Da Ffwebmagazine del 16/10/09
Una nuova agorà della cultura, un grande luogo dove comunicare, da cui partire ma soprattutto anche dal quale ricevere impulsi e scambi di individui e di informazioni artistiche. Gli aeroporti nell’era post moderna sono un cantiere a cielo aperto, che potrebbero riservare molte e gradite sorprese, a patto che le classi dirigenti intercettino questo trampolino di lancio verso un domani ormai prossimo. Il che significa aprire finestre sul futuro,debitamente intrecciate nella capacità di immaginare soluzioni per problemi reali ad attuali, con una particolare attenzione riservata agli aspetti ambientali. E poi non perdendo di vista il mutamento antropologico della geografia dei trasporti, spostatasi drasticamente dal continente al Mediterraneo, oggi più che mai vero punto di raccordo fra l’Europa e due comparti investiti da un notevole sviluppo, come Africa ed Asia.
Anche per questo nel prossimo gennaio Roma ospiterà Gate XXI, dall’ultraleggero al satellite, la prima esposizione internazionale promossa in Italia incentrata sul mondo dell’aeronautica, dello spazio e degli aeroporti. Una vetrina su un qualcosa che sarà, su un futuro che bussa con insistenza alle porte italiane anche in considerazione di ingenti ricadute industriali. Un cambiamento che corre a velocità supersonica, basti pensare al controllo del traffico, passato dal radar al satellite, ma sul quale il nostro paese ha fino ad oggi fatto scelte in controtendenza. “Affittando” un satellite e spendendo più per il noleggio rispetto a quanto avrebbe investito per costruirne uno di proprietà. Ed ecco che la vetrina romana, oltre che per ammirare ultraleggeri e velivoli interamente innovativi nell’ottica di un riavvicinamento dei cittadini a queste forme di arti e di progresso, punta a stimolare gli esecutivi, che dovrebbero far convergere risorse pubbliche e private in nuovi slanci produttivi, predisponendo indirizzi ad hoc e potendo contare su eccellenze tutte italiane come Finmeccanica.
Ma che succede al comparto aereo in Italia? C’è stata una fase storica nella quale il contributo italiano alla ricerca ed allo sviluppo spaziale è stato notevolissimo, si pensi agli studi di Crocco, Amaldi, Broglio. O si pensi alla più recente realizzazione del 50% della stazione spaziale internazionale, o alle progettazioni tutte italiane di tecnologie straordinarie, come i radar che cercano l’acqua su Marte, o come quelli attualmente in orbita nel punto dove sole e luna si annullano. A testimonianza di un’eccellenza nostrana indiscussa. Ma poi scorgendo dati e numeri, emerge ad esempio che la Nasa investe diciotto miliardi di euro all’anno per la ricerca aerospaziale (arrivando a ventuno il prossimo anno) mentre noi no. Come invertire la rotta per non disperdere quell’immenso patrimonio scientifico di cervelli che il nostro paese produce?
Una possibile strada da percorrere potrebbe essere la liberalizzazione del volo privato in Italia, in considerazione del fatto che un chilometro di strada per le auto costa quanto un chilometro di pista per aerei, con la differenza che si potrebbe innescare un meccanismo virtuoso che porti velivoli ultraleggeri ad affiancarsi al trasporto tradizionale su rotaia o su gomma. E non è un’iperbole dettata dal troppo progresso, ma un risultato facilmente raggiungibile anche nell’ottica di aerei senza pilota che tra non molto potrebbero affacciarsi nei nostri cieli. Un’altra opportunità potrebbe riguardare la commercializzazione degli slot, con livelli strutturali e giuridici che impongano la ricerca di nuovi meccanismi diretti verso un bene quanto mai prezioso. Ma accanto a strumenti così innovativi e destinati a trasformare nel medio-lungo termine abitudini ed opportunità, ecco che un ruolo primario lo dovranno rivestire i contenitori, ovvero quei luoghi da dove gli aerei decollano, dove atterrano e che sono meta simbolica di scambi non solo di merci e di persone ma a questo punto anche di visioni.
Gli aeroporti italiani sono il biglietto da visita di questo paese, ha riflettuto Mario Valducci, presidente della commissione trasporti della Camera e potrebbero assumere una dimensione nuova, quasi di cattedrali laiche da cui lanciare ponti verso le destinazioni del mondo, spargendo cultura e attirando chi quella cultura vuole ammirare. Non sarebbe una forzatura immaginare gli hub di Roma e Milano come luoghi che abbiano la mission futura di collegare, recependoli, stimoli artistici, rendendo quegli aeroporti contenitori e intrattenitori anche di arte, allestendo mostre al loro interno, ed esponendo pezzi da museo. E non per una non meglio precisata voglia di mutazione a priori, ma in virtù di una pregnante esigenza di trasversalità della comunicazione culturale. Pensare agli aeroporti come magazzini di arti figurative e visive, come consolati italiani della cultura che accolgono i turisti appena sbarcati da un volo, non rappresenta un sogno o un’astrazione , ma una naturale e imprescindibile innovazione per un paese che solo rimettendosi in discussione potrà cogliere i frutti di un passato storico ed artistico così importante, desideroso di essere attualizzato.
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