"Potete ingannare tutti per un po', potete ingannare qualcuno per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre". (A. Lincoln)
sabato 3 ottobre 2009
Un giallo sul Bosforo: il dialogo passa anche da qui
Da Ffwebmagazine del 03/10/09
Profumi mediterranei, suoni orientali frutto di millenni di commistioni di popoli e culture. E poi ricatti, criminalità, omicidi politici, rivisitazioni delle ideologie passate. I libri di Petros Markaris, mai banali, sono zeppi di fatti e di eventi che si incrociano ritmicamente sotto un pergolato all’ombra del Partenone, e con lo sguardo girato di tanto in tanto alla città che ha dato i natali al giallista greco. Costantinopoli, o Istanbul, come si preferisce: ma il prodotto non cambia. Quella che è stata la patria della filosofia e della democrazia, è oggi lo scenario naturale per una forma suggestiva e intrigante di romanzi noir.
In La balia, una donna scomparsa e una scia di morti sospette conducono il commissario Kostas Charitos a interrompere una vacanza sul Bosforo per dedicarsi al suo lavoro, che è anche la sua vita: le indagini. Affrontate, e qui sta il bello, assieme a un collega della polizia turca. Dapprima con diffidenza, poi con una cortesia apparente ma sempre con certa circospezione, fino allo scontro, che porta i due personaggi, ritrovatisi dinanzi a una succulenta tavola imbandita di pietanze smirniotiche, a collaborare insieme nella consapevolezza che gli interessi comuni cancellano le vecchie ruggini.
Greci e turchi: un binomio caratterizzato da criticità storiche del passato, però alla ricerca di un nuovo inizio. L’autore, originario di Costantinopoli, ha collaborato in passato anche con Theo Angelopulos, e in nove anni ha firmato sei romanzi, inaugurando uno stile sobrio e profondamente umano. Il protagonista, il commissario Kostas Charitos non è il rude poliziotto tutto armi e muscoli, non il perfetto investigatore dalla soluzione sotto mano. È una persona semplice, figlio della classe media, allergico a una società plastificata dalla globalizzazione e dal frenetico consumismo. Insomma uno “vero”, dotato di anima, che pensa, soffre, che ha rimorsi, accompagnato da una coscienza profonda, e da una consapevole voglia di imparare che lo porta a sfogliare quotidianamente il suo vocabolario.
La Balia viene dopo Ultime dalla notte, Difesa a zona, Si è suicidato il Che, La lunga estate calda del commissario Charitos, I labirinti di Atene: romanzi che raccontano di casi singolari nell’Ellade pre e post Olimpica, di amori e delusioni, di truffe nel mondo del calcio. Spaccati di vita vissuta al confine tra oriente e occidente, in quella miscellanea di culture e tradizioni che è la Grecia, a cavallo tra due millenni. Un affresco verosimile e, perché no, piacevolmente romantico dell’Atene di oggi, ebbra di contraddizioni sociali enormi e di sperequazioni economiche, ma terra quantomai fertile di passioni, dove cultura e folklore allo stato puro sono radicati profondamente, divenendo un humus tangibile che trasuda da ogni scorcio.
Il dinamismo dei romanzi di Markaris, finalista lo scorso anno al Premio Ostia e ospite quest’anno del Festival di Mantova, è così spiegato. L’aver dato un risalto, per nulla sforzato e costruito, anzi fin troppo reale, a una Grecia estremamente diversa da quella di trent’anni fa, dove la globalizzazione e la crisi economica stanno erodendo pezzi della società. Fenomeni che per questo, però, incontrano un (purtroppo fino ad oggi) debole argine nei piccoli gesti quotidiani, come il rito del caffè consumato nelle caffetterie, o talune preparazioni di cibi appartenenti alla tradizione culinaria della Polis. La Città, così veniva chiamata Costantinopoli, anche dopo gli eventi che costrinsero brutalmente i greci lì residenti a fare marcia indietro e a lasciare quelle case e quei ricordi.
Sta tutta lì l’essenza letteraria di Petros Markaris, avvolta in un foulard di colori e suoni, come quelli che sgorgano dagli aromi che da qui transitavano lungo la via della seta, o dalle note del bouzouky giunto a noi attraverso la penna di Nikos Kazantzakis e le gesta di Zorbas (che di fronte alla tragedia di aver perso tutto, si limitava a dire “non fa nulla”), o più semplicemente come le immagini mozzafiato di alcuni monasteri in terra di Grecia, come quelli sul monte Athos, dove ci si riconcilia con una spiritualità troppo spesso lontana, o come i lunghi dialoghi con l’informatore di Charitos, un ex comunista appartenente a quella frangia anticolonnelli ma che dopo trent’anni si riconcilia con il poliziotto e anche con l’uomo.
«Scrive gialli dai sincronismi perfetti», hanno rilevato su di lui i francesi di Le Monde, ma non si tratta semplicemente di attimi che si intersecano, seppure con maestria. Accanto alla musicalità di espressioni e desideri, Markaris lascia i pensieri liberi di vagare verso un immaginario, quello del mare, il suo, il nostro Egeo, che attraversa vite ed esistenze; quel mare che è l’attore protagonista di partenze e di arrivi, che ispira navigazioni lunghe e laboriose, ma che per questo è habitat naturale di una visione ariosa della vita.
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