Da Ffwebmagazine del 12/10/09
«Chi si modera raramente si perde» sosteneva Confucio: se applicassimo questa massima a tematiche delicate e controverse, come ad esempio la bioetica, si potrebbero dischiudere scenari interessanti e senza dubbio risolutivi. Una breccia è stata aperta in occasione dalla giornata di studi promossa dalle fondazioni Farefuturo e Konrad Adenauer Stiftung, intitolata “Bioetica e biopolitica” alla presenza di Adolfo Urso, Wilhelm Staudacher, Benedetto Della Vedova, Laura Palazzani, Karlies Abmeier, Walter Schweidler, Klaus Tanner, Winfried Kluth, Lorenzo d'Avack, non solo al fine di approfondire tematicamente le differenti legislazioni in Italia ed in Germania, ma soprattutto per estrapolare dagli interventi degli illustri giuristi che vi hanno partecipato contributi utili a reperire una strada maestra da seguire. «La scelta è stata incentrata non su grandi convegni ma su seminari contenuti e mirati – ha detto Federico Eichberg, responsabile esteri di Farefuturo – perseguendo quelli che saranno i tratti somatici delle politiche future». L’attività di partenariato tematico tra le due fondazioni ha avuto altri momenti di incontro durante l’anno in corso, come dimostrano i seminari promossi sulla dignità umana, sugli individui e sullo stato nell’epoca post-globale, sul futuro del parlamentarismo. Un percorso comune che, dopo l’appuntamento della bioetica, proseguirà con un seminario conclusivo sul lago di Como sul futuro della democrazia.
Contro l’eutanasia, contro il suicidio assistito, ma anche contro l’accanimento terapeutico: queste le linee guida tracciate da Adolfo Urso, vice ministro alle attività produttive e segretario generale di Farefuturo. «Noi siamo chiamati a legiferare per tutti, senza scadere nella solita contrapposizione tra guelfi e ghibellini». Proprio la ricerca di una soluzione condivisa, in attesa che prosegua l’esame del ddl Calabrò, è lo scenario più saggio e utile per giungere ad una visione d’insieme che tenga conto della eccezioni sollevate dalle due correnti di pensiero, come ha sottolineato la professoressa Laura Palazzani ordinario di filosofia del diritto alla facoltà di Giurisprudenza della Lumsa di Roma. Da un lato vi è chi, in uno scenario etico soggettivistico, ritiene che il diritto sia abbia una funzione neutrale, rispetto a valori inconciliabili. Vi è qui un forte richiamo al diritto di autodeterminazione, preservando il sacro diritto individuale. Dall’altro c’è chi crede che l’uomo sia in grado di conoscere valori universali assoluti, che il diritto deve veicolare. Quindi un forte diritto alla vita in ogni fase dell’esistenza, in questo senso le norme giuridiche sarebbero volte a tradurre il tutto in legge.
Il panorama offerto dalla prof.ssa Palazzani, è stato completato dagli interrogativi suscitati dal professor Lorenzo d’Avack, ordinario di filosofia del diritto all’Università Roma Tre, che si è chiesto: «La giurisprudenza è dominante? Dovremo farcene una ragione?». Il riferimento è all’attuale vuoto normativo del nostro paese che conduce all’inevitabile intervento della magistratura, come testimoniano gli ultimi episodi di cronaca, con i vari casi al’attenzione dell’opinione pubblica. «Il paziente dovrebbe uscire dall’alleanza terapeutica per svolgere correttamente le proprie volontà», ha proseguito d’Avack, indirizzando la riflessione su quello che per consuetudine è chiamato paternalismo medico, ovvero quando accade che, come molti giuristi italiani sostengono, il diritto alla salute garantito dall’art. 32 della Costituzione, venga valutato alla stregua di una scelta oggettiva, lasciando confinata in un angolino la libera scelta dell’individuo. «In Italia sulla bioetica vi è un enorme vuoto all’interno del quale poi opera il giudice, per questo vorrei vedere riconosciuto almeno al paziente capace di intendere e di volere, cito il caso Welby, la possibilità di essere staccato da una macchina che gli farebbe compiere un percorso meccanico di sopravvivenza».
Che si limiti la regolamentazione normativa, ha esortato Benedetto Della Vedova, deputato del Pdl, secondo cui quanto è più grande e incombente dal punto di vista sociale la materia, tanto più dovrebbe ridursi la regolamentazione. È pur vero che le tecnoscienze negli ultimi anni hanno subito un’evoluzione alquanto rapida, e forse da parte di qualcuno scarsamente prevedibile, ma ad oggi «registriamo che bioetica e biodiritto non coincidono, si pensi che vi è anche un dualismo etico all’interno del mondo cattolico».
Ma la materia, oltre che essere vasta, è anche suscettibile di rapidi cambi di fronte, come ha suggerito il professor Tanner: «Quello di cui si discuteva cinque anni fa sulle cellule staminali oggi non è più attuale, e non perché qualcuno ieri abbia mentito, bensì a causa dell’intervento di innovazioni e nuove scoperte». Di qui la domanda: è legittimo che le chiese chiedano che la legge tuteli la vita? Ma a chi spetta il compito di decidere, alla democrazia degli stati o alle coscienze dei singoli individui? Logico e ragionevole sarebbe non prescindere in alcun caso dalla volontà personale, come previsto dalle dichiarazioni. Umberto Scarpelli sosteneva: «l’etica è senza verità, quindi il singolo faccia le proprie scelte senza creare danno al terzo».
Da qui il paradigma sul quale dovrebbero saggiamente convogliare le aperture di tutti, ovvero che una disciplina giuridica è buona solo se coincide con i fatti e solo con questi. E anche, aggiungiamo, con le vere intenzioni dei singoli individui
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