella canonica con sostegni e contenitori, e dall’altro la cultura di serie B, quella più libera e conseguenzialmente sganciata da un discorso di contributi. Poi è necessario fare chiarezza su un altro punto, ovvero cosa vogliamo farne della cultura? La consideriamo a ragione un tema popolare, quindi con i rilievi valutativi conseguenti, oppure la releghiamo a elencazione utile solo alle accademie?
Cultura vicina al popolo, dunque, pur nelle sue molteplici e peculiari diversità, ma proprio per questo interlocutore della gente. Impedire una corretta e lucida fruizione della cultura o appesantirla con una qualsivoglia deminutio, significa impedire nuove presenze, innalzando una barriera tra la cultura e il divertimento. Giova ricordare che i musei di arte contemporanea sono luoghi di sperimentazione di nuovi codici, di nuovi linguaggi, di nuova cultura. Soprattutto questi contenitori rappresentano innovative occasioni in cui è possibile finalmente scrostare residui del passato, picconando le barriere che dividono i confini. L’obiettivo finale è consentire agli individui di mischiarsi fra loro sotto il comune denominatore dell’arte e delle singole espressioni, arricchendo così la conoscenza, lo scambio di sensazioni, e perché no partecipando attivamente alla costruzione comune di idee e comportamenti creativi.
Pulsioni innovative che hanno avuto un moto ispiratore al Museo Madre di Napoli che, anticipando di fatto quello che in seguito hanno realizzato in altre sedi, come al Guggenheim di Venezia, o al Moma di New York e San Francisco, o al Louisiana di Copenaghen, all’interno del consueto programma di offerta con esposizioni di arte contemporanea, ha inserito anche dell’altro. E dove sta il problema, direbbe qualcuno? Ben vengano moti di sperimentazione, di ampliamento della visione culturale dei musei. Occasioni di includere nuovi fruitori, come i giovani che frequentando l’evento aperitivo, hanno in regalo un biglietto per visitare il museo il giorno successivo. E allora? Dove sta l’eresia, se di eresia si vuol parlare? Ma l’Italia è un paese strano, governato da input burocratici, con valanghe di marche da bollo che spesso influenzano e decidono. E’successo che il Museo Madre abbia organizzato feste e manifestazioni diciamo più leggere, con musica e aperitivi. E’capitato che in quella circostanza alcune persone iniziassero a ballare. Ballando, la struttura da museo è nei fatti diventata discoteca, e ciò ha implicato una serie di autorizzazioni e adempimenti burocratici diversi da quelli necessari per un semplice museo, come luci, uscite di sicurezza e quant’altro. Il museo è stato chiuso, con sequestri e sopralluoghi, oltre a polemiche con la commissione comunale incaricata.
Il museo si è quindi messo in regola dal punto di vista amministrativo, ma una volta regolarizzato tutto, ecco il regalo inatteso: quando c’è un evento come una festa o una serata musicale, contemporaneamente il museo non può essere aperto. Per questo la direzione del Madre ha anche fatto ricorso al tar e promosso un appello rivolto al Capo dello Stato.
“Una limitazione assurda- ci dice il direttore Edoardo Cicelin- che non è contemplata in nessuna norma”. La legge nello specifico fa riferimento al Tulps, il Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773 meglio conosciuto come " Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza ", che disciplina l’attività nei vari locali. Quindi una normativa del passato lontano, che non prevedeva nemmeno le uscite di sicurezza perché non servivano: in quanto la polizia controllava direttamente all’epoca chi entrava e chi usciva.
Ulteriore riferimento normativo più moderno è la legge culturale Ronchey, del 1982, ma che non è nemmeno questa esaustiva, perché nel 1982 non c’erano ancora in Italia i musei di arte contemporanea. “Quindi basterebbe una piccola integrazione alla legge del 1982- propone Cicelin-, magari inserendo la possibilità ampia di allargare la tipologia di eventi e manifestazioni da inserire nel calendario di un museo di arte moderna, evitando la vergogna del caso Napoli.”
Ma al di là di codici e di commi, serve comprendere come si possa compiere un decisivo passo in avanti nella marcia di avvicinamento della cultura alla gente, è questo il nodo da sciogliere. Una strada praticabile potrebbe essere quella della condivisione, ovvero pensare ad una forma culturale allargata, che si affacci materialmente agli occhi dei cittadini partendo dal ventre della società, semplicemente includendoli in spazi nuovi e maggiormente dinamici.
“Rovesciamo tutto e tutti nelle strade, torniamo ad essere parte integrante dell’arte- sostiene Gianluca Iannone di Casapound- riempiamo le strade di arte, colori, di monumenti. Credo che questa potrebbe essere una soluzione rivoluzionaria per riavvicinare i giovani e la gente all’arte”, senza dimenticare anche un altro valore sociale intrinseco al ragionamento. “Vivere nel bello- prosegue Iannone riprendendo, aggiungiamo noi, una vecchia massima di Dostoievskij, ‘la bellezza vi salverà’- porta a seguire una linea più armonica rispetto alla massa di negatività ed alla bruttezza che ci circonda. Fare cultura in luoghi chiusi ed elitari, alla lunga stufa ed esclude. Il ragazzo non si avvicina più, perché tutto si risolve in una massa pretestuosa che non trasmette nulla. Il problema sta nell’assoggettamento dell’arte a situazioni legate al potere, che appartengono ad una linea politica di condotta sempre più stucchevole. L’arte ha anche un aspetto consumistico a livello del politicamente corretto”, conclude Iannone prima di avanzare la sua personale proposta: “Chiudiamo i musei, perché personalmente credo diano un’immagine di magazzini dove lasciare morire delle cose messe lì, invece l’arte dovrebbe sprigionare energia libera.”
Ma intanto proprio questa energia, che per essere tale e per sprigionare tutto il suo potenziale dovrebbe apparire libera e spogliata da lacci e vincoli, viene in alcuni casi come a Napoli limitata da disposizioni restrittive e da chiusura mentali. Basta leggere l’opinione di Antonio Natali, direttore degli Uffizi di Firenze, per comprendere come una certa libertà sia imprescindibile. “Sarebbe arrogante- sostiene- non prendere in considerazione nuove strade da percorrere”. Lasciando intendere che non apparirebbe una scelta saggia e dettata dal buon senso, circondare la cultura e l’interezza del suo ambito museale, con una cintura protettiva che impedisca il raffronto con tempi e modi cangianti.
Questo non vuol dire snaturare necessariamente l’essenza del museo in quanto struttura, anzi un ragionamento simile intende proprio far aprire nuovi ed inimmaginabili scenari, in virtù dei quali accrescere l’offerta culturale. E’di questo che un paese moderno ha bisogno, non di tornare indietro, ripiegando su se stessa quella che potrebbe essere una nuova forma di progresso socio-economico.
“Noi non siamo una discoteca- continua il direttore Cicelin- e se anche può capitare ad un certo punto della serata che qualcuno si metta a ballare, non abbiamo ovviamente 600 persone che danzano, ma altre sono in giro per il museo”. Ma nel momento in cui quella situazione è definita come discoteca scattano una serie di meccanismi burocratico-organizzativi conseguenziali.
L’elemento che ha fatto scattare la protesta del museo Madre e in seguito alla quale è stato promosso l’appello al Capo dello Stato (vi hanno già aderito più di millesettecento firme, tra artisti, professionisti e gente comune, come Kounellis, Bonito Oliva), è l’impossibilità a svolgere un’attività collaterale perché si vuol definire a priori la tipologia del contenitore. “Si tratta di un’odiosa interferenza, tale limitazione è illegittima e irragionevole, in quanto- prosegue Cicelin- se noi stabiliamo che quella sala che è separata dal resto del museo, e la possiamo ovviamente controllare grazie ad una serie di uscite di sicurezza, non si comprende perchè nel resto del museo la medesima attività culturale sia interdetta”. Obbligando la direzione a mantenere aperta solo una parte della struttura che ospita in quell’occasione una manifestazione, si ridurrebbe il museo a semplice discoteca o a sala da ballo, invece l’operazione che sta nelle corde della ragionevolezza e di una visione ariosa della cultura, è di tipo diverso e più ampio, dal momento che intende coinvolgere in maniera intrigante quanta più gente possibile in un discorso globale di cultura.
Un primo intervento, rapido e risolutivo, potrebbe essere quello di inserire poche righe nel codice per i beni culturali, prevedendo negli edifici concepiti per l’arte contemporanea che si possano svolgere altre attività ricomprese in un ampio ventaglio. Per dare un segnale, per dire alla gente che i musei sono accoglienti, che rappresentano occasione di arricchimento vero. E sano.
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